«L’Occidente dovrebbe almeno garantire la sicurezza delle aree non occupate dell’Ucraina, continuare a inviare armi e mantenere le sanzioni economiche nei confronti della Russia: se non ci saranno queste condizioni, [Vladimir] Putin non si fermerà». Volodymyr Zelensky parla rilassato a poca distanza dal microfono; alle spalle il gialloblu dell’Ucraina e il tryzub, il tridente simbolo del Paese. Il presidente ucraino è stato intervistato da Lex Fridman, informatico statunitense e autore di uno dei podcast più famosi e seguiti del mondo – il “Lex Fridman Podcast”, appunto.
I due si sono incontrati a Kyjiv. Fridman aveva fatto sapere di essere arrivato in Ucraina poco dopo Natale. Lo scorso 26 dicembre aveva condiviso una foto da Babyn Jar, vicino alla capitale, e aveva detto di essere lì per «intervistare il presidente Zelensky». Il risultato è una conversazione lunghissima, durata quasi tre ore, in cui si è parlato in ogni modo possibile dell’invasione da parte della Russia, del presente e del futuro del Paese. Zelensky ha condiviso un ricordo del primo giorno dell’invasione su vasta scala, ha descritto la visione imperialista di Vladimir Putin, ha tracciato i contorni di un eventuale negoziato di pace e la possibilità di sedersi al tavolo al fianco di Donald Trump e dello stesso Putin. Poi, ancora, ha parlato della legge marziale, delle elezioni e delle dinamiche di potere in Ucraina, dell’insediamento di Trump il prossimo 20 gennaio, di Elon Musk e anche della Seconda guerra mondiale.
Prima di ogni altra cosa, però, Zelensky ha voluto sottolineare una condizione indispensabile per poter affrontare un discorso sul futuro dell’Ucraina: il Paese ha bisogno di garanzie di sicurezza, per oggi e per domani, nel breve e nel lungo termine. Senza queste non si può nemmeno immaginare un cessate il fuoco. Alla domanda specifica su cosa serva a Kyjiv per sedersi al tavolo delle trattative, Zelensky risponde sicuro: «Garanzie di sicurezza, preferibilmente all’interno della Nato». Per questo il presidente ucraino ha anche presentato i rischi di un minor impegno degli Stati Uniti nell’Alleanza Atlantica – argomento più volte ripreso da Trump in campagna elettorale. «L’uscita degli Stati Uniti sarebbe la fine, cioè sarebbe la morte della Nato come la conosciamo». Significherebbe soprattutto fare il gioco di Putin, che vuole «una Nato debole e un’Ucraina che non può competere sul campo di battaglia».
L’intervista è stata pubblicata sul canale YouTube di Fridman domenica 5 gennaio ed è già uno dei contenuti più interessanti che si possono trovare online sulla guerra, per la profondità del ragionamento di Zelensky, per la varietà di argomenti affrontati in tre ore di conversazione, anche per la genesi particolare dell’intervista stessa. Lo scorso 29 novembre Fridman aveva scritto su X: «Mi piacerebbe fare un’intervista di tre ore con Zelensky». Poco dopo il presidente ucraino gli aveva risposto: «D’accordo, vediamoci in Ucraina». Zelensky aveva accettato in un attimo – forse dopo aver già concordato tutto dietro le quinte – la proposta di un podcaster americano con un background quanto meno singolare.
Fridman ha quarantun anni, è nato a Chkalovsk (oggi Buston) in Tajikistan da una famiglia ebrea. Quando aveva undici anni si trasferì in Illinois, vicino Chicago: suo padre, Alexander Fridman, nato a Kyjiv, è diventato uno dei medici più importanti degli Stati Uniti e oggi è direttore del CJ Nyheim Plasma Institute alla Drexel University.
Lex invece è ricercatore al Mit di Boston, su X si definisce «interessato ai robot e agli umani» ed è cintura nera di jiu jitsu brasiliano. Ha una formazione scientifica e in origine il suo podcast si chiamava “Artificial Intelligence Podcast”: il nome è cambiato in un secondo momento, per ampliare i contenuti, e questo gli ha permesso di intervistare ogni tipo di personaggio pubblico, da Kanye West a Mark Zuckerberg, da Magnus Carlsen a Jack Dorsey.
Il 24 dicembre, sempre in un post su X, Fridman aveva proposto di fare l’intervista in lingua russa motivando così la sua richiesta: «Per chi non lo sapesse, la lingua ucraina è diventata sempre più un simbolo della lotta del popolo ucraino per la libertà e l’indipendenza. Purtroppo è una lingua che non parlo ancora, ma la sto imparando. So parlare bene il russo, così come il presidente Zelensky e una larga parte della popolazione ucraina. Parlare in una lingua che sappiamo entrambi darà luogo a una conversazione più profonda, dinamica e potente. Ovviamente, la tradurremo e la doppieremo in ucraino e inglese». Ma Zelensky non ha accettato di parlare solo nella lingua del popolo che ha invaso il suo Paese, così ne è uscita una conversazione in un mix di tre lingue – ucraino, russo, inglese – che è stata poi tradotta, doppiata e sottotitolata. C’è stato anche qualche momento di imbarazzo perché alcune battute in ucraino di Zelensky arrivavano con uno o due secondi di ritardo a Fridman a causa del doppiaggio, così la risata vista da fuori sembrava sempre forzata o fuori luogo.
