New York. Sono decine i nuovi saggi sul ruolo della religione nella politica americana in uscita nelle librerie degli Stati Uniti e si moltiplicano i politici, di destra e di sinistra, che insistono a porre la questione dei valori religiosi al centro del dibattito culturale. L’influenza dei temi morali sulla sfera pubblica non è un tema improvvisamente comparso durante la presidenza Bush, magari a causa del crescente peso dei cristiani evangelici. Risale, piuttosto, ai tempi della nascita stessa degli Stati Uniti. I Padri fondatori non volevano tenere Dio fuori dalla politica, volevano evitare che la politica interferisse con la religione. Il Bill of Rights americano non vieta soltanto l’istituzione di una religione di stato, ma obbliga il governo a non limitare il diritto religioso dei cittadini, quindi a essere neutrale – non separato – dalle chiese. Se il governo impone la separazione tra stato e chiesa, tra governo e religione, viola la Costituzione perché crea una società che discrimima i credenti e opprime il diritto di cittadinanza di chi è religioso.
Intorno a questo concetto si articola l’attuale dibattito sul ruolo pubblico della religione. A grandi linee ci sono due scuole di pensiero che trascendono l’affiliazione partitica. La prima sostiene che le politiche statali debbano essere conformi ai valori religiosi giudaico-cristiani, la seconda crede che lo stato debba essere tenuto fuori dalle questioni morali, lasciando al singolo cittadino la libertà e la privacy delle proprie decisioni etiche. Della prima categoria fa parte la destra religiosa, ma anche una corposa tradizione della sinistra democratica, a cominciare dal movimento dei diritti civili degli anni Sessanta guidato dal reverendo Martin Luther King e ispirato ai precetti biblici. Ci sono libertari laici tra i Democratici, organizzati intorno alla Aclu, la potente associazione per i diritti civili. Ma il movimento libertario è una delle due componenti della coalizione conservatrice che, alleata proprio con la destra religiosa, guida la politica americana dagli anni di Ronald Reagan. Oggi questa componente è delusa dall’Amministrazione Bush, accusata di aver fatto prevalere le ragioni della destra religiosa. Questa tesi si trova in due interessanti libri appena pubblicati. Il primo è del polemista Andrew Sullivan. “The Conservative Soul” riflette sull’anima perduta del conservatorismo americano, critica l’influenza della destra cristiana sulla società e propone un conservatorismo laico e, soprattutto, indifferente ai comportamenti sessuali dei cittadini. Il secondo saggio è di un giovane giornalista libertario, Ryan Sager. “The Elephant in the Room: Evangelicals, Libertarians and the Battle to Control the Republican Party” racconta la storia dell’alleanza “fusionista” tra libertari ed evangelici e ne osserva gli attuali scricchiolii. C’è anche un saggio di Damon Linker, ex redattore della rivista cattolica First Things, che denuncia il progetto di influenzare la politica da parte di un gruppo di cattolici radicali guidato da padre Richard John Neuhaus. Il libro si intitola “The Theocons – Secular America under siege”. Sul fronte opposto c’è chi sostiene che Bush, in realtà, strumentalizzi la destra religiosa e anzi si prenda gioco degli evangelici. Il libro più citato in questi giorni, infatti, è quello di David Kuo, numero due dal 2001 al 2003 all’Office of Faith-Based Initiatives della Casa Bianca. La tesi del suo “Tempting Faith” è opposta a quella dei libri citati prima. Kuo racconta che, al di là delle parole, l’Amministrazione Bush non ha fatto nulla per gli evangelici, li ha solo sfruttati per motivi elettorali. La Casa Bianca ha dovuto smentire l’accusa a Karl Rove, citato mentre descrive gli evangelici come “matti” e “stupidi”.
L’idea che ci sia una “minaccia teocratica” è patetica, ha scritto ieri il direttore di National Review, Rich Lowry. Una giovane stella del conservatorismo americano, nonché giornalista del liberal Atlantic Monthly, Ross Douthat, ha recentemente spiegato in un saggio su First Things e in un dibattito con l’autore di “The Theocons” pubblicato su New Republic, che l’influenza delle istituzioni religiose sulla politica americana oggi è bassissima. A sinistra sono le nuove e giovani star del Partito democratico a invocare un maggior peso dei valori morali e religiosi nella formulazione delle idee e delle politiche governative. Ieri è uscito il libro di Barack Obama, “The Audacity of Hope”, il manifesto politico della sua campagna alla conquista dell’America. Il brillante aspirante senatore del Tennessee, Harold Ford, non parla d’altro e, secondo il blog democratico The Bull Moose, proprio per questo ha più probabilità di Obama di diventare il primo presidente nero degli Stati Uniti. L’iper cattolico senatore repubblicano Rick Santorum perderà il seggio, ma non a vantaggio di un laicista, piuttosto di Bob Casey, un militante della battaglia contro l’aborto.
L’editorialista del New York Times, David Brooks, crede che l’America sia fatta da “tradizionalisti sociali”. Gente diversa dai conservatori religiosi perché crede sia troppo settario e, allo stesso tempo, troppo nobile provare a modellare le politiche statali sulla base della legge di Dio. I tradizionalisti sociali non sono d’accordo nemmeno con i libertari, perché non credono che lo stato debba rimanere neutrale sui valori: “Le nazioni sono tenute insieme da una fede condivisa e i popoli prosperano perché sono stati incoraggiati dalla società ad adottare certe abitudini e certi comportamenti”. Secondo Brooks, è una chimera pensare che gli individui possano trovare da soli le soluzioni alle questioni morali: “Gli esseri umani sono creature sociali le cui azioni sono determinate dalla struttura sociale che li lega”.
18 Ottobre 2006