Camillo di Christian RoccaQuel gran figo di Ford

Il collegio da seguire con attenzione è quello del Tennessee, per due ragioni. Se i Democratici vincono il seggio lasciato libero dal leader dei senatori repubblicani, Bill Frist, quasi certamente il 7 novembre sera avranno conquistato la maggioranza al Senato di Washington. Il secondo motivo d’interesse è più generale e riguarda il candidato scelto dal Partito democratico per provare a sfondare nel sud: Harold Ford junior. Trentasei anni, nero, definito uno degli uomini più belli del mondo dalla rivista People, deputato al Congresso da dieci anni, rampollo di una delle più importanti famiglie politiche afroamericane degli Stati Uniti. La sua eventuale, e possibile, vittoria in Tennessee potrebbe cambiare il volto della politica americana. Barack Obama, 45 anni, l’altra superstar nera d’America, lo sa perfettamente. Domenica scorsa, intervistato a “Meet the Press” sulla Nbc, Obama ha detto che sta seriamente pensando alla candidatura presidenziale del 2008. Deciderà dopo le elezioni del 7 novembre, ma valuterà soprattutto il risultato di Ford in Tennessee prima di fare la sua scelta: il successo di un candidato nero nel sud conservatore è il fattore che potrebbe spalancargli la porta della competizione del 2008. Obama, a quel punto, diventerebbe il nemico numero 1 di Hillary Clinton per le primarie democratiche dello stesso anno.
L’ex first lady non ha ancora deciso ufficialmente se candidarsi alla Casa Bianca, anzi ora che è impegnata, diciamo così, nella facile campagna di rielezione a senatore di New York, deve difendersi dalle critiche del suo avversario repubblicano che la accusa di pensare più alla presidenza che al Senato. Malgrado ciò, sia pure ufficiosamente, Hillary è l’unica in campo tra i democratici. La senatrice di New York ha tutte le caratteristiche per essere scelta dagli elettori del suo partito come la candidata alla Casa Bianca: è uno dei personaggi politici americani più noti, ha una capacità straordinaria di raccogliere finanziamenti, molti dei quali li ha già in cassaforte. Può contare sul formidabile contributo di suo marito Bill, è tradizionalmente ben radicata nell’ala liberal del partito, ma negli ultimi anni si è spostata su posizioni molto più centriste, in modo da aumentare il suo appeal tra i moderati, gli indipendenti e i conservatori delusi dagli otto anni di George W. Bush. Senonché tutti i sondaggi le sono sfavorevoli. Hillary perderebbe ampiamente sia contro Rudy Giuliani sia contro John McCain, i due principali contendenti conservatori per la Casa Bianca. C’è di più. I sondaggi registrano un ulteriore dato negativo: la percentuale di votanti che fin d’ora dice che non la voterebbe mai, non importa contro quale candidato, è una delle più alte da quando si fanno queste rilevazioni. Da qui le indiscrezioni sul possibile cambio di strategia: Hillary non si candiderebbe alla Casa Bianca, ma punterebbe alla leadership del partito al Senato, un posto prestigiosissimo, specie se i Democratici tra due settimane conquistassero la maggioranza. Chi conosce Hillary crede che lei non rinuncerà così facilmente alla candidatura alla Casa Bianca, a maggior ragione ora che il principale contendente alla sua destra, l’ex governatore della Virginia Mark Warner, si è improvvisamente ritirato dalla corsa per il 2008. L’uscita di Warner lascia Hillary sola e senza rivali alla sua destra, salvo un paio di poco conosciuti governatori e senatori del midwest (Tom Vilsack e Evan Bayh).
A sinistra di Hillary si muovono soltanto candidati minori. L’unico pericolo le può arrivare da Al Gore. Un tempo l’ex vicepresidente di Bill Clinton era il falco e il centrista per antonomasia del Partito democratico. Ora ha fatto il percorso inverso rispetto a quello compiuto da Hillary e si è trasformato in un eroe pacifista agli occhi della base radical del partito che, invece, non perdona a Hillary il sostegno alla guerra in Iraq. Questa estate l’ala sinistra del partito, alimentata dai grandi giornali liberal, dalla passione dei bloggers e da Howard Dean alla presidenza del Comitato nazionale democratico, sembrava aver preso il sopravvento sul resto della coalizione di centrosinistra.
