Il 17 gennaio la Commissione europea ha annunciato l’estensione dell’accordo commerciale con il Messico, rinnovando un’intesa siglata vent’anni fa e rafforzando una partnership con un Paese che nel 2023 ha importato beni dall’Unione europea per circa cinquantatré miliardi di euro con una bilancia commerciale nettamente a favore di Bruxelles. È il secondo annuncio di questo tipo in meno di due mesi dopo che ad inizio dicembre Ursula von der Leyen era volata a Montevideo per concludere il trattato di libero scambio con i leader di Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, mettendo fine ad una trattativa durata venticinque anni. Nei Paesi del Mercosur le esportazioni superano gli ottanta miliardi, numeri destinati a crescere dopo l’accordo di dicembre che aprirà all’Unione europea le porte di un mercato da settecento milioni di consumatori.
Von der Leyen, parlando dei nuovi accordi commerciali al Forum economico mondiale di Davos questa settimana, ha voluto sottolineare come l’Unione europea sia «una superpotenza economica basata su delle regole ben definite e con un mercato molto attraente». Il destinatario del messaggio è sembrato abbastanza chiaro. Sullo sfondo c’è ovviamente la nuova presidenza degli Stati Uniti e l’intenzione di Donald Trump di reinserire i dazi sulle importazioni. Come nel 2017 Trump sembra considerare ancora prioritario il riequilibrio di una bilancia commerciale che in questo momento pende molto a favore di Cina e Unione europea. Il neopresidente ha promesso di colpire entrambe.
I ventisette Paesi dell’Unione nel 2023 hanno esportato negli Stati Uniti beni per un valore superiore ai cinquecento miliardi di euro e l’impatto di una battaglia commerciale sarebbe di non poco conto. Per questo Bruxelles sta tentando di vagliare altre opzioni, anche in termini di catene di approvvigionamento. In questi ultimi mesi von der Leyen si sta muovendo in prima persona. È stato così con il Mercosur a dicembre e sarà così anche nelle prossime settimane quando si recherà in India: «Insieme al primo ministro Modi vogliamo migliorare la partnership strategica con il più grande paese e democrazia del mondo» ha fatto sapere da Davos. Trovare un accordo con Nuova Dehli non sarà semplicissimo ma potrebbe essere molto utile ad entrambi visto che anche l’India sembra essere finita nel mirino degli Stati Uniti.
L’obiettivo è quello di aggregare le future vittime delle politiche di Trump creando una rete di accordi che riesca a limitare i danni in caso di una battaglia commerciale transatlantica. Ad oggi Bruxelles ha firmato trattati di libero scambio con diversi Paesi tra cui Giappone e Nuova Zelanda, oltre a quelli recenti con Messico e Mercosur. Altri in fase di negoziazione, come quelli con Australia, Malaysia e India, potrebbero presto subire un’accelerata.
Anche il Canada dovrebbe rientrare nell’agenda di von der Leyen: Ottawa è nel mirino di Trump, e insieme a Bruxelles potrebbe decidere di potenziare ulteriormente l’Accordo economico e commerciale globale tra il Canada e l’Unione europea (Ceta) in vigore dal 2017. Il Paese guidato, ancora per poco, da Trudeau è ricco di gas e materie prime e si inserisce in quel piano europeo di differenziazione delle catene di approvvigionamento che comprende anche il Messico (ricco di zinco, rame, antimonio e manganese) e i Paesi sudamericani. Un discorso a parte lo merita la Cina su cui von der Leyen ha avuto recentemente un approccio piuttosto duro a conferma della linea europea che pochi mesi fa ha portato all’istituzione di dazi sull’importazione di auto elettriche cinesi.
Uno dei Paesi che verrebbe maggiormente penalizzato dai dazi Usa è l’Italia. Giorgia Meloni, unico leader europeo presente alla cerimonia di insediamento a Washington, pur vantando ottime relazioni con Trump non può trattare direttamente sugli accordi commerciali internazionali, di competenza esclusiva dell’Unione europea. La bilancia import/export è nettamente a favore di Roma con un surplus di quarantatré miliardi e con le esportazioni negli Stati Uniti che nel 2023 hanno superato i sessantasette miliardi di euro (secondo partner assoluto per l’Italia). Numeri che avranno sicuramente attirato le attenzioni della Casa Bianca. I dazi sulle merci italiane, figli di idee sovraniste e protezionistiche molto vicine a quelle di Fratelli d’Italia, si tradurrebbero in una contrazione a lungo termine del Prodotto interno lordo italiano di più dello 0,2 percento. I settori maggiormente coinvolti sono l’agroalimentare, la moda, la chimica, la farmaceutica e l’industria dell’auto. Per l’export del Paese sarebbe un disastro.
La nuova strategia europea sugli accordi commerciali potrebbe attenuare solo in parte questi numeri: l’Italia esporta nei Paesi del Mercosur, in India, in Messico, in Giappone e in Malaysia beni per un valore complessivo di circa ventotto miliardi di euro, meno della metà rispetto agli Stati Uniti. Peraltro il Governo italiano continua, almeno pubblicamente, ad osteggiare gli accordi di libero scambio anche se sul Mercosur ha lasciato intravedere uno spiraglio dettato dalla necessità di non scontentare né gli industriali né gli agricoltori. Un’ambiguità che Meloni non potrà permettersi sui dazi con cui Trump vorrebbe colpire le merci italiane. Il contraccolpo, oltre che economico, potrebbe essere anche politico.