Camillo di Christian RoccaLa guerra per i consiglieri

New York. La battaglia più interessante nei circoli politici americani è quella tostissima tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti per accaparrarsi i migliori consiglieri di Washington. I big si contendono le menti più raffinate dei centri studi, si spartiscono i migliori talenti della capitale e cominciano a costituire staff e squadra di governo da schierare in caso di elezione alla Casa Bianca. Le scelte di oggi prefigurano la linea politica di domani, in particolare sui temi di politica estera ed economica, anche se poi il corso degli eventi – come è accaduto con il Bush post 11 settembre – potrà sempre ribaltare l’impostazione iniziale.
La guerra per i consiglieri è un formidabile strumento di campagna elettorale per i candidati. Chi vuole mostrarsi falco sulle questioni di sicurezza nazionale sceglie i suoi collaboratori tra i sostenitori della dottrina Bush o dell’interventismo liberal, mentre chi si vuole distanziare il più possibile dalla politica bushiana arruola consiglieri pragmatici, contrari all’intervento in Iraq e feroci avversari dell’attuale Casa Bianca. Alcuni candidati fanno sia l’uno che l’altro, per non sbagliarsi. I democratici Hillary Clinton e Barack Obama si dividono le spoglie dei funzionari dell’era Clinton, i repubblicani si tengono alla larga, ricambiati con la stessa indifferenza, dallo staff di Bush. Il settimanale Newsweek scrive che i neoconservatori si sono accasati dall’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, oggi il favorito alle primarie repubblicane. Uno di loro è Norman Podhoretz, tra i leader del movimento intellettuale che negli anni Settanta ha cominciato la sua lenta transizione da sinistra a destra. Oggi Podhoretz dà consigli di politica estera a Giuliani, insieme con vari funzionari governativi dell’era Reagan e con i capi dei dipartimenti di politica estera della Heritage Foundation e della Hoover Institution. Il coordinatore, però, è Charles Hill, un reaganiano scettico dell’idea di promuovere la democrazia con la forza.
In realtà il numero maggiore di neoconservatori sta con il senatore John McCain, già loro candidato prediletto nel 2000 contro Bush. Con McCain ci sono Bill Kristol, direttore del Weekly Standard, Robert Kagan, autore del saggio sui rapporti transatlantici “Paradiso e Potere”,  Gary Schmitt, ex direttore del Project for a New American Century, Max Boot, ex capo delle pagine degli editoriali del Wall Street Journal, James Woolsey, ex capo della Cia di Bill Clinton. McCain però si avvale anche di Henry Kissinger, Colin Powell, Richard Armitage e Brent Scowcroft, ovvero del sancta santorum della scuola di pensiero opposta, quella realista. Con loro ci sono anche un bel po’ di ex segretari di Stato e della Difesa di Reagan, da George Shultz a Robert McFarlane ad Alexander Haig a Lawrence Eagleburger.
Gli uomini di Dick Cheney, invece, sembrano preferire Fred Thompson, già leader della campagna legale in difesa di Lewis Libby, l’ex capo dello staff del vicepresidente costretto alle dimissioni dopo l’incriminazione per falsa testimonianza nell’inchiesta su Valerie Plame. Con Thompson ci sono Liz Cheney, figlia del vicepresidente e sottosegretario di Condi Rice, ma anche Mary Matalin, stratega elettorale di Cheney, e l’ex senatore della Virginia George Allen, ex favorito del partito. Sta con lui anche il bushiano più alto in grado a essersi schierato, il guru economico della Casa Bianca, Larry Lindsay. Il più anti Bush del fronte repubblicano, almeno stando ai nomi dei consiglieri, è Mitt Romney. Tra i suoi esperti di politica estera non c’è nessun nome noto tra i sostenitori della dottrina Bush. Con lui ci sono l’ex capo dell’antiterrorismo del Dipartimento di Stato, Cofer Black, e Dan Senor, giovane ex portavoce di Paul Bremer in Iraq.
Tra i democratici, Obama ha assunto un bel po’ di clintoniani, a cominciare dall’ex consigliere per la sicurezza nazionale Anthony Lake. Tra gli interventisti liberal, i più noti sono Samantha Power, Ivo Daalder e l’ex negoziatore mediorientale di Clinton, Dennis Ross. Ma con loro ci sono anche antibushiani come il carteriano Zbigniew Brzezinski e l’ex capo dell’antiterrorismo Richard A. Clark.
Il quadro più interessante è quello di Hillary Clinton, collmo di internazionalisti liberal come Madeleine Albright e Richard Holbrooke, la prima segretaria di Stato di Bill, il secondo probabile successore di Condi Rice (e prefattore dell’ultimo libro di Paul Berman). Con Hillary ci sono anche i fedelissimi di Bill come Sandy Berger, Wesley Clark, Martin Indyk e Joe Podesta ma, soprattutto, anche Michael O’Hanlon, l’analista della Brookings Institution che nei mesi scorsi ha scritto sul New York Times che la nuova strategia militare di Bush in Iraq sta funzionando. Tra i consiglieri militari di Hillary c’è Jack Keane, il generale in pensione che è considerato il padre ideologico dell’aumento delle truppe in Iraq. A bilanciare l’interventistmo liberal dei clintoniani, Hillary ha assunto anche il presidente emerito del Council on Foreign Relations, Leslie Gelb e, soprattutto, l’ex ambasciatore nonché marito di Valerie Plame, Joseph Wilson.
Christian Rocca

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