Camillo di Christian RoccaAnnapolis

New York. La Casa Bianca e il Dipartimento di stato hanno ufficialmente comunicato data, programma ed elenco dei paesi che partecipano ai colloqui di pace tra israeliani e palestinesi ad Annapolis, in Maryland, a poco più di mezz’ora di macchina da Washington. E’ il primo tentativo diplomatico della comunità internazionale guidata dagli Stati Uniti di trovare una soluzione al conflitto dopo il fallimento delle trattative di Camp David del 2000, quando all’ultimo istante Yasser Arafat rifiutò l’offerta del premier israeliano Ehud Barak e spense l’illusione di Bill Clinton.
Il vertice si terrà martedì prossimo alla base militare navale di Annapolis, ma sarà anticipato il giorno precedente alla Casa Bianca da due incontri individuali di George W. Bush con il premier israeliano Ehud Olmert e con il presidente palestinese Abu Mazen. Seguirà una cena, sempre a Washington, ma al Dipartimento di stato. La conferenza si aprirà formalmente martedì mattina con un discorso del presidente americano e poi con l’intervento dei due leader mediorientali. In giornata ci sarà un incontro trilaterale, mentre il giorno dopo, di nuovo a Washington, Bush avrà altri due colloqui bilaterali con Olmert e Abu Mazen. Al vertice ci saranno i paesi della Lega Araba, compresi Arabia Saudita e Siria, i membri del G8 (per l’Italia ci sarà il ministro degli Esteri Massimo D’Alema), l’inviato in medio oriente Tony Blair, il segretario generale dell’Onu, i presidenti della Banca mondiale e del Fondo monetario e poi Norvegia, Australia, Brasile, Turchia, Cina e il Vaticano.
Il governo israeliano, come gesto di buona volontà, ha annunciato il rilascio di 431 prigionieri palestinesi e ha consegnato ad Abu Mazen 25 mezzi blindati leggeri, ma a Washington non circola particolare ottimismo sull’esito della conferenza. Anzi, si parla già di un fallimento annunciato sia a destra sia a sinistra. L’Amministrazione Bush ha cercato di mantenere basse le aspettative, alimentando ulteriori dosi di pessimismo anche tra i liberal che per sette anni hanno accusato Bush di non volersi impegnare in iniziative di pace come questa. Anche se, ieri, il segretario di stato Condoleezza Rice ha rilanciato, dicendo che gli Stati Uniti si augurano che Annapolis possa contribuire alla risoluzione del conflitto entro la fine del 2008.
L’obiettivo della conferenza è avviare le negoziazioni finali tra israeliani e palestinesi per risolvere le questioni sui confini e sulla sicurezza, oltre che sui rifugiati e su Gerusalemme, intorno alle quali si sono sempre impantanati i tentativi precedenti. La chiave di volta, dicono al Dipartimento di stato, è convincere il mondo arabo a sostenere il processo. L’obiettivo non è dei più semplici visto che è stato il mondo arabo ad aver rifiutato, nel 1947, la decisione dell’Onu di dividere la Palestina in due stati. La politica araba è sempre stata coerente a quella scelta, come dimostra il fatto che dal 1948 al 1967 non s’è curato di creare uno stato palestinese a Gerusalemme est, in Cisgiordania e a Gaza, ancora privi di insediamenti israeliani. Anzi, come ha ricordato ieri l’ex diplomatico clintoniano Jeff Robbins, i paesi arabi hanno attaccato Israele e ancora oggi in maggioranza non riconoscono lo stato ebraico.
Il consenso dei paesi arabi è fondamentale e Condoleezza Rice si è spesa moltissimo in questi mesi per riuscire ad averlo. Serve ad Abu Mazen, come scudo dalle accuse degli estremisti e di Hamas di essersi venduto al nemico. Serve ad Olmert, perché sa che il solo Abu Mazen non è in grado di garantire lo smantellamento delle reti terroristiche.
Bush sta premendo sul re Abdullah perché l’Arabia Saudita partecipi ad Annapolis con il ministro degli Esteri e non con un suo sottoposto. Blair è volato a Riad con lo stesso obiettivo. Se ci riuscissero, sarebbe di per sé un segnale positivo, perché in altre occasioni, come alla conferenza di Madrid del 1991, il ministro degli Esteri saudita ha partecipato come osservatore.
Sul piano interno, i candidati democratici alla presidenza e gli editoriali dei grandi giornali liberal non danno ancora grande importanza ad Annapolis, mentre gli editoriali conservatori del Wall Street Journal la giudicano pericolosa. I repubblicani rumoreggiano e considerano Annapolis una perdita di tempo e un tradimento della dottrina Bush. Anzi molto di più: pensano che la conferenza di Annapolis sia il disperato tentativo dell’Amministrazione Bush di ottenere un accordo qualsiasi, anche vago e senza garanzie che venga rispettato, esattamente come aveva fatto Bill Clinton alla fine del suo secondo mandato.

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