Nel giorno in cui le truppe italiane a Nassiriyah ammainano la bandiera per la decisione presa l’anno scorso dal governo di centrodestra e ora portata a compimento da Prodi, l’America liberal scopre che dall’Iraq non ci si può ritirare. Nella campagna elettorale di metà mandato, i Democratici avevano proposto uno “spostamento graduale” – in quattro o sei mesi – delle truppe dalla zona di combattimento irachena verso altre basi nei paesi vicini. Questa posizione, stando al coro dei grandi giornali, sembrava dovesse conquistare la Casa Bianca, ferita dalla sconfitta del 7 novembre, tornata sotto l’influenza dei consiglieri realisti di Bush sr e pronta a cogliere la via d’uscita offerta dal gruppo bipartisan guidato da James Baker. Senonché Bush ha definito “unrealistic” la pretesa soluzione realista per l’Iraq di Baker & Co. e ha confermato al premier iracheno l’impegno a non ritirare le truppe finché il governo di Baghdad non riuscirà a far da solo. Ma la notizia, se possibile, non è la resistenza di George W. Bush a un cambiamento di strategia. La notizia è che l’idea di restare in Iraq non è più solo degli ideologhi della Casa Bianca. Ieri il titolo principale del New York Times recitava: “L’unico consenso sull’Iraq: per ora non vada via nessuno”. Malgrado la vittoria democratica sia stata interpretata come un referendum sulla guerra, la realtà dei fatti è diversa: i vertici militari de-rumsfeldizzati suggeriscono di non smobilitare, Baker propone di ridurre di un terzo le truppe ma non subito e si guarda bene dal fissare una data. Sono i democratici, ora, ad aver cambiato idea. Un solo nome, il senatore Jack Reed. Fino a poche settimane fa è stato il fiero copresentatore della risoluzione per lo “spostamento” delle truppe dall’Iraq, votata da 39 senatori democratici su 45. Ora dice di essere “meno a suo agio con date e scadenze” e che lo spostamento delle truppe può essere inteso come “spostamento di truppe dentro l’Iraq”. La svolta è arrivata, ma non da Bush. Ora che i democratici guidano il Congresso, e sono costretti a proporre soluzioni, si sono accorti che l’unica exit strategy credibile resta quella bushiana volta a sconfiggere i terroristi, le marionette degli iraniani, i nostalgici del dittatore. Non quella di ammainare bandiera.
2 Dicembre 2006