Parlando di negoziati e di mediazione dell’Occidente, Zelensky è sembrato ottimista in certi passaggi. Soprattutto quando si parlava del ruolo che potrebbe e dovrebbe avere Trump, cioè un presidente americano con un mandato forte e con ottimi argomenti per costringere la Russia a colloqui di pace. «Prima di tutto Trump e io dobbiamo trovare un accordo e concordare forti garanzie di sicurezza per fermare la guerra, per fermare Putin. E sono sicuro che lui, insieme all’Europa, possa garantire delle forti condizioni di sicurezza. Dopodiché si può parlare con i russi», ha detto speranzoso il presidente ucraino. E se è vero che Trump è stato più volte aggressivo nei confronti di Zelensky nei mesi scorsi, è anche vero che ha giurato di poter porre fine alla guerra in un giorno. «Penso che il presidente Trump non solo abbia la volontà, ma ha anche la possibilità di farlo. Conto davvero su di lui, e penso che la nostra gente conti davvero su di lui, quindi ha abbastanza potere per fare pressione su Putin», ha detto ancora Zelensky.
C’è una fiducia limpida verso Trump nelle parole di Zelensky. E non è un caso che in questa parte della conversazione l’Europa finisca in secondo piano. Zelensky si limita a dire che «l’Europa sosterrà la posizione dell’Ucraina». È una scelta consapevole del presidente ucraino, perché Fridman è un vecchio amico di Elon Musk (gli ha dato anche qualche lezione di jiu jitsu in vista del match di lotta libera mai disputato con Mark Zuckerberg; Musk ha rilanciato quest’intervista su X) e il suo pubblico si sovrappone molto con l’elettorato di Trump, quindi il focus è andato inevitabilmente sugli Stati Uniti e semmai sulla Nato. Anzi, in alcuni momenti è sembrato quasi che Zelensky volesse imbonire Trump o il mondo Maga: ha commentato la vittoria elettorale attribuendola a una forza «intellettuale e fisica» del presidente eletto.
Ad ogni modo, l’Ucraina avrà bisogno di un enorme lavoro diplomatico e politico da parte dell’Occidente per proteggere il suo territorio e i suoi cittadini. Soprattutto, dice Zelensky, c’è bisogno di un approccio più deciso, che non sia solo un gioco retorico sulle linee rosse da non superare. Serve una vera politica di intimidazione e deterrenza, l’unico linguaggio che Putin comprende. «Non serve a niente dire “Se si muove in questa direzione, se attraversa i confini, se uccide, allora imponiamo sanzioni”, questa è una stronzata enorme. Mi dispiace, ma è così», ha detto.
Un atteggiamento aggressivo è l’unico modo per assicurarsi che la Russia rispetti un eventuale cessate il fuoco. «Se parliamo di un accordo, dobbiamo capire esattamente quali garanzie di sicurezza sono in atto per la parte di Ucraina che controlliamo. Ci devono essere garanzie che lui (Putin, ndr) non tornerà ad attaccare. Questo è un punto fondamentale».
Anche perché, è bene ricordarlo, il gigantesco Stato russo che sta al di là del confine si comporta come una potenza imperialista con metodi da brutale potenza coloniale, con uno sprezzo per la vita umana che ha pochi paragoni. Dopotutto Putin manda i giovani russi a morire in una guerra di aggressione che risponde solo alla sua volontà di potenza. «Non ama il suo popolo. Ama solo la sua cerchia ristretta», ha spiegato Zelensky in risposta a una provocazione di Fridman, secondo cui Putin è una «persona che ama il suo Paese».
E quando Fridman ha provato a portare la conversazione sulla via del dialogo tra Ucraina e Russia, parlando di un’inevitabile ricerca di un compromesso tra le parti, Zelensky lo ha fermato subito: «Il fatto che lui [Putin] non sia in prigione dopo tutti le morti di cui è responsabile, il fatto che nessuno al mondo sia in grado di metterlo al suo posto, di mandarlo in prigione, sembra un piccolo compromesso?». «Non è un piccolo compromesso. E perdonarlo non sarà un piccolo compromesso», ha risposto in maniera subdola Fridman. Allora Zelensky lo ha incalzato: «Perdonarlo? Nessuno lo perdonerà. È assolutamente impossibile perdonarlo. Parliamo di una persona che ha portato via alle famiglie ucraine la cosa più preziosa di tutte, i loro figli. Nessuno può dimenticare ciò che ha fatto».
Zelensky ha parlato anche del ruolo avuto in questa guerra dal dittatore bielorusso Aleksandar Lukashenko, un altro capo autoproclamato leader di un regime brutale che fa da stampella al Cremlino. Ha raccontato che nei primi giorni dell’invasione Lukashenko l’ha chiamato, come per scusarsi al telefono. Ha parlato dei missili lanciati dalla Bielorussia: «Ha detto “Non sono stato io, è stato Putin a lanciare missili dal mio territorio”. Si è scusato, ha detto anche che gli ha chiesto di non farlo». Ovviamente non c’è da credergli: Zelensky definisce Lukashenko un assassino proprio come Putin, che ha permesso al criminale del Cremlino di passare dal suo territorio per aprire un altro fronte nella sua guerra contro l’Ucraina.