Il senatore centrista del Connecticut, Joe Lieberman, già candidato vicepresidente con Al Gore alle elezioni perse nel 2000 contro Bush e Cheney per soli 543 voti in Florida, è stato sconfitto da uno sconosciuto miliardario pacifista, Ned Lamont, alle primarie democratiche di agosto. Solo che ora, a due settimane dal voto di metà mandato, l’indipendente Lieberman è in vantaggio di 17 punti rispetto all’ex compagno di partito Lamont. Se Lieberman fosse rieletto, si tratterebbe della conferma che un Partito democratico schierato a sinistra e debole sulle questioni di sicurezza nazionale non ha chance di riprendersi la Casa Bianca nel 2008. Al contrario, la rielezione di Lieberman rinsalderebbe l’ala centrista e moderata del partito.
Ecco perché bisogna guardare al collegio del Tennessee, dove c’è Harold Ford. La sua campagna è da osservare con attenzione non soltanto per il fatto che Ford è un candidato nero, come Obama. Sono le sue posizioni e le sue proposte politiche che, in caso di successo, potrebbero cambiare il volto del Partito democratico. Al Congresso Harold Ford ha votato tutte le misure di sicurezza nazionale volute da Bush e se ne vanta: il Patriot Act, la guerra in Iraq, la legge che istituisce le commissioni militari, mentre sulle tecniche di interrogatorio dei nemici combattenti dice di essere più vicino a George W. Bush che a John McCain. Una posizione che nei circoli liberal viene definita “a favore della tortura”.
A un recente dibattito televisivo, Ford ha preso in giro l’avversario repubblicano Bob Corker mentre questi si contraddiceva sull’Iraq, dicendogli “sembri un po’ John Kerry”, ricordando quindi i tentennamenti sulla sicurezza nazionale mostrati dal candidato democratico alle scorse presidenziali del 2004. Sui temi sociali, Ford è contrario all’aborto tardivo e al matrimonio gay. Frequenta la chiesa (uno dei suoi spot elettorali è stato girato in una chiesa), invoca spesso Dio, sostiene il diritto a esporre i dieci comandamenti nei luoghi pubblici, vorrebbe punire penalmente chi brucia la bandiera (come Hillary) ed è tra i più duri contro l’immigrazione clandestina. Il suo eroe della storia non è un democratico, ma Ronald Reagan. Unico tra i democratici, Ford appoggia la candidatura dell’indipendente Joe Lieberman, invece che quella del democratico Lamont. Due anni fa si candidò a leader del partito alla Camera, per evitare l’ascesa dell’iperliberal Nancy Pelosi. Ford è spesso ospite della FoxNews, si vanta di essere amico di Bush – il quale lo chiama “Fordie”.
Rich Lowry, direttore della rivista iperconservatrice The National Review, lo loda sul suo settimanale, mentre la militante del conservatorismo radicale, Ann Coulter, dice che Ford è il suo democratico preferito. Newsweek ha sintetizzato la figura politica di Ford scrivendo che siamo di fronte a un nuovo tipo di democratico, certamente non davanti a un democratico di tipo tradizionale. I repubblicani sono terrorizzati dall’aggressiva campagna conservatrice di Ford e spendono parecchi soldi per far conoscere, invece, le sue posizioni più di sinistra espresse al Congresso. Gli spot del Grand Old Party si concludono tutti con lo slogan “Ford is just not right”, cioè Ford ha torto ma, giocando sul doppio significato della parola “right”, anche “Ford non è destra”.
Non è un caso isolato, Harold Ford jr. I democratici non tradizionali, anzi abbastanza conservatori, sono più d’uno. E se il 7 novembre il partito riuscirà a ottenere la maggioranza al Congresso sarà anche grazie a questa sua mutazione genetica nelle praterie del midwest, nel sud, sulle Montagne Rocciose. Il probabile nuovo senatore della Pennsylvania, Bob Casey jr., è contrarissimo all’aborto ed è molto attento ai valori tradizionali della religione. Il candidato democratico James Webb, il quale sfida in Virginia il senatore repubblicano George Allen, è stato segretario della Marina militare ai tempi di Reagan. Nelle circoscrizioni della Camera, i democratici hanno candidato diversi ex repubblicani e anche molti veterani dell’Iraq, fieri di esserci stati. In Georgia, il deputato democratico John Barrow fa campagna a favore dei tagli fiscali di Bush, al punto che il suo sfidante repubblicano, Max Burns, ha detto ai giornali che “Barrow ha cominciato come un liberal e ora sta cercando di mettersi alla destra di Attila”.
