Camillo di Christian RoccaThe Right Soros

Milano. Accadono cose molto curiose nel mondo della circolazione delle idee politiche. Il finanziere-filantropo George Soros, si sa, ha speso tanti soldi per tentare di sconfiggere George W. Bush e, come ha raccontato mercoledì il Financial Times, molti altri ne spenderà nei prossimi mesi. Il mezzo prescelto dall’uomo che un tempo speculò sulla lira e che da sempre finanzia le iniziative democratiche di mezzo mondo è quello più nobile: creare una rete di centri studi, di associazioni e quant’altro per produrre idee e rispondere ai serbatoi di pensiero della Right Nation. La Right Nation, come da titolo del libro dei due corrispondenti Usa dell’Economist, è l’America Giusta e di Destra che trent’anni fa cominciò una battaglia culturale e politica contro la deriva a sinistra del liberalismo. Quella battaglia è stata vinta. Oggi l’agenda politica è dettata dagli studi, dalle riflessioni e dalle analisi dei think tank di destra nati sulle ceneri della rovinosa sconfitta elettorale di Barry Goldwater. La sinistra liberal invece è costretta a rincorrere, a rintuzzare, ed è dai tempi del movimento per i diritti civili che non conduce più il dibattito politico.
Il primo prodotto di questo rinnovato sforzo di Soros è un libro appena pubblicato. Si intitola "The Democracy Advantage" ed è stato scritto da tre analisti: Morton H. Halperin, collaboratore di Madeleine Albright e oggi direttore della Open Society di Soros; Joseph T. Siegle, del Council on Foreign Relations; e Michael M. Weinstein, ex editorialista economico del New York Times, oggi direttore della Fondazione Robin Hood.
Il libro spiega con un mucchio di dati, cifre e grafici come i regimi democratici producano ovunque e comunque pace e prosperità. Nei circoli diplomatici e accademici ci sono sempre stati ­ denunciano gli autori ­ dubbi molto consistenti sull’opportunità di promuovere la democrazia nelle parti del mondo meno sviluppate: "Nel secondo dopoguerra la visione prevalente è stata quella secondo cui lo sviluppo economico dovesse precedere la democrazia". L’idea, ripresa di recente anche da un fortunato saggio di Fareed Zakaria, si basa sulla convinzione che la democrazia non abbia alcuna possibilità di riuscita in mancanza di una forte classe media e di una identità comune. Insomma, le cose che si sentono dire ogni giorno a proposito dell’esperienza afghana e irachena. "La conseguenza di questa visione porta a sostenere che nelle fasi iniziali della nascita di una nazione, i governi autocratici siano più capaci di generare sviluppo. E che i paesi poveri non siano adatti".
Non è affatto così, spiega il libro. Non è vero che aprire le urne nei paesi etnicamente divisi contribuisca a radicalizzare le posizioni. Non è vero che la guerra civile sia il risultato inevitabile. Dati alla mano, i tre analisti politicamente corretti spiegano che non sta in piedi "l’idea che alcuni valori culturali di certe società ­ asiatiche, africane, europee dell’est, ex sovietiche o arabe ­ siano intrinsecamente incompatibili con la democrazia". Vi suona nuovo? Oppure l’avete già sentito dire a George W. Bush?

Chi non considera il fattore democratico
E’ questa la cosa curiosa. I liberal e l’establishment accademico si organizzano, spendono soldi, producono libri e tirano fuori idee che George W. Bush sta già provando a realizzare. Accusano l’establishment politico e culturale mondiale di non capire l’importanza del fattore democratico, ma non si accorgono che sono proprio loro l’establishment. La prefazione di George Soros altrimenti sarebbe un manifesto neocon: "Nel corso degli anni molti hanno sostenuto che un qualche tipo di dittatura fosse necessaria per ottenere lo sviluppo economico nei paesi poveri". E’ un errore blu, spiega Soros. "Il riconoscimento del vantaggio democratico dovrebbe riformare le strategie occidentali per ridurre la povertà, rilanciare lo sviluppo e alimentare le speranze dei due terzi del mondo impantanato nella povertà. Eppure nell’attuale sistema globale mancano le forze interne che dovrebbero spingere i singoli paesi nella direzione democratica".
Mancano? Sì, per Soros, mancano. "Banche internazionali e società multinazionali spesso si sentono più a loro agio con un regime forte, se non autocratico. Questo sostegno diretto o implicito alle leadership autocratiche riflette una realtà importante: molte persone che vivono nelle democrazie industrializzate non credono che la democrazia sia un principio universale". Nell’universo pare ci sia anche l’Iraq.
E’ sempre Soros a scrivere, non Paul Wolfowitz, che le democrazie funzionano anche nei luoghi più disagiati perché dotate di "meccanismi di auto-correzione per attenuare i disastri". Soros non fa cenno a Bush. Scrive solo un paio di righe per denunciare che la war on terror, come la Guerra fredda, minaccia di perpetuare il sistema autoritario e promuove la democrazia soltanto per distruggere il Male. Infine: "Nonostante le democrazie non siano immuni al terrorismo, è molto meno probabile che diventino complici delle reti terroristiche e della proliferazione delle armi di distruzione di massa". Parola di The Right Soros.