New York. La carnevalesca settimana al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite ha mostrato nel modo più chiaro possibile quanto il sistema di istituzioni internazionali creato alla fine della Seconda guerra mondiale sia un reperto del passato, incapace di affrontare le sfide del nuovo secolo. La riunione importante sul medio oriente, sul Libano e sul nucleare iraniano si è svolta a cena il 19 sera, fuori dall’ambito Onu, tra i ministri degli Esteri dei cinque paesi membri del Consiglio di sicurezza con diritto di veto, più Germania e Italia, una coalizione ad hoc formata dai paesi più o meno volenterosi di fermare la corsa atomica di Teheran. La prossima è domani, quella dell’Alleanza transatlantica, dove per America ed Europa è più facile trovare una posizione comune.
Consapevoli che il Consiglio di sicurezza e l’Assemblea generale non sono in grado di agire – come dimostrano l’ultimatum all’Iran passato in cavalleria e le decine di risoluzioni violate da Saddam senza che l’Onu facesse nulla per farle rispettare – i più o meno volenterosi cercano di trovare una linea condivisa sull’Iran e di parlare con una voce sola a Teheran, malgrado la scelta unilaterale di Prodi di incontrare Ahmadinejad non abbia giovato allo sforzo multilaterale. Ma la novità è un’altra. Ad aver decretato la fine del sistema internazionale che conosciamo è stato lo stesso presidente dell’Iran, le cui mire nucleari il mondo occidentale vorrebbe contenere con gli strumenti dell’Onu. In piena Assemblea generale e tra gli applausi della maggioranza dei paesi membri, Ahmadinejad ha detto di non riconoscere la legittimità dell’Onu, cioè di quell’istituzione che ha imposto illegalmente l’entità sionista al medio oriente. Senza giri di parole ha spiegato che l’Onu è stata creata a immagine e somiglianza dei grandi oppressori dell’umanità, quindi non ha alcun diritto storico e giuridico per continuare a decidere i destini del medio oriente popolato dagli oppressi. Subito dopo, sullo stesso palco, il presidente islamista del Sudan, responsabile del genocidio in Darfur, ha ripetuto lo stesso concetto e ha rifiutato l’ipotesi dei Caschi blu per fermare il massacro. Sono seguiti applausi. Anche il venezuelano Hugo Chávez, grande alleato di Ahmadinejad, s’è preso gioco dell’Onu, oltre ad aver definito Bush “el diablo” e consigliato la lettura di un libro di Noam Chomsky (Chávez ha aggiunto che il suo più grande dispiacere è di non aver conosciuto Chomsky prima della sua morte, ma Chomsky è vivo).
Nel salotto buono scuotono la testa
Ahmadinejad ha rifiutato l’ultimatum dell’Onu, ha spiegato che il disarmo Hezbollah richiesto dalle Nazioni Unite non lo riguarda e ha ribadito a ogni occasione politica mondana (anche con Prodi?) l’idea che l’Olocausto non sia mai avvenuto, intrattenendo sul tema i membri del Council on Foreign Relations con ben 40 minuti di dettagli e ricostruzioni storiche che hanno lasciato sgomenti i pur arrendevoli soci del salotto buono della politica estera americana. All’incontro erano presenti i campioni del realismo politico, da Brent Scowcroft a Richard Haass a Robert Blackwill. Sono usciti scuotendo la testa, prevedendo che con questo tizio sarà difficile negoziare e che la situazione volge verso un confronto durissimo.
Gli Stati Uniti non stanno preparando un attacco all’Iran, sebbene al Pentagono sia in funzione la nuova “Direzione Iran” guidata da Eric Edelman, sottosegretario alle Politiche di difesa, sulla scia di Paul Wolfowitz e Douglas Feith. Ma questa volta non c’è battaglia tra il Pentagono dei falchi e il dipartimento di stato delle colombe. Condi Rice ha il pieno appoggio di Bush e di Cheney, entrambi convinti che la carta diplomatica è da giocare fino all’ultimo, soddisfacendo gli europei. Sono però altrettanto certi che questi negoziati falliranno, come la settimana all’Onu ha dimostrato finanche a Henry Kissinger, il re della realpolitik. In un saggio pubblicato dal Washington Post, Kissinger ha scritto che “non stiamo assistendo ad attacchi terroristici isolati, ma a un preciso assalto al sistema internazionale” e che “la forza motrice dietro questa sfida è la convinzione jihadista dell’illegittimità dell’ordine esistente”. La sintesi è di David Brooks, sul New York Times di ieri: il mondo libero usa politiche e istituzioni progettate per affrontare un nemico laico e burocratico come era quello sovietico, ma sono strumenti inutili contro la forza millenarista dei guerrasantieri di Allah.
22 Settembre 2006