Parlare con Maria Pia è un’esperienza molto divertente e seria nello stesso tempo.
Il suo carisma è indiscusso e il suo percorso artistico, che la pone ai vertici della vocalità europea, é stato costruito pezzo per pezzo, con un duro lavoro di affinamento delle sue capacità tecniche ed espressive.
In questa intervista percorriamo un sentiero diverso, che ci porta a scoprire lati poco conosciuti del suo mondo e suggestioni che possono far comprendere meglio il suo percorso artistico ed umano.
Quest’anno Maria Pia ha vinto di nuovo il Referendum di Musica Jazz nella sua categoria.
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MP hai mai pensato di fare qualcosa di diverso dal cantare?
Mi è sempre stato chiaro che avrei svolto una qualche attività creativa. Ho disegnato e dipinto e scritto poesie da sempre, ero convinta che avrei continuato su quella strada. Ma A 8 anni cantavo da solista a scuola , dai 13 anni il pianoforte e la chitarra sono diventati compagnie fisse dalla mia vita.a 15 anni il primo concerto…e a 19 anni ho mollato ogni altra cosa e ho deciso che la musica e l’ improvvisazione sarebbero state la mia vita.
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Quando da bambina vivevi a Napoli, hai suggestioni particolari che ricordi e che poi, successivamente hai traslato nella tua musica?
Napoli, Napoli, Napoli. Tutto di Napoli è stata una suggestione per me. Ero una piccola eremita (come in fondo sono ancora oggi) che guardava dal balconcino di casa il teatrino della strada.. La mia canzone Scugnizzeide viene proprio dal mio ricordo di bande di scugnizzi che facevano chiasso e corse spericolate sotto casa mia… io non uscivo, non parlavo in napoletano.. avevo una sorta di invidia per quella libertà selvaggia. Tutto quello che ho visto, tutto quello che sento a Napoli mi stanno dentro, le espressioni dialettali antiche di mia nonna, lo humour, lo spirito ironico e disincantato, l’accoglienza e l’empatia delle persone… e l’incazzatura perenne per le ferite eterne della città.
3
Chi , fra i numerosi cantanti che la tua città ha espresso, ha tracciato il solco più profondo nella tua anima?
Non ho un mito vocale in particolare, forse perché ho imparato le canzoni sentendole cantare da mia madre, da parenti e amici dei “classici” ho amato Murolo e Fausto Cigliano, la loro pacatezza espositiva. da adolescente le operazioni di Roberto De Simone, e della Nuova compagnia di canto popolare. E Pino Daniele e Napoli Centrale poi… mi fecero capire negli anni 70 quanto il napoletano fosse una lingua duttile ed adattabile alle sonorità più diverse
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Che reazione hanno avuto tua madre e tuo padre quando hai dichiarato la tua passione e l’hai trasformata nel tuo mestiere?
un po’ apprensivi, specialmente all inizio.. o anche quando a 23 anni abbandonai delle collaborazioni redditizie e che mi garantivano visibilità in televisione e radio, per dedicarmi esclusivamente al jazz.!! ahaha … mi ricordo il casino che successe con mia mamma…a Napoli a quel tempo avevamo poche opportunità, e i guadagni erano risibili!! per un po’ hanno pensato che fossi matta.,Ma non sono mai stati contrari. Si sono fidati della mia passione, e della mia cocciutaggine.
5
Sento continuamente plausi da parte di colleghe cantanti nei tuoi confronti ed una stima incondizionata da parte di tutti quelli che hanno partecipato ai tuoi seminari.. sei consapevole del tuo ruolo di didatta o lo reputi un ruolo solo secondario nella tua professione?
Beh, grazie! Sono contenta che tu mi dica questo. La stima dei musicisti è per me la spina dorsale di tutto il mio percorso. Facciamo una musica che ci chiede di essere aperti, in dialogo, in scambio continuo. Per me insegnare è continuare questo scambio. Non è per nulla secondario per me. Adoro il talento umano in tutte le sue espressioni., e per me insegnare è principalmente aiutare i talenti che incontro a riconoscere il proprio mondo, formare un gusto personale, a venir fuori dalle gabbie, attraverso le maglie del linguaggio del jazz, e della pratica dell’improvvisazione. E’ una cosa di grande vitalità e ricchezza umana per me.
6
Quanto di Napoli è vicino alla cultura Afroamericana?
La musica di Napoli è meticcia,la lingua di Napoli è meticcia. come il jazz. questo è tutto.
Non azzarderei altro.
7
Con Ivan Lins stai preparando un lavoro discografico che culminerà con una tua traduzione in napoletano di un suo testo.. che ci azzecca Napoli con Rio?
