La “storica” apertura postale dell’iraniano Ahmadinejad in realtà era l’ennesima presa per i fondelli, condita con il solito concentrato di deliri antisemiti e negazionisti dell’Olocausto. Del resto, che cos’altro poteva essere? Eppure, per il momento, è riuscita a ottenere ciò a cui mirava: prendere tempo e dividere la cosiddetta comunità internazionale riunita al Palazzo di Vetro per decidere, diciamo così, come affrontare le violazioni nucleari dei turbanti atomici. Cina e Russia, infatti, hanno detto di no alla bozza di risoluzione che avrebbe voluto imporre una prima serie di sanzioni diplomatiche ed economiche al regime di Teheran. Contemporaneamente, nello stesso Palazzo di Vetro, ieri è nato il nuovo e, in teoria, riformato Consiglio dei diritti umani che ha preso il posto della discreditata, anche per i canoni Onu, Commissione di Ginevra. Il risultato della tanto strombazzata riforma di Kofi Annan è stato che i principali violatori dei diritti umani sono stati eletti, esattamente come prima, nell’organo dell’Onu che in teoria dovrebbe vigilare sulle violazioni dei diritti umani. Cina, Arabia Saudita, Cuba, Pakistan, Russia ci saranno, mentre l’Iran spera nel secondo round di votazioni.
Tornando al dossier Iran, l’armata dei nuovi appeasers – 68 anni dopo la Conferenza di Monaco che ha aperto le porte ad Adolf Hitler – alla notizia della lettera di Ahmadinejad a Bush aveva gongolato perché, a loro dire, questa dimostrava come con gli ayatollah si potesse trovare un accordo. Ieri il contenuto della lettera ha fatto svanire speranze e illusioni. Teheran non si è mossa di un millimetro rispetto ai progetti atomici e con toni e argomenti da fanatici religiosi ha continuato a contestare l’esistenza di Israele e si è spinta fino ad avanzare sospetti sulla corresponsabilità di Washington negli attentati dell’11 settembre, come in un bel film di Michael Moore. A leggere la lettera, tono apocalittico a parte, la prima cosa che viene a galla è una certa sovrapponibilità tra l’analisi terzomondista, antioccidentale e antiamericana di Ahmadinejad e quella di un’ampia fetta della sinistra occidentale. Ma nelle diciotto pagine scritte da Ahmadinejad ci sono due frasi che risultano convincenti anche per queste colonne. La prima è un atto d’accusa alla democrazia e al liberalismo che dimostra come Ahmadinejad, al contrario di buona parte della sinistra, abbia capito quale sia l’arma principale contro l’islamismo. La seconda frase, involontariamente autobiografica, è questa: “La storia ci dice che i governi repressivi e crudeli non sopravvivono”. Appunto.
11 Maggio 2006