Camillo di Christian RoccaDopo Obama, anche il democratico Casey vuole più religione nella politica

New York. Dopo Barack Obama, ora anche Robert Casey difende il ruolo decisivo della religione nella politica contemporanea. Obama e Casey non sono due personaggi minori del mondo liberal americano, né esponenti qualunque del Partito democratico. Barack Obama è il senatore nero dell’Illinois, considerato dagli intellettuali di area come la nuova speranza kennedyana del partito democratico. Casey, invece, è il candidato di centrosinita che a novembre ha più possibilità di strappare un seggio ai repubblicani (ne servono sei per ottenere la maggioranza), quello dell’iper cattolico Rick Santorum, oggi junior senator della Pennsylvania. Entrambi, Obama e Casey, hanno spiegato alla sinistra americana che per tornare a essere vicina agli elettori dovrà riuscire a ridurre il gap religioso con i conservatori. Nessuno dei due propone tattiche o strategie elettorali, entrambi credono davvero che esista un nesso tra religione e politica.
A fine giugno scorso, Obama aveva pronunciato un importante discorso (pubblicato integralmente su queste colonne) in cui parlava di fede e di ragione e del diritto di Dio a essere presente nel dibattito politico. La tesi del laico, liberal e progressista Obama era molto chiara: “Penso che sia un errore non riconoscere la forza della fede nella vita degli americani e non addentrarsi in un dibattito su come conciliare la fede e la nostra democrazia moderna e pluralistica”. E, continuava il senatore di Chicago, “è un assurdo pratico dire che uomini e donne non dovrebbero far confluire la propria morale personale nei dibattiti pubblici”, perché “il nostro diritto è per definizione una codifica della morale, basato in larga misura sulla tradizione giudaico-cristiana: se noi progressisti riuscissimo a disfarci dei pregiudizi, potremmo riconoscere l’esistenza di valori convergenti, condivisi da credenti e laici quando si tratta della direzione morale e materiale del nostro paese”.
Questo discorso di Obama ha aperto un gran dibattito dentro il partito, ripreso la settimana scorsa da Bob Casey, il figlio dell’ex governatore della Pennsylvania a cui nel 1992 non fu consentito di parlare alla Convention del partito in quanto antiabortista. Casey junior è anch’egli antiabortista, ma oggi è il fiore all’occhiello del partito e sta costringendo il senatore in carica Rick Santorum alla rincorsa. Santorum è la quintessenza di ciò che l’intellighenzia liberal accampata nelle pagine degli editoriali dei grandi giornali non sopporta del partito repubblicano, non tanto per il suo apologetico sostegno alle politiche di Bush, ma perché insieme con il senatore del Kansas Sam Brownback è considerato, a torto o a ragione, l’alfiere del movimento che vorrebbe abbattere il muro di separazione tra stato e chiesa. In realtà, semmai, è vero il contrario: la grande libertà religiosa americana nasce dal fatto che i padri fondatori degli Stati Uniti, eredi diretti di chi in Europa aveva subito persecuzioni religiose, si preoccupavano di proteggere la fede da possibili ingerenze dello stato.
La settimana scorsa, Bob Casey junior è stato invitato a pronunciare l’annuale “Lezione Papa Giovanni XXIII” alla scuola di legge dell’Università cattolica della Pennsylvania. Casey ha parlato per 45 minuti di bene comune e del modo per far ritrovare all’America la bussola morale: “So che cos’è il bene comune grazie alla mia famiglia, ma anche grazie alla mia fede, alla fede in Dio”. Casey si definisce “un democratico a favore della vita”, cioè contrario all’aborto, perché riconosce che “la vita comincia col concepimento e finisce quando si esala l’ultimo respiro”. Secondo Casey, il ruolo dello stato deve essere quello di “proteggere, arricchire e valorizzare la vita per tutti, in ogni momento, dall’inizio alla fine”. La proposta di Casey all’America è questa: “Dobbiamo unirci come paese, democratici e repubblicani, dietro l’idea che il bene comune ci obbliga a valorizzare la vita. Per 33 anni, questo problema è stato usato principalmente come un modo per dividere la gente, anche mentre il numero degli aborti continua a crescere. Dobbiamo trovare una via migliore”. Casey ha sottolineato come sia cambiato il partito democratico dal 1992 a oggi. Allora a suo padre non è stato permesso di esprimersi contro l’aborto alla convention nazionale che si è tenuta proprio nella sua Filadelfia, “insultando il più coraggioso democratico pro-vita del paese, il quale non chiedeva altro che coloro che credevano nel diritto alla vita avessero diritto di parola”. Ora, 14 anni dopo, il partito invia la maggioranza dei finanziamenti federali al figlio del governatore che, come il padre, è un convinto sostenitore della vita. Non solo. Alla Camera, ha raccontato Casey, il partito democratico ha appena presentato un progetto di legge per affrontare “i fattori che spesso conducono le donne a scegliere l’aborto”.

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