In realtà ho inciso in duetto con Ivan Lins un suo brano con il testo di Chico Buarque tradotto da me in napoletano, per un disco del gruppo InventaRio di Ferruccio Spinetti, Giovanni Ceccarelli e Francesco Petreni. Una delizia, sono pazza di gioia per questo incontro.
Ma è dal 2007 circa che il Brasile mi è venuto a prendere per mano (come spesso mi capita )iniziai un lavoro chiamato Napoli Bahia, commissionatomi dall’omonima associazione che faceva capo all’Istituto Universitario Orientale di Napoli e alla UFBA di Salvador de Bahia. .. e poi la cosa è tracimata. Ho cominciato ad investigare su autori meno conosciuti e ritmi folclorici..Ho poi incontrato Guinga, ed è nato un amore musicale fortissimo , ho tradotto già tanti suoi brani.. lui adora le mie interpretazioni ed il suono della sua musica in napoletano, mi ha già portato a suonare in Brasile con lui, e ci tornerò ancora quest’anno.! Inoltre, nei miei lavori con Huw Warren il Brasile è sempre stato presentE; Una punta di diamante nella mia produzione per me in questo momento è la nostra versione di Olha Maria, di Chico Buarque, Jobim, De Moraes, che adesso si chiama Curre Maria. Chico ha approvato la mia traduzione, e ascoltato la mia versione riservandomi delle parole lusinghiere che mi hanno davvero commosso.
Cosa c’entra Napoli con Rio? Tanto e niente .Ma come dice Caetano Veloso, il popolo napoletano e quello brasiliano si assomigliano perché sono popoli impertinenti. Perché ne hanno viste di ogni colore. Potrei dilungarmi in mille spiegazioni su prossimità, vicinanze. Sulla ricchezza armonica e melodica della musica brasilian e napoletana , sulla ricchezza ritmica del patrimonio folclorico.. sulle prossimità con la musica classica europea e l’africa, come nel jazz… ma fermiamoci qui.
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Ormai sono innumerevoli le combinazioni fra la tua voce e qualsiasi suono.. cosa ti è rimasto di sperimentare?
Intanto continuare ad approfondire quello che ho cominciato. Essendo il tutto piuttosto ramificato, sto sempre al lavoro..! Ma ti faccio un esempio di cose che sto facendo in questo periodo: il progetto Pergolesi con François Coturier, Anja Lechner e Michele Rabbia…il progetto Roden Crater, sull’opera del grandissimo artista americano James Turrell, con Eivind Aarset,Huw Warren, Anja Lechner , Maurizio Giri e Michele Rabbia, un lavoro molto elettronico. L’incontro con Guinga.e il duo con Huw Warren, che è una grande gioia nella mia vita,e continua ad evolvere vertiginosamente.Ultimamente abbiamo lavorato con Ramamani Ramanujan, grande cantante indiana… alcune cose sono più sperimentali, altre meno, ma vedi:
per me sperimentare significa fare qualcosa che MI trasformi , piuttosto che cercare di fare qualcosa di “nuovo”. Diceva la grande Nadja Boulanger : non c’è nulla di più stupido che fare gli originali. Originali rispetto a che? Ti tagli fuori da te stesso, quando vuoi fare l’originale. la mia sperimentazione riguarda la mia anima. Se faccio qualcosa che sorprende ME, sento che sto andando avanti. Se non mi prosciugherò, lo farò fino a quando tornerò al creatore.
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tre voci che ami…
tre sono poche . ne amo a quintali . te ne do 4 e sparpagliate: Sidsel Endresen, , Betty Carter, Elis Regina, Emma Kirkby
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il tuo mondo interiore collima molto con un forte impegno nel sociale che tieni celato al grande pubblico.. cosa vuoi fare per la società attraverso il tuo lavoro?
Mah. Cerco di avere una vita di partecipazione, piuttosto che di ricerca del privilegio. Mi sento già privilegiata a vivere la vita che ho. Comunque faccio poco, molto meno di quello che vorrei.
Con il mio lavoro? Intanto produrre bellezza, se ci riesco, mi sembra il contributo migliore per la nostra Italia devastata da 20 anni di videocrazia e velinismo. Consideravamo con degli amici musicisti che noi che abbiamo insegnato nelle scuole e in seminari privati abbiamo aiutato tanti musicisti a formarsi , e coloro che non sono diventati musicisti li troviamo ad ingrossare le fila del pubblico ai concerti di jazz e musiche di improvvisazione. Ecco, questo mi sembra un contributo importante che io e tanti jazzisti abbiamo dato all’Italia, senza rumore e senza privilegi di casta.