Camillo di Christian RoccaPro memoria per il ministro degli Esteri

Massimo D’Alema alla Farnesina c’è finalmente la possibilità di tornare a una politica estera italiana bipartisan, come ai tempi del Kosovo e dell’Albania, e incentrata sulla promozione della democrazia dove ancora non c’è. Questa politica estera è stata l’unico punto intorno al quale si è trovata una convergenza tra destra e sinistra, su cui si è registrata una seria continuità d’azione tra il governo D’Alema, l’allora opposizione berlusconiana e i cinque anni del centrodestra a Palazzo Chigi. La linea è quella dell’internazionalismo liberale che da Blair a Clinton, fino a Bush e Berlusconi, ha caratterizzato la reazione occidentale al genocidio in Ruanda, alla pulizia etnica in Bosnia e, da ultimo, all’offensiva islamista e terrorista. Non sarà facile per il ministro D’Alema far tornare la sinistra italiana su quel binario democratico, ma se non ci riuscirà lui – che ne fu protagonista – difficilmente ci potrà riuscire qualcun altro.
L’editorialista americano Christopher Caldwell ha ricordato sul Foglio che Tony Blair, Madeleine Albright e il Massimo D’Alema premier italiano del 1999 sono stati i teorici del diritto-dovere di ingerenza geo-umanitaria negli affari interni di uno stato sovrano, anche in assenza di copertura legale dell’Onu. Quella dottrina interventista varata dall’Ulivo mondiale è stata, secondo molti osservatori, la ragione intellettuale alla base dell’invasione dell’Iraq. Il dalemismo d’opposizione, per calcolo politico, ha deciso di metterla da parte, scegliendo di cavalcare l’onda pacifista in funzione antiberlusconiana, ma sono più d’uno i segnali che non sia stata del tutto spazzata via.
La situazione politica internazionale, peraltro, rende più probabile un ritorno al D’Alema 1999, piuttosto che la conferma del D’Alema d’opposizione. A Londra c’è ancora Blair, e sui temi di politica estera i suoi avversari conservatori sono ancora più blairiani di lui. A Berlino è cambiata l’aria, mentre a Parigi l’era Chirac volge al termine e si preannuncia un Eliseo conteso dal filoamericano Sarkozy e dalla blairiana Royal. Pur tra mille difficoltà, soprattutto di politica interna, Bush ha davanti a sé più di due anni e mezzo di governo (quasi quanto l’intera presidenza Kennedy) e in America sia sul fronte repubblicano sia su quello democratico non s’intravedono grandi cambiamenti di rotta.
D’Alema è un politico realista, di tutto ciò dovrà tenere conto. Sbagliano i rappresentanti della comunità ebraica a impiccare il leader diessino alle sue infauste “aperture” a Hamas o alle sue battute antisioniste. E’ vero che non sarà facile distaccarsi da sentimenti così diffusi nella maggioranza di governo e da lui stesso alimentati, ma forse è più utile ricordare al ministro degli Esteri le dichiarazioni migliori, piuttosto che le altre.
“Scegliamo di mettere al centro dell’azione dell’Italia la promozione della democrazia, dei diritti umani, politici, sociali ed economici, a cominciare dai diritti delle donne”, si legge nel programma dell’Unione. E’ un buon punto di partenza, di piena continuità ideale con la linea Blair-Clinton-D’Alema diventata nel corso degli anni Blair-Bush-Berlusconi. Il ministro D’Alema è il più attrezzato per riprendere quel filo. Del resto, malgrado l’opposizione all’intervento in Iraq, D’Alema è stato uno dei primi politici mondiali a incontrare i nuovi leader democratici iracheni, anche se dopo quei colloqui è seguita soltanto indifferenza per i curdi e per gli sciiti liberati da Saddam.
D’Alema, inoltre, è stato uno dei pochi del suo schieramento ad aver provato a rendere presentabile la dottrina che fonda la sicurezza internazionale sulla promozione della democrazia: “Questa idea è giusta e deve essere considerata come il terreno di una sfida positiva”, disse D’Alema qualche tempo fa. L’anno scorso aggiunse che “se si vuole perseguire con successo una strategia di espansione della democrazia e dei diritti umani, questo significa non escludere il tema del ricorso alla forza. E’ impensabile che oggi davanti al disordine del mondo si possa escludere la possibilità estrema di un ricorso all’uso della forza”. Parole arricchite da un ripensamento anche sul “multilateralismo che non sia una condivisione dell’impotenza, che non sia semplicemente il mantenimento di uno status quo, ma un sistema efficace in grado di intervenire attivamente nelle crisi economiche e per la difesa dei diritti umani, non accettando i vincoli di una visione ottocentesca delle sovranità nazionali”. In queste parole di D’Alema c’è il promemoria per il nuovo ministro, ma anche il succo di una politica estera moderna, bipartisan perché liberale e di sinistra.