La prima volta che ho visto “Harry… ti presento Sally” non me la ricordo, però ricordo benissimo la prima volta che l’ho intravisto. Era una vhs in inglese che stava andando sul televisore del tizio che mi piaceva, mi ero presentata a casa sua non invitata (avevo diciott’anni, che è l’ultima età alla quale possa sembrarti una buona idea) e seduta sul pavimento in calzettoni e accappatoio c’era una strafiga che guardava Meg Ryan interpretare l’eroina romantica più nevrotica della storia cinematografica delle nevrosi.
L’orgasmo che simula Sally Albright non era la scena più memorabile: le scene più memorabili di quel film hanno tutte dentro Carrie Fisher, com’era ovvio accadesse non solo perché quella era Carrie Fisher, ma anche perché caratteristica precipua delle commedie romantiche è che l’amica della protagonista è sempre cento volte più interessante della protagonista.
Però era la scena di cui più piaceva parlare ai giornali (fatti già allora da adulti complessati che quando avevano una scusa per parlare di sesso eran sempre contenti), e quella che, prima di “Sex and the city”, inaugurò un’economia di «voglio mangiare dove ha mangiato la tizia sullo schermo».
Se negli ultimi trentacinque anni chiunque sia andato per la prima a volta a New York è andato da Katz’s, non è perché hanno il pastrami migliore che ci sia, ma è perché quello è il tavolo al quale Meg Ryan costringeva Billy Crystal ad ammettere che gli uomini sono incapaci di capire se quella con cui sono a letto stia fingendo.
“Harry… ti presento Sally” non è la miglior commedia romantica di fine Novecento (“Notting Hill” è meglio, “Il matrimonio del mio migliore amico” è meglio, persino “C’è posta per te” è meglio), ma è quella che ha il più spendibile gancio di costume – il tuo migliore amico potrebbe in realtà essere la tua anima gemella, potresti accorgerti dopo anni che la persona con cui sei destinata a stare tutta la vita era già nella tua vita – e quindi è quella più citata, più evocata, più – direbbero gli analfabeti – iconica.
Quando la settimana scorsa Meg Ryan ha detto che lei e Billy Crystal sarebbero tornati, e lui nella foto aveva il maglione bianco che ha in una scena del film, l’ormai saputissimo pubblico americano ha capito subito: uno spot per il Super Bowl.
Il Super Bowl è la partita finale del campionato di football, giocata e trasmessa la seconda domenica di febbraio. È, anche, l’ultimo evento televisivo novecentesco che gli Stati Uniti abbiano, il loro Sanremo: lo guardano a decine di milioni, degli spot dei prodotti trasmessi in mezzo (spot fatti apposta per l’occasione) si parla per settimane, e così dell’esibizione musicale nell’intervallo.
Con una mossa per niente novecentesca, la maionese Hellmann ha deciso di svelare in anticipo lo spot per il quale immagino abbia coperto di soldi Ryan e Crystal. Prima c’è stato un antipasto, una settimana fa, con il video d’una cameriera che ripeteva il dettagliatissimo ordine di Sally. Nora Ephron – che scrisse il film – ha raccontato un milione di volte che Rob Reiner, il regista, le disse «devi assolutamente metterlo nella sceneggiatura» dopo averla osservata ordinare un qualche piatto con un milione di variazioni. È una di quelle cose di cui i giornali scrivono che hanno liberato le donne: prima non si poteva ordinare così. Quando si parla di fisime femminili, dobbiamo sempre fare la parte di quelle che non fanno le cose finché qualcuno non dà loro il permesso: finché non lo vediamo al cinema e non agiamo per emulazione, non andiamo al ristorante da sole o non chiediamo la salsa a parte, timorose che ci guardino strano – ma chi, ma quando?
Semmai, il tic di Sally Albright ha creato una generazione di ristoratori insofferenti che, per non dover impazzire dietro alle richieste di variazioni di chiunque, trattano anche un toast come una ricetta immutabile: ho capito che il mondo era andato a rotoli la prima volta in cui, saranno passati più di quindici anni, al Panino Giusto (una catena di Milano in cui vendono, appunto, panini) mi dissero che era vietato chiedere di aggiungere ingredienti. Non disturbare il manovratore, pure se manovra dei cazzo di panini.
Due giorni fa, come se Carlo Conti mandasse in giro i concorrenti a farci il pezzo prima di farcelo sentire a Sanremo, la Hellmann ha pubblicato in anticipo sulla serata del Super Bowl lo spot, che è esattamente come ce lo potevamo aspettare. Proprio come nella foto che aveva instagrammato Meg Ryan, l’unica cosa uguale è il maglione di Billy Crystal (se vogliamo far della filologia, nel film lo indossava in un’altra scena, non in quella dell’orgasmo). No, non è vero: sono uguali anche gli arredi di Katz’s, uno di quei posti abbastanza furbi da non cedere al restyling.
Il resto, è tutto nuovo che avanza. Nuove le facce di Ryan e Crystal, due che fanno sembrare i maschi del giornalismo italiano col trapianto di capelli e la blefaroplastica gente che accetta serenamente il passare del tempo. Nuova la tizia che dice «Prendo quel che ha preso la signora» dopo aver visto Meg Ryan avere un orgasmo da maionese.
Nel film era la madre del regista, una signora anziana perfettamente credibile come cliente del tavolo vicino. Ma adesso c’è l’inseguimento del pubblico giovane. Servono quelle che i ragazzi guardano su TikTok, le bellocce men che trentenni. Servono per fare Concetta – la figlia baffuta del principe di Salina che nella versione Netflix del “Gattopardo” sarà quella strafiga di Benedetta Porcaroli – figuriamoci se non servono per vendere la maionese.
Nello spot Hellmann, dopo aver visto Meg Ryan avere un orgasmo – «questa volta vero», commenta Billy Crystal – è Sydney Sweeney a volere la maionese, e se come me siete vegliardi occorrerà precisare che Sydney Sweeney è una delle più clamorose sventole del cinema attuale (una condizione, la sventolitudine, per mantenere la quale in genere la maionese non la mangi neanche sotto minaccia armata, ma non cavilliamo).
Di recente hanno annunciato un nuovo “Il diavolo veste Prada”, e io non vorrei essere la vegliarda inacidita che dice che le cose che ci sono piaciute mille anni fa dovete lasciarle stare e non rovinarcene il ricordo, però almeno stabiliamo delle linee-guida. Se dovete appropriarvi del nostro immaginario, che sia per uno spot pubblicitario che posso dimenticare appena finisco di scrivere questo articolo. Harry e Sally rifatti come due ospiti del Billionaire confinateli lì, non mandateli al cinema. Miranda Priestly che si preoccupa della salute mentale delle segretarie tenetela per uno spot di psicologi vegani: non fatemela vedere in un film, ve lo chiedo per favore.
Ve lo chiedo perché sono, come tutti, perfettamente racchiusa in quella battuta di “Harry… ti presento Sally” in cui Carrie Fisher sbuffava che tutti credono di avere buon gusto e senso dell’umorismo, ma mica possono avercelo tutti. Lo credete voialtri che progettate rifacimenti a proposito di voi stessi, ma lo credo anch’io di me. E lo credo più forte.