Roma. Il direttore generale dimissionario della Juventus, Luciano Moggi, ieri ha parlato per cinque ore con i pubblici ministeri napoletani che indagano con altre procure della Repubblica sui vertici del calcio italiano per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva nell’anno 2004-2005. Tutto ciò avveniva mentre in Borsa le azioni della squadra torinese venivano sospese per eccesso di ribasso inseguite da voci di retrocessione in serie B, perdita di scudetti, di diritti televisivi e di sponsorizzazioni per una cifra intorno agli 800 milioni di euro annui. Penalizzazioni che potrebbero riguardare anche Lazio, Fiorentina e, in modo minore, Milan. Il fiscalista Viktor Ukmar ha ipotizzato addirittura un possibile fallimento della società bianconera in caso di retrocessione, anche per le azioni di risarcimento che potrebbero essere intentate contro la Juve dagli sponsor, da Mediaset e da Sky, a meno che la proprietà, cioè la Ifil della famiglia Elkann-Agnelli, non decida di fare ciò che non ha mai fatto negli ultimi 12 anni: investire denaro nella squadra. Ieri un autonominato comitato dei piccoli azionisti della Juventus ha chiesto anche il sequestro cautelativo dei beni di Moggi e Giraudo.
“Ho cercato di chiarire ogni cosa – ha detto Moggi all’uscita dall’interrogatorio – Non sono il burattinaio di nessuna cupola. Ho agito così per non essere sovrastato, per non essere io la vittima dei poteri forti”. Il suo avvocato ha detto che “Moggi ha assicurato che la cupola non esiste: ciascuno in questo mondo pensa per sé e le alleanze sono ballerine”, forse confermando le voci sui recenti scricchiolii della salda alleanza tra Juve e Milan che ha governato il calcio negli ultimi anni. Moggi sarà riascoltato nei prossimi giorni, ma non è ancora chiaro quale sia la linea di difesa né se abbia deciso di raccontare ai magistrati i veri meccanismi e i reali equilibri del mondo del pallone.
Il sistema calcio, in questi anni, ha affrontato altri scandali, non meno clamorosi di quest’ultimo: passaporti falsi per aggirare i limiti al tesseramento di calciatori sudamericani, cambi in corsa di regole sugli extracomunitari, fideiussioni fantasma che hanno consentito ad alcune squadre di iscriversi ai campionati non avendone i requisiti, plusvalenze fraudolente con cui sono stati falsati i bilanci e grazie alle quali sono stati acquistati calciatori formidabili pur non potendoseli permettere. Infine, il doping, con una mezza dozzina di calciatori squalificati e un processo durato sette anni contro la Juventus finito con la completa assoluzione di medici, calciatori e dirigenti. In un modo o nell’altro nel calderone sono finite molte squadre, Roma, Lazio, Parma, Inter, Milan, Juventus. Il sistema di governo del calcio in alcuni casi ha aiutato le società coinvolte, in altre le ha lasciate fallire salvo rilanciarle quando la proprietà è passata di mano, come è successo con la Fiorentina di Cecchi Gori poi comprata da Della Valle.
Juventus e Milan in primis, attraverso la Lega Calcio, guidata da Adriano Galliani, e la Federcalcio, che è istituzione pubblica, hanno gestito il giocattolo. In gioco ci sono soprattutto i diritti televisivi, negli ultimi anni moltiplicatisi tra diritti in chiaro, digitale terrestre e satellite (i primi due acquistati da Mediaset, gli ultimi da Sky). Lo strapotere delle grandi squadre, forti del maggior seguito popolare e dei successi sportivi, contrasta con gli interessi delle piccole e delle medie società che vorrebbero una più equa redistribuzione dei profitti ed è questo il motivo per cui, alla fine, l’Inter di Massimo Moratti si schiera sempre con Milan e Juve.
Il presidente del Livorno, Aldo Spinelli, ieri ha provato a spiegare il sistema, dicendo che “tutti quanti oggi sparano su Moggi, ma lui è sì una delle componenti importanti, ma non è quella che ha determinato il calcio degli ultimi dieci anni”. A Moggi e Giraudo, tra l’altro, negli ultimi tempi erano più interessati Inter e Milan che il ramo Elkann della famiglia Agnelli. Il giovane Lapo, prima del suo incidente, è stato uno dei rari critici italiani della Triade. Secondo Spinelli, il calcio italiano è gestito da “un sistema che si è andato creando con l’andare degli anni e che risale a dieci anni fa, quando in Lega Calcio è arrivato un certo potere, legato a interessi di gente molto potente, tranquillamente coperti da una grande società che tutti pensavano facesse il bene della Juventus”.
16 Maggio 2006