Harold Ford è in leggerissimo vantaggio in Tennessee, anche se negli ultimi giorni il repubblicano Corker ha recuperato e sembra capace di superarlo. Domenica, con un mossa che ai più è sembrata disperata, Ford è andato a una conferenza stampa di Corker per lamentarsi degli spot televisivi repubblicani centrati sugli affari della sua famiglia. Lo zio di Ford, deputato all’Assemblea statale del Tennessee, il giorno dopo l’annuncio della candidatura senatoriale di Harold, è stato arrestato per corruzione. Si è dimesso, ma si proclama innocente. Al suo posto è stata eletta un’altra zia, ora sotto accusa per frode elettorale. In generale la famiglia Ford allargata, da sempre in politica, ha avuto vari problemi con la giustizia che ora inseguono Ford junior. Lui dice che i repubblicani sono costretti ad attaccarlo sulle vicende personali perché sulle questioni politiche non hanno argomenti né credibilità. In uno spot televisivo repubblicano di questa estate, Ford è stato descritto come un frequentatore di festini con pornostar, quando in realtà aveva soltanto partecipato a un party organizzato da Playboy per la finale di football. L’avversario Corker, in questa occasione, ha chiesto al Partito repubblicano di ritirare lo spot. Ma il messaggio è passato lo stesso, anche perché Ford ha davvero ricevuto un mini finanziamento da una società produttrice di film pornografici, ma appena ne è venuto a conoscenza ha subito restituito l’assegno.
Ford è single, giovane, bello, di successo. Sarah Jessica Parker, star di “Sex and the City”, ha raccolto fondi per lui. L’attrice Jessica Alba ha versato 600 dollari alla sua campagna elettorale. I giornali locali segnalano le sue conquiste femminili, gli avversari lo criticano per la vita spensierata e piena di lussi, lui giura di volersi sposare e di voler mettere su famiglia. L’altro ieri, ancora rincorso dalle domande sul festino di Playboy, Ford ha detto: “Sì, ero a quella festa, mi piace il football e mi piacciono le ragazze. Non mi devo scusare”.
Gli esperti sostengono che la campagna di Ford, se coronata dal successo, sarà studiata come modello per il futuro. Secondo il sito centrista vicino al Partito democratico, The Bull Moose, è Ford più che Obama il possibile primo presidente afroamericano degli Stati Uniti: “Ford sa che cosa deve fare un democratico per vincere nel sud. Non ha vacillato sulla sicurezza nazionale. Si è identificato con i valori religiosi del suo elettorato. Sa chi sono i pentecostali e si è liberato del marchio liberal del Partito democratico nazionale. Harold Ford è quanto di più vicino ci possa essere a Bill Clinton nelle capacità politiche. E’ altrettanto bravo”.
Barack Obama, invece, è più tradizionalmente liberal di Ford. Al contrario di Hillary si è opposto alla guerra in Iraq fin dal primo giorno e, a differenza di Bill Clinton, ha detto di aver fumato e aspirato spinelli. Obama è un pericolo per Hillary perché corre contemporaneamente alla sua sinistra sull’Iraq e alla sua destra sui valori. Gli editorialisti liberal del New York Times si sono divisi sul conto di Obama. Maureen Dowd l’ha preso in giro perché sembra più interessato ad andare sulle copertine dei giornali di moda che a fare politica. Secondo Frank Rich, “non è affatto una panacea”. Bob Herbert, il columnist afroamericano del Times, ha criticato coloro che sostengono la sua candidatura perché o sono in malafede o non capiscono che si tratta dell’ennesimo trucco dei Repubblicani per vincere nel 2008. Obama, è la tesi di Herbert, non potrà mai vincere, ecco perché gli editorialisti conservatori, come David Brooks, lo vorrebbero in campo (la stessa cosa, però, si diceva a proposito di Hillary). L’altro ieri il vicepresidente Dick Cheney ha detto che Obama, al contrario di Hillary, difficilmente riuscirà a vincere le presidenziali, vista la sua inesperienza. Obama è diventato senatore soltanto due anni fa, poche settimane dopo aver pronunciato il “keynote speech” alla convention di Boston. Quattro anni prima, alla convention di Los Angeles, non era nemmeno riuscito a entrare in sala. In quell’occasione il discorso più importante della convention fu affidato proprio a Harold Ford. Un tipo svelto che, se gli andasse bene in Tennessee, un giorno potrebbe diventare il secondo presidente Ford degli Stati Uniti.

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