Quelli che non sono "mai stati amici di Saddam Hussein" (parole di Massimo D’Alema, ieri) ma-che-se-fosse-dipeso-da-loro-il-dittatore-sarebbe-ancora-al-potere-non-solo-a-Baghdad- ma-anche-in-Kuwait (parole mie, oggi) giocano sempre a fare i furbi o almeno credono di esserlo. Per questo non mi piacciono, neanche quando dicono cose sensate. Lo dico subito: sono comunisti. Non che credano alla dittatura del proletariato o alla proprietà privata come furto. Figuriamoci. A quelle cose non hanno mai creduto e ora lo rivendicano con disinvoltura (ma se io fossi stato comunista gli chiederei i danni). Ovvia la comicità del Cav. quando dice che i diessini sono l’anticristo e vogliono imporre terrore e miseria. C’è, però, che sono comunisti nella forma mentis: un vizio inestirpabile e forse più grave rispetto a un passato di baci & abbracci a Ho Chi Minh e di giustificazioni delle invasione barbariche sovietiche. Sono comunisti nel senso di quel formidabile modo di ragionare connaturato alla tradizione culturale e politica di quel partito: la storia, se non la cronaca, gli ha sempre dato torto eppure sono sempre loro, i migliori, a far da Cassazione, a raccontarla e a rispiegarla senza mai prendere atto delle cantonate, piuttosto ribaltando gli argomenti di un tempo e mantenendo la medesima sicumera di allora. Così, se un tempo i socialdemocratici e i riformisti erano i traditori del partito, ora sono loro stessi a dirsi socialdemocratici e riformisti pur pretendendo di non aver tradito la propria storia. Sono più seri Armando Cossutta e Paolo Guzzanti, per dire di due parlamentari d’oggi, l’uno neocomunista e l’altro anticomunista, i quali hanno rinnegato o elaborato il lutto del fallimento di quella prodigiosa dottrina politica.
Oggi c’è l’Iraq: la rimozione di Saddam è stata un errore, dicono i fassiniani, ma le elezioni sono un evento eccezionale. Come ha spiegato Sandro Viola su Repubblica è una posizione che non ha alcun senso logico: un errore non può produrre un buon risultato, sennò è una cosa giusta. Al solito vogliono avere la botte piena e la moglie ubriaca, essere una sinistra moderna e stampare la Padania Rossa. Ecco perché non sono fassiniano manco per niente.
Certo, riconosco il valore di alcune parole di Fassino. Lui è il migliore dei postcom. Nel suo volto c’è sempre una certa sofferenza ogni qual volta è costretto a dire una cosa a cui non crede, tipo ritirare le truppe dall’Iraq. Soffre. Sa che non sta né in cielo né in terra. Sono cose che non vorrebbe dire, ma si capisce che le dice perché deve farlo. Eppure: perché deve farlo? Tony Blair non lo fa, per esempio. Non è che è proprio per questo che lui sta al governo, mentre i Ds possono solo aspirare a un ruolo di spalla di un democristiano come Romano Prodi?
Bravo Fassino, dunque, per aver detto una banalità come quella su chi siano i resistenti in Iraq e soprattutto per l’accenno sulla sinistra che sfila per la pace senza porsi il problema del dittatore iracheno. E’ stato bravo anche D’Alema, quando ha ricordato la dottrina dell’ingerenza democratica, oggi denigrata perché usata da Bush, ma che fu il punto cardine della politica dell’Ulivo mondiale e dei bombardamenti centrosinistra-style su Belgrado, senza Onu.
Tutto bene? Abbiamo una sinistra moderna? No, affatto. Con il seguito della sua relazione, Fassino è ripiombato su quegli stessi errori che un minuto prima aveva individuato: ha detto che Bush rivolge "inquietanti moniti all’Iran". Ma che cosa c’è di "inquietante" nel dire, come ha detto Bush, che "l’Iran è il primo sponsor mondiale del terrorismo e priva il proprio popolo della libertà che richiede e merita"? Perché dopo le belle parole sull’Iraq, Fassino ha ceduto al lilligruberismo definendo "bellicista" la politica americana sull’Iran, quando, invece, Bush ha detto che "stiamo lavorando con gli alleati europei per far capire bene al regime iraniano che deve rinunciare ai programmi nucleari"? Perché, ancora, ha ricordato con orgoglio di essere stato compagno di partito di Arafat? Perché ha insistito nel chiedere un piano Onu di ritiro delle truppe, quando sa benissimo che l’Onu lo ha già deciso sette mesi fa con la risoluzione 1546?
5 Febbraio 2005