Camillo di Christian RoccaIl No oligarchico di Pannella

A proposito di oligarchie, merita qualche riflessione la decisione di Marco Pannella di invitare gli elettori radicali a votare “no” al referendum costituzionale del 25 e 26 giugno, esattamente come chiedono da tempo tutti gli oligarchi, nessuno escluso, contro i quali solitamente Pannella lancia strali pressoché isolato e inascoltato. Domenica sera il Grande Marco ha fornito un’incredibile doppia motivazione alla sua ennesima scelta conservatrice: la controriforma varata dal centrodestra – ha detto – “sfascia” il paese e, inoltre, se ottenesse la conferma popolare ci dovremmo scordare per dieci anni “la possibilità di cambiare in senso presidenzialista, federalista, regionalista, americano, inglese e anglosassone” la nostra Costituzione. Primo appunto: Pannella non spiega come, di grazia, potrà anche soltanto immaginare una riforma presidenziale, americana eccetera con i suoi nuovi alleati notoriamente antipresidenzialisti e antiamericani. Secondo appunto: Pannella è un politico fin troppo navigato per non sapere che è vero esattamente il contrario di ciò che ha detto: la possibilità di cambiare la Carta del 1948 verrebbe sepolta definitivamente soltanto nel caso vincesse il “no” voluto dagli oligarchi con cui Marco si è alleato pro-tempore. Prevalesse il “sì”, invece, ci sarebbe di certo una nuova Costituzione votata dal Parlamento, confermata dagli elettori e pronta, eventualmente, per essere migliorata o corretta ove ce ne fosse bisogno (e ce ne sarà). Il referendum costituzionale francese del 1962, osteggiato da tutti gli oligarchi dell’epoca, è lì a dimostrare come l’innovazione istituzionale sia comunque un passo in avanti, oggi riconosciuto in primis da chi allora vi si oppose.
Al contrario dei suoi nuovi alleati Oscar Luigi Scalfaro, Elena Paciotti e Carlo Azeglio Ciampi – i quali chiaramente dicono “no” perché non vogliono si tocchi una virgola della Costituzione – Pannella è (stato) un riformatore, quindi sente il bisogno di differenziarsi da coloro che vogliono continuare a vivere in un mondo cristallizzato al 1948. L’idea pannelliana, però, secondo cui l’unica riforma possibile o è americana o non è, appare non solo poco riformatrice ma soprattutto ricorda quel “voglio tutto e subito” degli anni Sessanta contro cui Pannella si è sempre giustamente battuto. Quanto al merito della riforma – fatti salvi gli errori cui si potrà riparare soltanto se vincesse il “sì” – esso non è così lontano dalle idee anglosassoni care a Pannella, sia sui poteri del premier eletto direttamente, sia sulla devoluzione, sia sulla fine del bicameralismo perfetto. Ecco perché il “no” oligarchico di Pannella è doppiamente incomprensibile.

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