New York. Un tempo si chiamavano “buone notizie” e il Washington Post di ieri le ha addirittura messe in prima pagina e anche con maggiore rilevanza rispetto alla cronaca dell’uccisione di un suo corrispondente a Baghdad, il giornalista iracheno Salih Saif Aldin di anni trentadue. La notizia, con tutte le cautele del caso, è che al Qaida in Iraq è stata disinnescata e “colpita in modo devastante e forse irreversibile”. La fonte è l’esercito americano, ma il Post le dà parecchio credito. Il giornale della capitale, già domenica, aveva pubblicato un editoriale dal titolo “Numeri migliori. La prova di una diminuzione delle violenze in Iraq comincia a essere difficile da contestare”. Queste buone notizie, si legge nell’editoriale, non significano necessariamente che la guerra sia stata vinta, anche perché i comandi militari americani sono stati molto chiari nel ribadire che nessuna riduzione della violenza sarà duratura finché gli iracheni non troveranno una soluzione politica al loro interno. Ci sono passi avanti anche su questo punto, come l’accordo intra-sciita tra il gruppo ribelle di Moqtada al Sadr e gli uomini di Aziz al Hakim dell’ex Sciri, il principale partito iracheno, ma l’intesa è ancora troppo fragile e restano ancora forti le divisioni etnico-tribali tra sciiti, sunniti e curdi. Questi ultimi, secondo il New York Times, avrebbero cominciato a trattare autonomamente la vendita del loro petrolio a società straniere, non facilitando la riconciliazione nazionale sulla principale risorsa economica del paese. “In ogni caso – ha scritto il Washington Post – sembra sempre di più che chi, dentro e fuori il Congresso, ha attaccato la credibilità del generale Petraeus e insistito che non ci fossero rallentamenti della carneficina irachena avesse, per dirla in modo semplice, torto”.
Le notizie riportate dal Washington Post sono queste: a settembre, secondo fonti ufficiali irachene e americane, il numero dei civili iracheni uccisi da connazionali o dai terroristi è sceso del 52 per cento rispetto ad agosto e del 77 per cento rispetto a un anno fa. I militari americani uccisi in combattimento sono scesi del 43 per cento rispetto ad agosto e del 64 rispetto a maggio. Nei primi 12 giorni di ottobre i dati sono ancora migliori. La tendenza potrà ovviamente cambiare, come è accaduto in passato, ma questa volta secondo il Post ci sono buone ragioni per poter sperare diversamente.
Al Pentagono sono soddisfatti in particolare dei risultati ottenuti contro al Qaida, grazie anche alla nuova alleanza con i leader tribali delle zone sunnite. Gli indicatori positivi sono il calo del 50 per cento degli attacchi suicidi e gli interrogatori ai capi di al Qaida catturati quest’estate che provocano un “effetto a cascata” su quel che resta dell’organizzazione terrorista. E’ diminuito anche il flusso dei guerrasantieri arabi provenienti dalla frontiera siriana, anche se l’intelligence crede che al Qaida stia mandando i suoi combattenti in Afghanistan. Il generale Raymond Odierno, vice di Petraeus, ha detto che al Qaida in Iraq “è sempre meno coordinata e sempre più divisa” e si è spinto fino a dire che la sua capacità è stata ridotta del “60 o 70 per cento”, anche se ci sono indizi che stia spostando le sue operazioni nel nord iracheno.
Cheney e Bush divisi su Rumsfeld
Alcuni generali premono perché si dichiari vittoria contro al Qaida, ma altri frenano, non solo perché l’ottimismo potrebbe essere prematuro (sono sufficienti tre persone per costruire una bomba e organizzare una strage kamikaze), ma anche perché una dichiarazione di vittoria potrebbe creare una nuova dinamica politica sfavorevole alla Casa Bianca. Se al Qaida è stata sconfitta, il conflitto iracheno altro non è che una guerra civile da cui è meglio che le truppe americane stiano alla larga. Le buone notizie irachene aprono nuovi scenari a Washington, dove la Casa Bianca sta preparando i piani per la fase successiva, Dick Cheney fa sapere di essere stato contrario al licenziamento di Donald Rumsfeld e i democratici tentano di imbrigliare il presidente con una risoluzione sul genocidio armeno. La tempistica scelta dai liberal per condannare la carneficina di armeni compiuta dall’Impero ottomano, cioè dai turchi, durante la Prima guerra mondiale è sembrata sospetta a diversi commentatori conservatori. Il governo turco, infatti, ha reagito minacciando di ritirare il sostegno logistico concesso dalla sua base di Adana, da dove transita il 70 per cento di tutti i cargo americani e la fornitura dei nuovi veicoli antimine che il Pentagono sta inviando a protezione delle sue truppe.
16 Ottobre 2007