Camillo di Christian RoccaCome il biennio 1992-93

La canea mediatica contro Luciano Moggi e il sistema del calcio italiano ha molte cose in comune con quanto è successo nel biennio 1992-93. Ieri è stato indagato Antonio Giraudo per falso in bilancio. Si apprende di vertici tra diverse procure della Repubblica durante i quali i magistrati si scambiano intercettazioni e notizie. Giornalisti compiacenti e gongolanti preannunciano ulteriori avvisi di garanzia e ipotizzano nuovi filoni di inchiesta. Marco Travaglio scatenato, Giuseppe D’Avanzo bacchetta quei magistrati di Torino che si sono permessi di archiviare senza chiedergli il permesso. Le inchieste intorno al Moggi world si moltiplicano. Una coinvolge la mafia russa per l’acquisto di un portiere ucraino girato alla Salernitana, come le indimenticate inchieste “cheque to cheque” di Torre Annunziata (indagati: Vladimir Zhirinovsky, l’arcivescovo di Barcellona e Licio Gelli) e “phoney money” di Aosta (con testimoni che coinvolgevano capi di stato come Bill Clinton, uomini dei servizi, Lorenzo Necci, Fini, Maroni, Bossi, Berlusconi, Tatarella). Non ci fosse di mezzo questa fastidiosa questione del Quirinale e poi l’impiccio della formazione del governo, avremmo i giornali impegnati in azioni di geometrica potenza contro Moggi, ancora più di quanto fanno già, con gli stessi toni e gli stessi argomenti di quel biennio giustizialista in cui con il petto in fuori ci hanno spiegato che per un cinquantennio la Dc ha vinto le elezioni perché associata alla sede di Corleone della Gea e che il Psi era un’associazione a delinquere finalizzata alle tangenti.
L’assoluzione giudiziaria e politica non arriverà da un Appello, dalla Cassazione o da un convegno di Italianieuropei, ad anni di distanza dalle monetine e dalla gogna. Al contrario c’è già stata, anzi è proprio sulla base di questa archiviazione giudiziaria che si sono conosciuti gli elementi che hanno fatto scatenare i soliti mozzorecchi, stavolta coadiuvati da coloro che interpretano la parola “garantista” come se fosse una crasi tra “garanzie” e “romanista” (o “interista”).
Il grande romanzo di Moggi infatti è scritto nella richiesta di archiviazione del pm di Torino, Marcello Maddalena, in cui, nero su bianco, si legge che non c’è “uno straccio di notizia” che consenta di continuare le indagini. Si tratta di una richiesta di archiviazione che proviene dalla stessa procura della Repubblica che fino a pochi mesi fa ha inscenato un processo per doping alla Juventus, uscendone sconfitta e con l’assoluzione piena dei dirigenti, dei medici e dei calciatori della Juve.
(segue dalla prima pagina) Scoppiato lo scandalo delle intercettazioni, che penalmente scandalo non è, si è avuta notizia di altre inchieste giudiziarie, a Napoli e a Torino, non sulla Juventus (anzi ieri Tuttosport ha scritto che nelle nuove intercettazioni napoletane ci sarebbero dirigenti di tutte le grandi squadre italiane), ma sulla società di procuratori Gea e sui suoi metodi di gestione dei calciatori e degli allenatori. Uno dei soci è Alessandro Moggi, il figlio di Luciano, ma anche i rampolli di altri proprietari di squadre di serie A. Da qui il processo mediatico all’intero sistema Moggi intorno al quale ruota il calcio di oggi.
Il caso Moggi è giudiziario, sportivo e politico. Stiamo parlando di un dirigente unanimemente riconosciuto come il signore del calcio italiano, assunto alla Juventus dieci anni fa per volere di Umberto Agnelli e del suo fido Antonio Giraudo. Fino a ieri l’altro i suoi successi erano così osannati che risultava difficile trovare cronista sportivo o dirigente calcistico che non si prostrasse ai suoi piedi, che non lodasse le fastidiose bugie che raccontava, che non si sbellicasse innanzi alle sue infelici battute. E’ noto alle cronache, per dire, come Massimo Moratti abbia tentato in mille modi di strappare Moggi alla Juventus, probabilmente memore dei successi del padre Angelo alle cui dipendenze lavorava il Moggi degli anni Sessanta, quell’Italo Allodi per il quale – nel suo periodo all’Inter – fu coniata l’espressione “sudditanza psicologica degli arbitri”. Moggi, di recente, è stato ricevuto da Silvio Berlusconi. Il Milan vorrebbe Giraudo e l’uomo del Cav. al Milan, Adriano Galliani, non ha mai nascosto, anche in questi giorni, la sua stima e la sua amicizia per “Antonio e Luciano”. Eppure oggi tra i giornalisti e i dirigenti sportivi pare che non ci sia più nessun amico di Moggi, neanche tra i proprietari della Juventus. Cesare Romiti, in un’ampia intervista alla Gazzetta della Sport, giornale che è diventato la centrale del torquemadismo da curva sud, ha preso le distanze dalla triade Moggi-Giraudo-Bettega, spiegando che quei tre non c’entrano niente con lo stile Agnelli, dimenticandosi di ricordare che la triade è stata scelta, coccolata e difesa da Umberto Agnelli non dallo Spirito Santo. E’ vero, però, che a Gianni e poi agli eredi Elkann i tre dirigenti non siano mai piaciuti, probabilmente perché i loro metodi li costringevano a restare fuori dalla gestione della società. Ma finché hanno vinto erano tutti contenti e nessuno della Famiglia ha mai osato contestare la competenza calcistica di Moggi, grazie alla quale quei successi sono arrivati, peraltro senza che la casa madre spendesse una lira.
Eppure Moggi & Co. sono stati scaricati alla prima bufera giudiziaria che ha messo in piazza il loro sistema di amicizie e intrallazzi. Giampiero Mughini ha ricordato come il modo sprezzante con cui l’ingrata famiglia Agnelli-Elkann ha liquidato la triade gli avesse ricordato il goffo tentativo di Claudio Martelli di voler “restituire l’onore ai socialisti” in seguito alla caduta di Bettino Craxi. Martelli era uno che doveva tutto a Craxi e al suo sistema di potere, era addirittura l’unico cui era consentito aprire il frigorifero di casa Craxi. La Juventus di questi dieci anni – squadra, allenatori, trofei e proprietà – è difficilmente scindibile dalla sua dirigenza, esattamente come nel 1993 era comico immaginare uno di quei dirigenti del Psi impegnato a “restituire l’onore ai socialisti”.
I modi di Luciano Moggi e dell’intero sistema del calcio italiano sono eticamente riprovevoli, come dimostrano gli imbrogli finanziari compiuti da mezza serie A (Juventus finora esclusa) e qualsiasi puntata del Processo del lunedì. Tra dirigenti e arbitri non ci dovrebbero essere rapporti né si dovrebbe abusare della propria posizione dominante nella gestione dei tesserati. Il sistema Moggi va radicalmente cambiato, a patto che non si spari solo sul primus inter pares. Fossi in Moggi prenderei il discorso che Craxi pronunciò alla Camera dei deputati il 3 luglio del 1992. Allora il leader socialista ricordò i meccanismi del sistema e disse che “se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale”. E aggiunse: “Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo”. Non si alzò nessuno allora, non si alzerebbe nessuno ora.

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