Camillo di Christian RoccaApologia delle ragioni di Luca Coscioni, uno da non lasciare ammuffire

Non condivido una parola della nostra, intesa come del Foglio, battaglia culturale sulla bioetica e l’ho scritto quando fu approvata la legge 40, una legge che si prefigge di regolamentare la fecondazione assistita, ma che in realtà la impedisce. Posizione legittima specie Oltretevere, scrissi allora, ma nasconderla dietro il titolo "Procreazione medicalmente assistita" è robetta da trecartari. Sarebbe stato più corretto proporre un testo di sette parole: "La procreazione medicalmente assistita è vietata". Punto.
Merito del Foglio è stato quello di elevare il dibattito rispetto alle meschinerie di quella legge. Questo giornale infatti non ha condotto una battaglia sul numero massimo di embrioni da impiantare nel corpo della donna, né ha difeso l’inseminazione forzosa di Stato. Per chi non lo sapesse l’editto taleban-vaticano numero 40, corretto dalle linee guida del Ministero, impone al medico di non scartare (anatema) e di non mettere a disposizione della ricerca (giammai) gli embrioni destinati comunque a morire. Sarebbe un peccato (concetto nobile, ma religioso) sottointende la legge, quindi va vietato (strumento giuridico ed erga omnes).
Gli embrioni morenti dovranno ugualmente essere impiantati nell’utero della ragazza, ai sensi della legge e in nome del popolo italiano, per lasciarli ivi morire. Dentro il corpo della donna, anziché in laboratorio. Meglio l’aborto, meglio i raschiamenti, le aspirazioni, i ricoveri in clinica, piuttosto che scartare l’embrione morente e magari perdere la benedizione del monsignore. Questo hanno previsto i legislatori.
Ma, appunto, il dibattito è su altro: l’embrione è vita, e la vita non si può sopprimere per crearne o curarne un’altra. Fila liscio, in effetti. Però ci sono due però. Il primo è quello sulla ricerca scientifica, il secondo segue. Cominciamo dal primo.
Il più potente manifesto a favore della ricerca sulle cellule staminali embrionali è stato pubblicato dal Foglio (in prima pagina, onore in dieci anni spettato soltanto a Silvio Berlusconi, George Bush e Adriano Sofri) a firma del professor Angelo L. Vescovi, "uno dei più importanti studiosi del mondo" che in teoria avrebbe voluto dimostrare il contrario. Vescovi ha cortesemente anticipato al nostro giornale il bell’intervento che pronuncerà il 31 gennaio all’Accademia dei Lincei. La sua tesi è chiara e condivisibile, tranne che nelle conclusioni: oggi ­ ha scritto Vescovi ­ le uniche terapie esistenti nascono dalle cellule staminali adulte, non da quelle embrionali. Bene, benissimo e infatti nessuno l’ha mai negato.
Poi, spiega il professore, ci sono anche terapie che si basano sull’autotrapianto di cellule, cioè su staminali prese dallo stesso corpo del paziente. Bene, benissimo e chi ha mai detto di no?
Il punto critico è quello sulle cellule staminali embrionali, cioè sulla manipolazione della vita in potenza o in atto a seconda se si è d’accordo con Emanuele Severino o con Beppe Grillo. Vescovi dice che oggi non esistono farmaci o terapie che si basano su queste cellule, dunque è falso sostenere che se fosse lecita la ricerca sulle staminali istantaneamente milioni di malati guarirebbero. Verissimo.
Questa falsità, però, da noi non l’ho mai sentita, se non nelle argomentazioni di chi vuole vietare la ricerca. Piuttosto, è vero, l’ha detta John Edwards, il candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti, il quale in piena campagna elettorale disse che se l’America avesse eletto Kerry e sconfitto Bush, "Christopher Reeve avrebbe ripreso a camminare". Era una stupidaggine, e comunque Superman ora è morto.
In Italia, gli sponsor politici della ricerca sulle staminali, cioè i radicali, non l’hanno mai posta in questi termini. Piuttosto, esattamente come la mette Vescovi sul Foglio. Il professore, infatti, mica dice che le staminali servono a niente. Dice il contrario: "Esiste la possibilità che le cellule staminali embrionali possano essere utilizzate per lo sviluppo di numerose terapie rigenerative ad oggi incurabli, quali il diabete, il morbo di Alzheimer eccetera". Solo che, continua Vescovi, "non è attualmente possibile prevedere se e quando questo diverrà possibile data la scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano l’attività di queste cellule". Ecco, appunto. Se manca la conoscenza, è il caso di conoscere prima di deliberare, no? E, ancora, dice Vescovi, "questa tesi è sicuramente logica e sostenibile fintanto che si accetti il fatto che si sta parlando di prospettive future".
Accettato, professor Vescovi.
Lei che è un esperto della materia, uno dei migliori al mondo, ricerchi pure con calma, studi per bene, si prenda tutto il tempo necessario e poi ci dica se quelle speranze erano mal riposte o meno. Ce ne faremo una ragione, nel caso. Che cos’altro dovrebbe fare, se non questo, un ricercatore che intravede una sia pure remota possibilità di successo?
