La fine delle forniture di gas russo alla regione separatista della Transnistria in Moldavia sembra aprire un problema forse più grande del previsto. Se i media europei piangono guardando alle quotazioni del gas, che ieri ha chiuso sopra i 50 euro al megawattora, sui massimi da ottobre 2023 (ma è colpa anche dell’interruzione di un impianto di Gnl in Norvegia), le autorità filorusse della Transnistria lamentano una situazione drammatica dovuta alla chiusura di tutte le aziende, eccezion fatta per le fabbriche alimentari.
Nel territorio, prevalentemente russofono vivono 450 mila persone che ora, spinte dal freddo e dal disagio, auspicherebbero la protezione di Mosca. La Transnistria ha vissuto una separazione dalla Moldavia negli anni Novanta, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ma risente di tensioni ai propri confini che ne hanno ritardato lo sviluppo economico. La sua posizione ufficiale è quella di unità territoriale autonoma, quindi di una regione dipendente dalla Moldavia, protettorato mai del tutto digerito dalla popolazione.
Per questo oggi gli osservatori internazionali temono che il duro colpo causato dall’interruzione di mercoledì scorso delle forniture di gas russo all’Europa centrale e orientale possa aprire un altro fronte favorevole al Cremlino.
«Tutte le imprese industriali sono inattive, tranne quelle impegnate nella produzione alimentare, che garantiscono la sicurezza alimentare del nostro paese», ha detto alla tv locale Sergei Obolonik, vice primo ministro della regione. «Il problema è così esteso che se non sarà risolto saremo colpiti da cambiamenti irreversibili, con le imprese che perderanno la capacità di ripartire».
Ora la Transnistria chiede dunque aiuto e protezione alla Russia, riaccendendo i timori per ulteriori spinte separatiste, il che intaccherebbe la già precaria situazione della Moldavia che sta seguendo il faticoso iter di ingresso in Europa. Sul proprio territorio la Transnistria ospita 1500 soldati russi, ma nonostante i forti legami con Mosca, le autorità regionali non si sono premurate di scegliere forniture energetiche alternative. Come invece hanno fatto e stanno facendo altri paesi europei, ex grandi “clienti” del metano russo, come Slovacchia e Austria.
La piena paralisi energetica nella quale si trova l’area da mercoledì sta comportando la totale assenza di acqua calda nelle abitazioni e soluzioni spartane come riscaldarsi riunendosi in un’unica stanza e coprendo le finestre con tende o coperte.
Il presidente filorusso della Transnistria, Vadim Krasnoselsky, ha poi spiegato che la regione possiede riserve di gas che potrebbero durare per dieci giorni di utilizzo limitato nelle zone settentrionali e il doppio nel sud. La centrale elettrica principale è passata dal gas al carbone e dovrebbe essere in grado di fornire elettricità ai residenti nell’arco di un paio di mesi.
La Russia forniva circa due miliardi di metri cubi di gas all’anno in Transnistria e in queste ore il direttore della compagnia nazionale del gas Moldovagaz, Vadim Ceban, ha dichiarato che la sua azienda ha comunicato al distributore del gas nell’enclave separatista di essere disposta ad aiutare ad acquistare gas dai paesi europei per superare il momento difficile. Ma qualsiasi gas fornito alla regione dovrebbe essere pagato a prezzi di mercato, ha aggiunto in una intervistaà. Per anni la Transnistria non ha pagato nulla per le forniture provenienti dal gigante russo Gazprom, in base a un tacito accordo con Mosca.
Intanto poche ore fa, Maria Zakharova, portavoce del ministero degli esteri di Mosca, ha dichiarato che la perdita di gas russo sta danneggiando economicamente l’Europa e che a beneficiarne è soltanto l’America: «La responsabilità della cessazione delle forniture di gas russo ricade interamente sugli Stati Uniti, sul regime di Zelensky nonché sulle autorità degli stati europei che hanno sacrificato il benessere dei loro cittadini per fornire sostegno finanziario all’economia americana».