Due parole, in inglese, Policy and Politics, anche se in apparenza simili, hanno significati molto diversi. Policy è la ricerca di una via razionale per risolvere problemi complessi che coinvolgono società, economia e tecnologia. Politics è la ricerca di consensi popolari, e la loro aggregazione verso soluzioni che siano accettate anche se non necessariamente ottimali.
In Italiano abbiamo una parola sola: la Politica che va direttamente alla Politics, dove ‘credo’ e filosofie diversi finiscono spesso per essere un dato a priori e che finisce per mettere in seconda linea la Policy. Si mescolano valori ed interessi e si piega la razionalità all’esercizio puro e semplice di un potere spesso solo ideologico.
Difficile uscire dal conflitto se non si riesce a disarticolare ogni singolo problema nelle tre componenti elementari: gli interessi individuali quelli collettivi ed i valori che possono essere diversi nell’ambito di una stessa comunità. Per provare a spiegare il problema nella sua complessità riprendiamo un esempio di grande attualità e complessità. Il rapporto tra etica e scienza esploso recentemente a proposito delle biotecnologie. Il rapporto tra etica e ricerca scientifica non è problema nuovo, né strettamente legato ai temi della ricerca in campo biologico. Basta ricordare Oppenheimer, la sua coraggiosa opposizione all’uso militare delle ricerche di fisica nucleare, il suo entusiasmo per la ricerca in se, ma contemporaneamente le sue profonde perplessità non solo nell’utilizzo dei suoi risultati, ma anche nelle conseguenze internazionali della concentrazione di una conoscenza tanto critica solo nelle mani di pochi. Oggi, nelle scienze della vita, ed in particolare nella applicazione delle biotecnologie allo studio ed alla manipolazione delle cellule umane, esiste un problema simile a quello sollevato da Oppenheimer, ma con aspetti di ulteriore complessità. Non si tratta solo di valutare l’eticità dell’utilizzo delle nuove conoscenze acquisite, ma anche quella dei processi seguiti per ottenerle.
Il settore di ricerca più delicato è quello che impiega le cellule staminali, ovvero cellule ancora ‘indifferenziate’, che non hanno ancora preso le caratteristiche finali del tessuto dell’organo di cui faranno parte. Le cellule staminali opportunamente trattate sono quindi in grado di evolvere in molteplici forme di tessuto ed hanno potenzialità di sviluppo straordinarie in una nascente branca della medicina che he in modo generico si chiama medicina rigenerativa. Esse possono essere ricavate da organismi adulti e si parla allora di cellule staminali adulte o da embrioni ed allora si parla di cellule staminali embrionali. Secondo la maggior parte degli scienziati le seconde sono assai più promettenti delle prime ed è quindi naturale che su di loro si concentri con maggiore attenzione la ricerca.
Ma qui nasce il delicato problema dell’aspetto etico della ricerca. Fino ad ora disporre di cellule staminali embrionali richiede la distruzione di embrione. Se un embrione sia una forma di vita completa o no è un problema assai più di religione che di scienza. Cattolici, Ebrei, Musulmani, Buddisti, Induisti o Atei hanno posizioni diverse in materia. Nel dubbio tuttavia esiste un crescente numero di scienziati che preferisce considerarle tali e cerca modi di lavorare eticamente accettabili. E qui le vie possibili sono molteplici, per cui non appare equilibrato dire no su tutta la linea ad ogni forma di ricerca sulle staminali embrionali. Anche ammesso che la natura dell’embrione sia quella di vita umana la valutazione della eticità del loro utilizzo deve tener conto di un aspetto ulteriore quello del suo stato. Il corpo di un uomo tenuto in vita da una macchina, può ad un certo punto, in un quadro di condizioni sulle quali la comunità medica ha trovato un accordo, essere considerato non più ‘vita’ e essere oggetto di espianto di organi da donare.
Oramai non ci sono più obiezioni serie in materia. Così potrebbe essere per un embrione conservato in un frigorifero (ce ne sono migliaia e sono i cosiddetti embrioni sopra-numerari derivanti dalle pratiche di fecondazione in vitro) se la scienza concordasse sul fatto che dopo un cero numero di mesi o di anni non vi è più in lui la capacità di evolvere in un essere vivente. Ma il bisogno di essere attenti non finisce qui. Per questioni legate al rigetto di tessuti costruiti partendo da cellule staminali si stanno mettendo a punto tecnologie (definite politicamente corrette) che permettono di creare il DNA dei pazienti senza passare attraverso la blastocisti umana ovvero quell’insieme di cellule generato dalla divisione cellulare dell’uovo fecondato. Il NO a tutto ciò che tocca gli embrioni non ha un supporto etico ma solo ideologico. Il fatto che a porre il problema in questi termini siano anche scienziati cattolici fa pensare che alla scienza tocchi il compito di definire una policy che possa evolvere in una politics non di puro confronto ideologico ma di ricerca di soluzioni razionali condivise.
Alessandro Ovi