Relazioni paranormaliMeghan Markle, la bambina rapita a Cosenza, e lo spettacolo dei social indignati

Le psicopatiche che analizzano online le gravidanze delle tizie famose per poi percepirsi sgamatissime sono tali e quali alle psicopatiche che fingono di figliare per ricevere attenzione

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Non è certo una novità che i migliori spunti della commedia all’italiana vengano dalla cronaca nera: chi conosce la storia di questo derelitto paese sa, per esempio, che “Il vedovo” era stato ispirato dal caso Fenaroli (marito faceva uccidere la moglie per incassare l’assicurazione).

In questo senso, il caso della bambina rapita a Cosenza, forse la storia più sbrilluccicante di miseria umana intessuta di dettagli comici da quando Ettore Scola mandò nei cinema “Brutti, sporchi e cattivi”, non è una sorpresa. Lo è, però, per i suoi aspetti particolari. In particolare uno con cui sono fissata io, ma ci arriviamo dopo.

Prima partiamo da ciò che se non eravate su Marte avrete già letto. Una coppia annuncia alla famiglia una gravidanza inesistente e poi un parto altrettanto inesistente, la sera in cui c’è la festa di presentazione del neonato alla famiglia – rimandata fin lì millantando timori Covid, Covid scusa eterna per tutto – devono dunque procurarsi un neonato, vanno in una clinica privata, non riescono a rapire un neonato, rapiscono una neonata.

La rapiscono per non dire ai parenti «ho raccontato delle cazzate», come un Jean-Claude Romand. Solo che Romand – il caso di cronaca su cui è fondato il miglior libro di Carrère, “L’avversario” – alla famiglia aveva raccontato d’essere laureato e di lavorare come medico. Solo che a Castrolibero, fuori Cosenza, l’emancipazione femminile non è probabilmente mai arrivata, nel resto d’occidente è regredita, e quindi eccoci qui: con una cinquantunenne che invece di pensare ai nipoti o alla carriera pensa che dovrebbe figliare. (La ragazza alla quale hanno rubato la bambina ha invece ventiquattro anni: non ha un lavoro ma ha già due figli).

L’annuncio social del parto immaginario, due settimane fa, aveva una foto di manine grassocce un po’ fuori fuoco (tenetele a mente, le manine grassocce: poi tornano) e il testo «Dopo tanta attesa il nostro miracolo è arrivato! Alle ore 20.00 di oggi è nato Ansel. Mamma e Papà ti amano!». È un concentrato di Zeitgeist che quasi eccede in perfezione: le maiuscole e i puntesclamativi d’un secolo che non sa riconoscere i toni e quindi sbarella quando deve veicolarli; il lessico da mistica della maternità («miracolo»); lo slittamento di «volere bene» in «amare» d’una popolazione che ha disimparato l’italiano senza imparare l’inglese.

Se fossimo ancora svegli e sani di mente, «miracolo» ci sembrerebbe un indizio, invece è talmente comune parlare con lessico delirante di figli, figli che non sono più una cosa che fanno anche i gatti ma tutti affare di miracoli e angioletti e principesse, che Rosa Vespa tutti credono sia incinta. (Adesso ai giornali i parenti dicono che avevano dubbi, ma secondo me lo dicono solo per non doversi sorbire gli editorialisti dolenti che li rimproverano perché non s’accorgono se una loro cara ha un cuscino sotto al maglione – ma anche a loro poi torniamo).

Dalle ricostruzioni (per l’occasione ho guardato la mia prima puntata di “Chi l’ha visto?”), la coppia va in una clinica privata di Cosenza, lei entra in una stanza dicendo che è un’infermiera che deve lavare il neonato, i genitori dicono che è appena stato lavato, e quindi ripiega su un’altra stanza dove sono meno diffidenti ma il neonato è una neonata. Ed è qui che io immagino trame alternative, dato che l’Ansel che Rosa e il marito portano a casa è in realtà una Gretel (scusate, ogni tanto vengo colta dalla sindrome di Marco Travaglio e Luca Bottura).

I poliziotti raccontano che quando arrivano a casa della coppia rapitrice la bambina rapita è vestita d’azzurro per spacciarla per maschio ai parenti, e fin lì è facile: ma, se non l’avessero rintracciata, poi questa bambina sarebbe stata cresciuta in quanto bambino in nome della fluidità di genere? Sarebbe stato il solito errore delle ostetriche che, scusate il postmodernese, assegnano il sesso alla nascita? In fondo Federica Sciarelli dice due volte che la coppia che ha rubato la neonata è formata da «un lui e un lei», e la prima volta penso a un lapsus ma poi capisco che no, evidentemente Sciarelli ha introiettato il postmodernismo lessicale al punto da pensare si dica «un lei», non vuole costringere Rosa Vespa e la sua millantata gravidanza a identificarsi con articoli indeterminativi femminili.

Forse, per evitare la genitorialità d’una bambina con la schwa, l’avrebbero restituita ai veri genitori due giorni dopo, superato il problema dei parenti ormai invitati, adducendo per la sparizione della prole una morte in culla. La pasticciera intervistata da “Chi l’ha visto?” dice che aveva rifiutato di fare una torta di pasta di zucchero che era «solo scenografica» e chiaramente non avevano intenzione di mangiare. È perfetta nella dizione locale e nel tono scazzato, io per il casting della miniserie (che spero sia già in preproduzione: altro che Avetrana) le farei direttamente interpretare sé stessa, magari chiarendo meglio che ha rifiutato l’ordine per un problema di tempi di esecuzione, non certo perché è la prima volta che le chiedono una torta che sia innanzitutto instagrammabile.

