Un amico americano mi ha chiesto di spiegargli con parole semplici come cambia, e se cambia, la politica estera italiana ora che si è installato il nuovo governo di Romano Prodi con Massimo D’Alema alla Farnesina. La mia prima risposta è stata: tranquillo, non cambierà nulla a parte il promesso e già concordato ritiro militare dall’Iraq. Non era un secolo fa, la settimana scorsa. Il giorno dopo ho richiamato l’amico: no, guarda, non solo ritireremo presto le truppe, ma non lasceremo in Iraq nemmeno il personale civile. L’altro ieri, una terza telefonata: contrordine amico mio, siamo alla soluzione Zapatero però senza il coraggio guascone del premier spagnolo, in più ora pare a rischio anche la missione in Afghanistan. E’ finita? No, non è finita. Punto primo, Romano Prodi l’altro ieri ha specificato che dovrà decidere “collegialmente” il Consiglio dei ministri. Ma non quello di questa mattina, come si pensava. Un altro, a data da destinarsi. “Domani è presto, sinceramente”, ha detto ieri D’Alema. Punto secondo, c’è tempo ancora prima dell’incontro di Massimo D’Alema con Condoleezza Rice il 12 giugno a Washington, peraltro preceduto da un meeting informale tra Prodi e Tony Blair domani e da un vertice tra i ministri della Difesa, Arturo Parisi, e Donald Rumsfeld, il 9 a Bruxelles. La data ultima per sapere che cosa faremo è il 30 giugno, quando dovrà essere deciso che cosa finanziare e che cosa no.
Questi sono i punti fermi, diciamo così – per il resto gli attori e i comprimari della nuova politica estera italiana non si fermano un momento spalleggiati dagli editorialisti dei grandi giornali che nello stesso articolo spiegano perché sarebbe giusto andarsene anche dall’Afghanistan, prima di affermare che sarebbe meglio di no. Massimo D’Alema, rispondendo a una provocazione di Gianni Riotta sul Corriere, ha scritto che sull’Iraq il governo confermerà la decisione già presa da Berlusconi, anche se poche righe dopo ha scritto che quella decisione segnerà comunque una discontinuità con la politica del precedente governo. Difficile da spiegare all’amico americano. Comunque, scrive sempre D’Alema, ne discuteremo con gli alleati, stiamo studiando pacchetti di iniziative alternative per sostenere gli iracheni e, poi, in ogni caso la decisione sui tempi e sui modi del ritiro non spetta a lui, ma al ministro della Difesa, Arturo Parisi. E il ministro Parisi che dice? E’ volato subito a Nassiriyah, ma non per controllare che i soldati avessero già preparato le valigie. Agli iracheni, infatti, ha spiegato che “non volteremo le spalle” al nuovo Iraq, non lo abbandoneremo. “L’idea di mandare una squadra di civili – ha scritto il cronista del Corriere della Sera al seguito del ministro – non è del tutto tramontata”. E’ così? Assolutamente no, dicono quelli di Rifondazione. Il capogruppo alla Camera, Gennaro Migliore, ha spiegato che non resterà nessun militare italiano a protezione degli eventuali civili, ipotesi ribadita con chiarezza anche da D’Alema (almeno nell’ultima settimana). L’Iraq si può aiutare anche senza una nostra presenza sul territorio. Dettagli? Nessuno. Comunque è già un bel passo avanti rispetto alla posizione dei comunisti italiani, i quali con Oliviero Diliberto hanno specificato che non sono interessati né ai problemi né al futuro del nuovo Iraq. Affaracci loro. Sull’Unità, giornale dei Ds, il capogruppo al Senato di Rifondazione, Giovanni Russo Spena, ieri ha scritto direttamente a Massimo D’Alema: caro ministro, andrebbero ridiscusse tutte le missioni all’estero. Tutte. Non solo l’Iraq, non solo l’Afghanistan, tutte, compresi i Balcani. Una linea alla Zapatero, ben oltre Zapatero. Il sottosegretario agli Esteri della Margherita, Gianni Vernetti, sempre ieri ha proposto l’esatto opposto: ampliamo il nostro impegno in Afghanistan. Tra l’altro, ha detto Vernetti, Zapatero ha fatto la stessa cosa: s’è ritirato dall’Iraq, ma ha aumentato la presenza in Afghanistan. Un’idea che il ministro D’Alema condivide, almeno così pare, e che potrebbe portare in dote a Condi Rice. Solo che la Rice in questo momento pensa all’Iran e non può stare dietro alle ultime dichiarazioni dei sottosegretari Sentinelli e Crucianelli. Anzi è probabile che chieda all’alleato D’Alema l’ok italiano per imporre le sanzioni economiche contro i turbanti atomici. Il ministro ieri è intervenuto anche sulla situazione afghana e ha concesso che si tratta di “un tema che deve essere esaminato”, malgrado vada tenuto conto che operiamo nel quadro di decisioni Onu, Nato ed europee. “Ambiguo”, ha titolato Liberazione. Lascia perdere, ho detto all’amico americano.
3 Giugno 2006