Mercato e LibertàDiritto d’autore: cosa significa nella società 2.0?

L’esito positivo della grande mobilitazione contro le leggi americane di censura del web riporta in auge il controverso tema del copyright, grande assente del dibattito pubblico dai tempi del raid ...

L’esito positivo della grande mobilitazione contro le leggi americane di censura del web riporta in auge il controverso tema del copyright, grande assente del dibattito pubblico dai tempi del raid subito dal sito svedese Pirate Bay nel 2006.

Sebbene il boom in atto dei servizi di file sharing induca a credere che la questione del rapporto tra Internet e diritto d’autore sia sorta di recente, gli attriti tra la legge e i naviganti sono tanto antichi quanto l’invenzione delle comunicazioni via computer.

La generazione cresciuta negli anni ’90 ricorderà l’epocale italian crackdown, il blitz della Guardia di Finanza che nel maggio ‘94 oscurò circa 200 BBS, embrionali forme di “sito online” che anticiparono di diversi anni la nascita di Internet. I capi d’accusa furono esemplari: contrabbando, duplicazione di software, persino associazione a delinquere.

Dopo un decennio di peer 2 peer, torrent, streaming e file sharing, occorre interrogarsi su quale sia oggi il senso di un diritto d’autore che non si limiti a tutelare la paternità delle opere ma continui a pretendere il diritto esclusivo di sfruttamento economico delle stesse.

Per quanto severe possano essere le misure adottate contro la pirateria, esse incontrano un limite oggettivo nel funzionamento del web che, rispecchiando in toto la società, sfugge per sua natura a censure e restrizioni. Basti pensare al boom di contatti di servizi di streaming video quali Movshare e Videoweed nelle ore successive alla chiusura del fratello maggiore Megavideo per volere dell’FBI; per non parlare delle tempestive dichiarazioni degli hacker di Anonymous che hanno già annunciato l’apertura di un servizio alternativo a Megaupload, anch’esso oscurato dalle autorità federali. Insomma, come a dire “fatta la legge, trovato l’inganno”.

Talvolta sono gli stessi artisti che, inconsapevolmente, alimentano la divulgazione di opere protette caricando sul proprio canale di YouTube i videoclip dei loro singoli, facilmente convertibili da chiunque in comodi file mp3. Inoltre servizi assolutamente legali come Pandora, Netflix, Last fm e Huru rendono ormai possibile anche attraverso una connessione mobile dal proprio smartphone l’accesso illimitato a miliardi di contenuti audio e video.

E’ altrettanto innegabile che la pirateria comporti perdite significative per un indotto intorno al quale ruotano miliardi di fatturato e milioni di impieghi e che solo grandi incassi garantiscano produzioni di alta qualità. Tuttavia, anziché ingaggiare un’anacronistica lotta contro i mulini a vento, le major che tentano di influenzare le politiche di Washington dovrebbero accettare la sfida dei tempi e puntare su quanto di buono il web è in grado di offrire. Servizi di e-commerce e negozi online come Amazon, eBay e iTunes garantiscono notevoli riduzioni dei costi e altrettanti incrementi nelle vendite. Sfruttare le potenzialità del viral marketing per pubblicizzare i prodotti e abbattere drasticamente i prezzi sono le uniche strategie in grado di vincere la concorrenza sleale della pirateria, senza più ingannarsi che sia possibile sconfiggerla per vie legali.

Il punto del dibattito non è più dirsi favorevoli o contrari al diritto d’autore come posizione giuridica, ma riconoscere che le formule valide fino a pochi anni fa sono ormai superate dal diritto vivente della società digitale. Pretendere di censurare il web e – come evidenziato da noti costituzionalisti americani – violare il Primo Emendamento pur di dare la caccia alla teenager che scarica l’album di Lady Gaga è una futile battaglia di retroguardia. Oscurare a priori siti che si limitano ad ospitare contenuti caricati da terzi – che possono essere tanto legali quanto illegali – pur di provare in vano a debellare la pirateria è una violazione delle libertà civili non dissimile da quella perpetrata dal Patriot Act: praticamente una sconfitta per un paese che ama dirsi libero.

Vogliamo bene alle celebrità e non ci dispiace vederle milionarie ma visto che i prezzi di musica e film sembrano ormai andare di pari passo con le quotazioni del greggio, non si vengano a lamentare che nell’indicizzazione dei siti più visitati al mondo Megaupload e Pirate Bay superano di molte posizioni quelli dei colossi dello star system.

Daniele Venanzi

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