La talpa era un uomo di Colin Powell, un repubblicano anti Bush, un feroce avversario dei neoconservatori. L’uomo nero del più tragicomico scandalo spionistico degli ultimi anni, insieme con la Niger-barzelletta italiana, era Richard Armitage. Vi ricordate del Cia-gate? Ora è ufficiale: era una bufala, un “nadagate” come per primo scrisse John Tierney sul New York Times. A un certo punto sembrava che la Casa Bianca dovesse crollare e Dick Cheney fosse in procinto di andare al gabbio, seguito da Karl Rove in schiavettoni. Per due anni e mezzo si è parlato di un presunto complotto ordito dai perfidi neocon al fine di vendicarsi delle critiche alla guerra in Iraq espresse sul New York Times da un oscuro ex ambasciatore, Joe Wilson. L’ex diplomatico, dopo un viaggio di sette giorni in Niger organizzato da sua moglie Valerie Plame, si era convinto che l’Iraq non avesse tentato di acquistare uranio nigerino. Secondo l’accusa, i cattivi bushiani avevano risposto svelando alla stampa l’identità di sua moglie, l’agente Cia Valerie Plame, mettendone in pericolo la vita e commettendo un reato federale. La ricostruzione faceva acqua da tutte le parti, a cominciare dal fatto che la Plame non era un’agente segreta, ma una semplice analista con lavoro di ufficio a Langley e col nome pubblicato sul Who’s who. Inoltre, essersi fatta ritrarre da Vanity Fair a bordo di un’auto decapottabile non è sembrata proprio una posa di chi volesse rifugiarsi nell’anonimato. L’inchiesta federale non ha incriminato nessuno, se non il capo dello staff di Cheney, Lewis Libby, ma non per aver fatto il nome di Plame. Karl Rove è stato ufficialmente scagionato. La notizia ora è questa: la fonte che svelò al giornalista Robert Novak l’identità di Valerie Plame è l’ex vice segretario di stato, nonché uomo di Powell, Richard Armitage. Su questo giornale, per semplice deduzione logica dall’articolo di Bob Novak che aveva svelato l’identità di Plame, avete letto questa notizia oltre un anno fa, il 20 luglio 2005 (Novak aveva scritto che la sua fonte non era un falco del giro Bush). A confermare la responsabilità di Novak sono stati due giornalisti di sinistra, Michael Isikoff di Newsweek e David Corn di The Nation, freschi autori di “Hubrys”. Corn è il giornalista che più di ogni altro ha accreditato la tesi del complotto anti Wilson, ma ora con Isikoff racconta che è stato Armitage a soffiare la notizia a Novak (il primo a scrivere sui giornali il nome di Valerie Plame) e a Bob Woodward (l’autore dello scoop del Watergate). I due giornalisti riconoscono che non regge più la teoria della vendetta politica organizzata dai bushiani, visto che Armitage era scettico sull’Iraq e faceva ogni giorno a cazzotti con i falchi dell’Amministrazione. I due svelano un altro particolare: Colin Powell sapeva fin dai primi giorni dell’ottobre 2003 che era Armitage l’uomo che aveva soffiato a Novak il nome di Valerie Plame. Però ha scelto di non parlare. Vedere i suoi avversari repubblicani sotto inchiesta, magari gli faceva comodo.
Gli elettori americani hanno deciso che i repubblicani meritano di perdere le elezioni di metà mandato del 7 novembre, ma non sono ancora sicuri che i democratici meritino di vincerle. In questa situazione di stallo ci sono eventi che potrebbero ancora invertire le tendenze elettorali. Secondo il più grande esperto di politica americana, Michael Barone, curatore dell’Almanac of American Politics, gli arresti di Londra del 9 agosto sono uno di questi eventi. L’arresto dei cospiratori di un nuovo 11 settembre ha ricordato agli americani che nel mondo c’è ancora molta gente che vuole ucciderli. Soltanto 24 ore prima, il senatore Joe Lieberman è stato sconfitto alle primarie democratiche del Connecticut da un liberal appoggiato dall’ala del partito che tende a sottostimare la minaccia islamista. Questi due fatti, presi insieme, hanno contribuito a ricordare le differenze tra i due partiti. Così come hanno contribuito a modo loro anche i due film sull’11 settembre, United 93 e il World Trade Center di Oliver Stone.
30 Agosto 2006