Si candida. Tenetela d’occhio, Hillary. Lei non ne farà cenno neanche sotto tortura, ma state certi che la signora Rodham Clinton non pensa ad altro che a diventare nel 2008 la prima donna presidente degli Stati Uniti. La strategia per ora è questa: negare, negare, negare ma, sotto sotto, darsi da fare, darsi da fare, darsi da fare per facilitare la discesa in campo. "Hillary for president" è la candidatura più annunciata e meno confermata degli ultimi tempi. Tutti sanno che la senatrice cercherà di mettere ancora una volta la targhetta Clinton sulla porta della Casa Bianca, ma non troverete nessuno dei suoi amici né dei suoi consiglieri, tantomeno suo marito, disponibile a confermare la scelta per le presidenziali del 2008.
Eppure Hillary è il solo nome riconoscibile del Partito Democratico, la speranza dei liberal americani, l’unica persona che riesce a scaldare i cuori e le menti della sinistra liberale made in Usa. E poi volete mettere il gusto di far tornare Bill alla Casa Bianca, stavolta da first gentleman?
I due partner, moglie e marito, sembrano essere tornati soci, come ai vecchi tempi. Allora si diceva che fosse Hillary la mente politica di Bill. Ora si dice che sia Bill il segreto del successo di Hillary. Sono vere entrambe le cose, perché non c’è Hillary senza Bill, e non c’è Bill senza Hillary. "Billary", li chiamavano. "Billary" li chiamano ancora, nonostante Monica Lewinsky e tutto quello che è successo. Non importa se fingono o se fanno sul serio, "Billary" è una rodata azienda di famiglia. Lei ha strabattutto lui nelle vendite della propria biografia, ma lui ha ricevuto un anticipo milionario più alto, insieme hanno sbancato le librerie. I maligni sostengono che la coppia in realtà sia così affiatata da aver architettato il perfido piano di facilitare la candidatura di John Kerry, uno che non avrebbe mai potuto battere un presidente di guerra come George Bush.
Ora che Bush non può ricandidarsi, la strada di Hillary è spianata. Eppure alla Convention del Partito Democratico dello scorso agosto, fece quasi scalpore che Hillary e Bill si alternarono sul palco scambiandosi soltanto un abbraccio gelido e nessun bacio, come sarebbe di regola nella politica americana. Sul palco non c’era nemmeno la figlia Chelsea, come sempre refrattaria alle apparizioni pubbliche. Ma è arrivata l’ora anche per lei. Chelsea, a febbraio 25enne, due mesi fa è diventata improvvisamente protagonista all’inaugurazione della Biblioteca Nazionale di Little Rock dedicata a Bill.
Un sondaggio condotto tra gli elettori del partito, nei giorni successivi la sconfitta di Kerry, ha svelato che l’ex first lady è al primo posto delle preferenze dei militanti per le elezioni del 2008. Al momento soltanto Kerry, se decidesse di ricandidarsi, e il suo candidato vicepresidente, cioè John Edwards, potrebbero contenderle la candidatura. Ma la loro netta sconfitta contro Bush avvantaggia Hillary. La senatrice però ha un problema: è il personaggio pubblico più odiato tra i conservatori. Fa incavolare la destra come nessun altro, esattamente quanto Bush fa orrore ai liberal di sinistra. "Ottimo", dicono ai giornali americani le anonime fonti vicine alla Clinton: "L’America oggi è un paese diviso a metà, radicalizzato. E’ difficile conquistare voti sull’altro fronte. Per vincere serve mobilitare al massimo la propria base. Hillary, dunque, è perfetta". E’ la stessa teoria che l’architetto della vittoria di George Bush, Karl Rove, ha studiato e messo in pratica per Bush durante il 2004.
Hillary però è malvista anche tra i suoi. Metà delle femministe non la sopporta, per l’atteggiamento da brava mogliettina tenuto ai tempi di Monica Lewinsky. Non piace alla sinistra estrema perché ha autorizzato la guerra in Iraq e per le sue (recenti) posizioni filo israeliane.
La strada è lunga, e la senatrice è attentissima a non commettere passi falsi. Una cosa è certa: la Clinton è pronta per le prove generali. Ha deciso, infatti, di ricandidarsi al Senato. Le elezioni per il seggio di New York si terranno a novembre del 2006, tra 23 mesi, due anni prima del voto per la Casa Bianca. "Gli amici di Hillary", associazione che sostiene la senatrice, ha già cominciato a raccogliere fondi per la campagna elettorale e a rintuzzare le prime cariche dei concorrenti repubblicani. In cassa ha già cinque milioni di dollari, ma ne serviranno molti di più per una campagna che avrà un’eco nazionale.
Il seggio nello Stato di New York non è in pericolo, negli ultimi cento anni mai nessun senatore Democratico ha perso una campagna di rielezione. Il rischio per Hillary è ben più grande, tanto che alcuni consiglieri le avevano suggerito di lasciar perdere, di abbandonare l’attività parlamentare e di concentrarsi sul premio principale: la candidatura a presidente. C’è il timore, spiegano gli scettici, che la campagna elettorale senatoriale costringa Hillary a prendere posizioni scomode che poi potrebbe pagare nella successiva corsa alla Casa Bianca. A New York, infatti, l’elettorato è in maggioranza di sinistra, cosicché corteggiarlo per tornare al Senato sarebbe controproducente nella campagna elettorale del 2008, in un’America che complessivamente è molto più conservatrice di Manhattan. Ma lo Stato di New York non è composto solo dalle mille luci di Times Square. Tutta la parte nord è socialmente simile all’Ohio, lo Stato che ha fatto perdere la presidenza a John Kerry. Hillary, insomma, potrebbe cominciare a prendere le misure per la campagna del 2008.
C’è poi un’altra cosa: da oltre quaranta anni nessun senatore è stato eletto presidente degli Stati Uniti. L’ultimo è stato John Kennedy. Non tanto perché gli americani detestino i senatori, cioè i politici di professione, piuttosto perché i tanti voti espressi in Aula sugli argomenti più diversi, in campagna elettorale sono utilizzati dagli avversari per distruggere l’immagine del candidato. Ma Hillary è convinta di poter sfruttare a suo favore quest’opportunità. Lei ha fama di donna di sinistra, di femminista, di essere la principale sostenitrice di un intervento dello Stato nella spesa sanitaria. Caratteristiche che farebbero perdere le elezioni anche a Superman. I repubblicani avrebbero infatti gioco facile a dipingere Hillary come una pericolosa rivoluzionaria incapace di difendere il paese. Ecco perché il seggio al Senato serve a Hillary. Le serve a dimostrare che sarà un presidente di cui gli americani potranno fidarsi, forte, anzi fortissimo, sui temi della sicurezza nazionale e contro il nemico islamista. Nei suoi primi quattro anni al Senato, Hillary ha fatto proprio questo: ha votato per cacciare Saddam ed è stata uno dei senatori più duri contro il terrorismo islamico; ha tenuto un profilo alto, collaborando spesso con i repubblicani; s’è schierata contro il matrimonio gay e contro l’immigrazione clandestina, ed è molto più attenta del presidente al deficit pubblico e al bilanciamento dei conti federali. "Sta facendo tutte le cose giuste nell’eventualità decidesse di candidarsi alla presidenza", dicono i suoi. I più visionari immaginano una (improbabile) sfida femminile tra Hillary e Condoleezza Rice. I fan del nuovo Segretario di Stato di Bush hanno già preparato il sito Internet: www.rice2008.com.

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