Camillo di Christian RoccaPer fortuna c'è un giudice a Berlino, domenica ore 20

Calciopoli è il più farlocco degli scandali sportivi di tutti i tempi. Il più falso. Il più ridicolo. Il più becero. Degno di un paese insulso e piccino, impantanato da anni nella lettura di mattinali di questura stampati a nove colonne e nell’ascolto illegale di telefonate private al fine di sgominare banche, partiti, coop, famiglie reali, vallette, società di calcio e tutto ciò che fa spettacolo. Vittorio Feltri racconta che alla notizia della condanna di Enzo Tortora, i cronisti dei grandi giornali brindarono ebbri di gioia. Ora apprendiamo che i giornalisti – assiepati nella tribuna stampa di questo processo del lunedì in formato reality show – hanno sottolineato con frizzi e lazzi l’inutile tentativo di un accusato di difendersi in aula. Già, perché l’altra caratteristica di questa farsa chiamata calciopoli è che difendersi è impossibile. Ieri Aldo Grasso, grande critico tv del Toro, sulla prima del Corriere ha sostenuto la bizzarra tesi che spetta agli imputati dimostrare di essere innocenti (le performance di Cannavaro e Pirlo non bastano?). Peccato che, per evitare sorprese, nel dibattimento della Caf si sia provveduto a impedire che si visionassero le partite sospette, che si ascoltassero le telefonate, che si convocassero i testimoni o che, perlomeno, non venisse consentito all’accusa di chiedere le condanne prima, e non dopo, le arringhe difensive. Bisogna fare in fretta, è il mantra. Ma se è così, decidete subito e oliate la ghigliottina, invece che far finta di organizzare un processo che rifiuterebbero perfino i detenuti di Guantanamo.
Si deve far presto, dicono, per rispettare le scadenze d’iscrizione alle coppe europee. E se per quella data la sentenza d’appello non ci sarà, il commissario della Federcalcio, Guido Rossi, ha già detto che deciderà in base alla sentenza di primo grado. Buona la prima, basta la parola. Rossi lo può fare, può fare tutto, è il plenipotenziario del nuovo calcio liberato dai poteri forti e dai conflitti di interesse (no kidding). E’ stato Rossi, per esempio, a nominare Gigi Agnolin quale gran capo degli arbitri puliti del dopo Moggi. E nessuno che abbia alzato la mano per dire: scusate, ma se volevamo liberare il calcio dai conflitti di interesse, proprio un ex dirigente dell’Inter (95-99) e un ex dirigente della Roma (95-2000) dovevamo scegliere? Inter e Roma, peraltro, sono le due squadre chiamate in correo in aula da Giraudo e Della Valle. Lo juventino ha ricordato che, a proposito di campionati truccati, un alto dirigente e un calciatore della squadra di Moratti un mese fa sono stati condannati in sede penale a sei mesi di reclusione per un passaporto falso (in sede sportiva l’Inter ha scientemente fatto giocare un calciatore che non sarebbe potuto scendere in campo). Giraudo ha ricordato la vicenda dei Rolex d’oro regalati dalla Roma agli arbitri, ma avrebbe potuto parlare a lungo di altri scandali – false fideiussioni, doping di bilancio, cambi in corsa dei regolamenti eccetera – che il sistema ha insabbiato con il consenso di quasi tutti. Il calcio è questo, più la torta dei diritti tv, ma con il rotolare della palla queste chiacchiere di palazzo e ora di questura c’entrano nulla. Anche perché questo è il primo scandalo sportivo al mondo che non vede coinvolto nemmeno un atleta (non so se avete presente: l’atleta è quello che corre, salta, segna).
Gli imbrogli di politica sportiva vanno puniti severamente per violazione dell’obbligo di lealtà sportiva, ma a patto che siano puniti tutti e che restino separati da ciò che è accaduto sul campo. Ma un conto è parlare di calciopoli, che non a caso vuol dire “città del calcio”, un altro è se questo scandalo, invece, sia “partitetruccatopoli”. Per l’illecito sportivo è necessario un elemento non di poco conto: devono esserci le prove che le partite siano state accomodate, che la Juventus abbia dominato due campionati di fila grazie ai dribbling di Moggi e non a quelli degli otto finalisti ai mondiali della sua rosa, che Kakà, Sheva, Maldini, Pirlo, Gattuso, Gilardino e Inzaghi abbiano contato meno di un’interurbana del ristoratore Meani, che Toni abbia segnato a raffica grazie alle cene di Della Valle e così via. E a quel punto non si capisce perché le medesime cene dell’Inter non abbiano agevolato i gol di Adriano o Martins. Era un problema di menu? Prove, peraltro, che nei deferimenti innanzi al plotone d’esecuzione della Caf non ci sono. E non ci sono soprattutto nei confronti della Juventus. Il pm sportivo non ha indicato nemmeno una gara aggiustata dai campioni d’Italia. Nelle intercettazioni non c’è nemmeno una telefonata moggiana con richieste di favori per una partita. C’è, però, un teorema, la presunzione complottistica che le sette cene in un anno tra i dirigenti della Juve (più mogli) e i designatori arbitrali e le schede sim estere e lo sconto a Pairetto per l’acquisto di una Fiat sottintendano un disegno criminale che poggia anche sull’arbitro De Santis (sul quale però non c’è nessun collegamento probatorio o telefonico o moviolistico con la Juve). Siccome non c’è prova di illecito su una singola gara, le responsabilità disciplinari della Juve riguardano “anche le ipotesi in cui le condotte accertate non incidono direttamente sullo svolgimento e sul risultato di una gara, ma sono dirette ad assicurare un vantaggio in classifica”. Cioè: non abbiamo le prove che la Juve abbia comprato le partite, quindi è chiaro che ha condizionato il campionato nella sua interezza. Un processo normale finirebbe 2 a 0 per la difesa, ma finirà altrimenti. La consolazione è che, questa volta, un giudice a Berlino c’è. Si presenterà domenica alle 20 sotto forma di una finale conquistata da un grande allenatore del sistema Moggi e da una dozzina di splendidi calciatori di serie B e C.

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