Camillo di Christian RoccaPiù truppe a Baghdad e lotta a Moqtada, Bush studia il piano per la vittoria

Milano. Malgrado sia stato sbertucciato da tutti, il rapporto Baker sull’Iraq alla fine potrà vantare il merito di aver riaperto il dibattito sulla natura dell’intervento americano a Baghdad. Di fronte alle difficoltà sul campo, ma soprattutto grazie alle pressioni del gruppo Baker, George W. Bush ha sollecitato una serie di revisioni interne della sua politica in Iraq per provare a delineare una nuova strategia volta a sconfiggere i nemici della democrazia e della pace. Negli ultimi giorni Bush ha incontrato i leader iracheni, sciiti e sunniti, prima a Damasco poi a Washington. Lunedì ha ascoltato il parere dei diplomatici del dipartimento di stato e, in collegamento con Baghdad, ha sentito le proposte dei suoi uomini in Iraq. Lunedì ha incontrato due influenti ex capi di stato maggiore dell’esercito, tra cui Jack Keane, e un noto analista militare, Frederick Kagan, per tenere conto anche di voci esterne all’Amministrazione, peraltro molto critiche con il rapporto Baker. Ieri Bush è andato al Pentagono, dove ha partecipato a un summit con i capi militari, il segretario uscente Donald Rumsfeld e quello entrante Bob Gates.
La sensazione, suffragata dalle solite anticipazioni di stampa, è che sia in corso un deciso cambio di rotta nella strategia americana in Iraq, che va però nel senso esattamente opposto a quello indicato dalla Commissione Baker. Pare abbastanza certo che il Pentagono manderà presto in Iraq venti o quarantamila soldati in più, col compito dicombattere, invece che aspettarli, i terroristi sunniti e, novità, anche le milizie sciite e filoiraniane di Moqtada al Sadr. Questa nuova strategia militare sarà accompagnata da un conseguente riadattamento della linea politica (Sadr fin qui ha fatto parte della coalizione elettorale che ha vinto le elezioni). I dettagli saranno noti soltanto a gennaio, prima del discorso sullo Stato dell’Unione. Bush aveva fissato per la settimana prossima la conferenza stampa per presentare il nuovo progetto, ma poi ha deciso di prendere più tempo, anche per concedere a Gates, il quale si insedierà lunedì prossimo, il tempo necessario a valutare di prima mano la situazione.
(segue dalla prima pagina) I saggi bipartisan di James Baker avevano suggerito a Bush di avviare un piano di moderato e condizionato disimpegno dall’Iraq, oltre che di coinvolgimento diretto di Iran e Siria. Bush però è alla ricerca di un piano per la vittoria, non di abbandono dell’Iraq, sicché è probabile che si vada più verso il pericoloso “raddoppia” che per l’apparentemente cauto “lascia”.
C’è da aspettare gennaio, ma tutte le indicazioni vanno verso l’adozione della politica suggerita da John McCain e da alcuni editorialisti neoconservatori: più truppe in Iraq, decise questa volta a fare sul serio perché, come ha detto ieri al Los Angeles Times un funzionario del Pentagono, “dobbiamo convincere il nemico che facciamo sul serio”. Rumsfeld era un ostacolo a questa strategia di incremento delle truppe, così come lo sono stati il capo di stato maggiore, Peter Pace, e il generale John Abizaid. Circola voce che il prossimo a perdere il posto potrebbe essere proprio Pace, ma altre indiscrezioni raccontano che i vertici militari, ora che Rumsfeld è sulla via d’uscita, propongono di inviare più truppe. Un’idea peraltro condivisa dal dipartimento di stato.
I giornali raccontano di una differenza di vedute tra Dick Cheney e Condoleezza Rice sul futuro politico dell’Iraq, con il vicepresidente che vorrebbe puntare sulla “soluzione dell’80 per cento”, ovvero sulla stragrande maggioranza curda e sciita (ma senza Moqtada) che partecipa attivamente alla rinascita democratica del paese, e con il segretario di stato più intenzionato a coinvolgere i moderati sunniti e magari le tribù stanche della violenza scatenata dai loro correligionari. Deciderà Bush, ma per conoscere in anticipo la strategia militare potrebbe essere utile dare un’occhiata al rapporto “Choosing Victory: A plan for success in Iraq” che sarà presentato questa mattina all’American Enterprise Institute da Frederick Kagan (fratello di Robert) e dall’ex generale Jack Keane, ovvero i due esperti incontrati lunedì da Bush.

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