Ma Vescovi propone il contrario: pur ammettendo che è possibile, anzi probabile, che in futuro grazie a quelle cellule possano scoprirsi rimedi a malattie altrimenti incurabili o curabili meno efficacemente, anziché lavorare sodo, chiedere soldi, pungolare il governo, battersi per trovare finanziamenti, incomprensibilmente dice di no. Meglio non ricercare, non esplorare quella possibilità che lui stesso ci ha descritto. Ma che studioso è uno che non vuole studiare? O è come Massimo Moratti che pensa di vincere (e non vince) facendo a meno della stamina di Roberto Carlos e di Cannavaro, oppure la decisione del ricercatore di non ricercare è dettata dall’Alto. E con la scienza non c’entra più niente.
Eppur si muore, però. Tanto più che non si discute soltanto di embrioni da fabbricare per la ricerca, ma intanto di embrioni già esistenti e inutilizzati, quelli destinati comunque a morire. La legge 40 preferisce buttarli nel cesso, farne strage e pulizia etnica in nome della vita, piuttosto che metterli a disposizione di quei tanti ricercatori che a differenza del professor Vescovi vogliono continuare a ricercare.
Per capire di che cosa stiamo parlando, e di quanto sia retrogrado il nostro discutere, uno come George W. Bush, che passa per un fondamentalista religioso teleguidato dagli evangelici, ha autorizzato ­ ripeto: ha autorizzato ­ per la prima volta nella storia della Casa Bianca finanziamenti federali per la ricerca sugli embrioni, ovviamente su quelli già esistenti.
La posizione di Bush è ragionevole, sia dal punto di vista laico sia da quello religioso, a meno che non si scada nel laicismo integralista o nell’agnolismo (da Francesco Agnoli, il Marco Travaglio della bioetica, nostro illustre collaboratore che ogni due per tre tiene a ricordare che quello immediatamente successivo al concepimento è un momento magico della giustizia divina). Forse perché suggerita dal reverendo Billy Graham invece che da Antonio Socci, la politica di Bush è questa: no alla creazione di embrioni in laboratorio con i soldi dei contribuenti perché parte di quei contribuenti, cioè i cristiani, crede che sperimentare sugli embrioni sia omicidio; sì alla ricerca sugli embrioni esistenti destinati a morire; sì, visto che l’America è un paese religiosamente laico, a tutte le iniziative di ricerca scientifica finanziate dai privati.
Il Consiglio presidenziale di Bioetica americano, zeppo di conservatoroni, da tempo discute in modo serio come conciliare le ragioni della vita con quelle della ricerca. Oggi lavora su uno schema che potrebbe superare il problema etico dell’uccisione degli embrioni. William Hurlbut, dell’ala più conservatrice del Consiglio, parte da san Tommaso: la vita di un animale risiede nella sua interezza, un essere umano è qualcosa di più della somma delle sue parti. Così anche l’embrione. Ma se l’umanità di un embrione risiede nella sua interezza, la sua utilità scientifica si trova anche in una delle sue parti. Le parti di un embrione potrebbero continuare a produrre cellule staminali anche se, per evitare problemi morali, il ricercatore mantenesse queste parti separate. Come? "Spegnendo" i geni che guidano la formazione dell’embrione. Li chiamano pseudo embrioni, entità biologiche o artefatti biologici. Non essendo mai nati, non possono essere uccisi.
Altri scienziati della Columbia propongono di regolarsi come nell’asportazione degli organi, cioè di prendere le staminali dagli embrioni subito dopo che muoiono. Tecnicismi? Soluzioni alla Frankenstein? Forse. Resta il fatto che fuori dall’Italia si discute come salvaguardare ricerca&salute e tutelare le legittime sensibilità religiose.
D’accordo su un punto, quindi: l’embrione è vita, e la vita non si può sopprimere per curarne un’altra. Ma se domani scoprissimo, come non esclude Vescovi, che con le staminali embrionali si guarirebbe dal Parkinson, dall’Alzheimer e dalla sclerosi multipla? Non si pone un altro problema etico? Se l’embrione non è muffa, certo non lo è nemmeno Luca Coscioni, a meno che non lo si voglia lasciare ammuffire. Meglio tutelare un embrione oppure salvare un essere umano in carne e ossa di anni 37?
Il Foglio sceglierebbe la busta numero 1, anzi ha paragonato l’esposizione del corpo di Coscioni alla processione della Madonna di Civitavecchia. Ma ci siamo dimenticati che a differenza dell’embrione vivente e della statuetta lacrimante, Luca è respirante e pensante. Come noi. Luca-siamo-noi, non in atto né in potenza, ma qui e ora. Preferire l’embrione-vita alla vita-di-Coscioni equivale a credere che ci sia vita nella Madonna di Civitavecchia. Tanto poi chi se ne fotte se nel mondo c’è chi lacrima davvero.