La millantata morte in culla è un’ipotesi, per la strategia a medio termine, che mi pare tutto sommato razionale. In fondo, una volta che hai le foto della presentazione in società da mettere su Instagram, puoi ottenere ulteriori attenzioni maggiori come madre addolorata di neonato morto, di quante te ne spettino con una bambina vestita d’azzurro.

Ma è arrivato il momento di parlare della ragione per cui questo è un caso di questo secolo e non di quello di Rodolfo Sonego. È arrivato il momento di parlare di relazioni parasociali. È arrivato il momento di parlare di Meghan Markle e Giulia Valentina.

Meghan Markle è un’attrice americana che ha sposato uno dei figli di Diana Spencer. I due hanno abbandonato la famiglia reale, vivono in California, hanno due figli, lei non è simpaticissima e quindi intercetta assai quel disturbo mentale chiamato «relazione parasociale», in cui gente che vede le tue foto sui rotocalchi o su Instagram è convinta di conoscerti. Uno degli sport preferiti dai social è dire che i figli di Meghan in realtà sono stati partoriti da una gestante a noleggio, e che dalle angolazioni di certe foto in gravidanza della Markle si capisce che aveva una pancia finta.

Giulia Valentina è una milanese che accende la telecamera del telefono e vende cose, e che è riuscita a farlo realizzando un sogno impossibile: senza svelare quasi niente di sé, neppure il cognome. Non ha mai fatto vedere il fidanzato, e quando di recente ha partorito non ha neppure detto di che sesso fosse la prole o che nome avesse.

Questo non poteva che risvegliare l’isteria nel pubblico pieno di lavasciuga e tempo libero, e determinato a non investire il tempo liberatogli dagli elettrodomestici rileggendo Proust, ma inventandosi prossimità con le vite dei famosi. Io Giulia Valentina la vedo nel telefono e perciò ho diritto di sapere della sua vita, diamine.

Tempo fa GV ha mostrato nelle storie Instagram messaggi inquietanti che le arrivano in cui si supplica «almeno facci vedere una manina o un piedino» (Rosa Vespa, che sapeva che la gente vuole manine e piedini, aveva messo la foto della manina: criminale ma meno spietata di Giulia Valentina).

Le psicopatiche non meno psicopatiche di Rosa Vespa che vanno sui social a fare le analisi dell’angolazione della pancia di Meghan Markle, o scrivono a Giulia Valentina diagnosticando scarso amore materno altrimenti metterebbe le foto della prole, quelle psicopatiche lì ora sono tutte fiere d’essere andate sulla bacheca di Rosa Vespa (ora chiusa per sovraffollamento di relazioni parasociali e inquietanti prodotti della Basaglia) a scrivere che merita il carcere (meno male che gliel’avete detto, metti che l’avvocato non l’avesse avvisata) o a puntesclamativare «Da quale pulpito??!!!!!» sotto un post di ottobre in cui la derelitta citava il telefilm delle nostre giovinezze, “Saranno famosi”: «Voi fate sogni ambiziosi, successo, fama, ma queste cose costano, ed è qui che cominciate a pagare, con il sudore».

Certo che Rosa si percepiva una che si suda le cose e non una che ruba bambini: d’altra parte voi vi percepite giustiziere che non le mandano a dire, mica disperate che non s’accorgono della pancia finta della cognata ma scrutano ogni dettaglio della gente che vedono sul telefono. Quando oggi o domani gli editorialisti dolenti scriveranno che siamo una società disumanizzata che non nota i problemi di chi ha vicino (lo fecero già riguardo alla ragazza che aveva ucciso i due neonati), lo faranno senza collegare l’ovvio: certo che non guardiamo chi abbiamo vicino, siamo impegnati a procurarci adrenalina svelando verità scomode su gente che non conosciamo. D’altra parte se dicessimo che nostra cognata si è arrubbata un bambino passeremmo per invidiose, dicendolo di Meghan Markle possiamo invece percepirci scomode e impertinenti.

Il sogno – il pulpito – non particolarmente ambizioso di Rosa era uguale preciso pittato a quello di chi la commenta: un po’ d’attenzione, una certificazione d’esistenza a mezzo like, non è che li si possa tutti ottenere con un Nobel, qualcuna deve accontentarsi d’una gravidanza, vera o millantata.

Milena che scrive su Twitter (o come si chiama ora) «Non potete capire cosa è successo…. Cosenza si è unita TUTTA nell’arco di 30 minuti e abbiamo scatenato l’inferno: persone, social, giornalisti, forze dell’ordine… Risultato: #neonata salva», Milena che è uguale a Rosa e a tutti gli altri nel volersi sentire per dieci secondi protagonista del suo tempo e della performance, Milena la cui qualifica per brillare nel presente è il codice postale del caso di cronaca del momento, Milena è figlia del suo tempo quanto Rosa, e quanto chi analizza le gravidanze delle tizie famose per poi percepirsi sgamatissimo, e quanto i Jean-Claude Romand che la laurea l’hanno presa davvero e hanno scoperto che non bastava, perché l’economia dell’attenzione ogni giorno richiede d’essere alimentata con nuove performance e nuove indignazioni: quasi quasi oggi rubo un neonato.

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