Nel ventennale dalla sua scomparsa, davvero non si può comprendere come sia possibile che non esista traccia nella nostra memoria, del pianista Umberto Cesàri.
Uomo misterioso, non ha certo fatto molto per essere sotto la luce dei riflettori, tuttavia, la sua qualità artistica eccelsa, lo pone senza alcun dubbio fra i Maestri del Jazz internazionale.
Fa parte della schiera dei “diversi”, quelli come Monk, come Lennie Tristano, come Jaky Byard,
come Art Tatum, come Eric Dolphy, come Andrew Hill, come Dollar Brand…
stilisti che non hanno seguito strade principali, già battute da altri, ma hanno costruito,
da soli, un loro linguaggio autonomo e indipendente.
Forse la natura schiva del musicista o chissà quale altra ragione, hanno portato il pianista romano ad essere ricordato poco in vita e ad essere rapidamente dimenticato, nonostante gli sforzi di molti esperti di jazz come Marcello Piras e l’opera alui dedicata da Stefanno Zenni “Il Pianista Invisibile”.
O il lavoro di recupero minuzioso e puntuale che il compositore e pianista,
ex allievo Fabrizio De Rossi Re, gli ha dedicato.
Noi abbiamo intervistato il figlio, il batterista e compositore Leonardo.
Lui ci svela di più su questo inceredibile personaggio che di certo, molti di voi, non conoscono affatto.
E fore ci aiuta a capire cosa non ha funzionato.
1
Aviatore, spiritista, pianista… chi era Umberto Cesàri?
Mio padre era aviatore già da ragazzino, quando era balilla.
A 17 anni guidava il Caproni 100, un biplano monorotore usato prevalentemente per l’addestramento. Durante uno di quei voli, raccontava, dopo una picchiata, al momento di riprender quota, i comandi smisero di non rispondere, bloccati.
Dopo qualche tentativo, Umberto invertì la procedura, fece il contrario di quello che aveva fatto fino a quel momento, e l’aereo riprese quota.
Quest’ episodio singolare è prodromo di una vita fatta di abbandono all’ istinto, all’audacia, alla propria indole, alla lotta per rispettarla, attuarla, legittimarla.
Ma non per promuoverla.
Celando a volte con imbarazzo quella cifra che, da pianista, lo ha così enormemente contraddistinto, me lo ricordo spesso in un atteggiamento che voleva essere complice con l’ uomo comune, cosa che lui non era.
In quella cifra però c’è anche il pilota di auto e moto, sui circuiti, e ci sono le gare…attività della quale ha sempre parlato con grande fervore.
L’uomo futurista che esalta la tecnica, il dinamismo, la velocità.
E c’è anche una storia di medium, nella sua vita, apporti (oggetti materializzati) ed ultrafania, termine che ho imparato leggendo un suo diario, datato 1944/45, che è una descrizione di una serie di sedute ultrafaniche. ( Ultrafania vuol dire letteralmente Luce o messaggio che viene dall’aldilà).
Con dovizia di particolari il diario narra di chi arrivava alle sedute ( nel senso che il medium veniva posseduto da qualche entità: una volta arrivò Fats Waller, morto nel ’43) e quello che accadeva. Una bellissima storia che ha alle spalle una Roma bombardata, le serate a suonare con La Roman New Orleans Jazz Band nei locali con gli americani, e gli incontri medianici notturni con il termometro alla mano, per vedere se cambiava la temperatura durante le sedute.
2
perché ha scelto una vita ritirata?
Il suo ritiro non fu tanto una scelta, ma una conseguenza.
Secondo mia madre, mio padre fu dopo lo scandalo del Rugantino che cominciò a non uscire più di casa.
Secondo mia madre ciò era dovuto al fatto che Umberto era stato messo al muro dai tedeschi insieme al cugino, durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma era un caso di omonimia, e all’ultimo momento arrivò una camionetta con l’ordine di lasciarli andare.
Quest’ episodio deve averlo molto turbato, e la paura che dopo lo scandalo del Rugantino andassero a prenderlo per processarlo, probabilmente lo gettava nel panico.
Ricordo che il famoso scandalo vede la Roman Jazz Band con mio padre al piano, suonare ad una festa in questo locale, Il Rugantino, a p.zza. Belli a Roma, dove ora c’è una banca con una targa che ricorda quegli anni. Ad un tratto, pare perché in sala fosse arrivata Anita Eckberg, una giovane ballerina turca, Aikè Nanà, improvvisò uno spogliarello, finendo a seni nudi, a ballare convulsamente sui ritmi infuocati (a giudicare dalla faccia sulle foto), sapientemente suonati dal batterista. A quei tempi era roba seria, sdegno vivo per l’immoralità profusa in quell’occasione! Il giorno dopo, infatti, ecco su un giornale americano un titolone: “Orge in Vaticano” (me lo ha mostrato Marcello Rosa, che suonava il trombone nella Roman). I musicisti vennero tutti denunciati, e a poco a poco li andarono a prendere a casa. Tutti tranne uno, mio padre.
Mia madre racconta che papà in quel periodo si era costruito una specie di nascondiglio in un armadio.
Perché non lo cercarono più non si è mai capito.
Secondo mia madre era stato Umberto che, attraverso la forza psichica, aveva influenzato l’evento.
Da quel momento mio padre è uscito sempre meno.
Da quando io sono nato sarò uscito con lui 3 o 4 volte.
3
le sue origini, la famiglia
Umberto Cesàri nasce a Chieti, in Abruzzo, nel 1920, ma già negli anni trenta è a Roma, con il padre Cesare Cesàri, abruzzese anche lui, alto ufficiale dell’esercito, la madre Angela D’Ingiullo Cesari, donna napoletana di grande carattere, con la quale ho vissuto fino alla sua morte (avvenuta nel 1981) insieme a mio padre e a mia madre Elisabetta, per tutti Betty.
Di quegli anni spensierati ed agiati in Abruzzo – entrambe le famiglie dei suoi genitori erano proprietarie di terreni e beneficiarie di rendite – mio padre parlava con grande senso di avventura e spensieratezza: pomeriggi interi a cavallo, perso nelle montagne abruzzesi, o spostamenti con la famiglia in macchine con autista in livrea.
Umberto fece un po’ di conservatorio a Roma, fino a quando non lo cacciarono perché faceva finta di leggere la partitura suonandola però ad orecchio (e bene). La passione per il jazz, credo, nacque in lui attorno a quegli anni, sicuramente ascoltando un disco d’importazione, un disco americano, un disco di Fats Waller.
La madre, mia nonna Angela, non vedeva bene questa sua passione, al punto da chiudere a chiave il pianoforte per non fargli suonare quella musica dei “negri”. Papà a un certo punto lo scardinò e ricominciò a suonare.
4
gli studi
A parte la parentesi del conservatorio, di studi canonici mio padre non ne ha fatti. Credo che lui d’improvviso, o da subito, abbia suonato così, con questa peculiarità, questa ricerca di un’estetica ancora inesplorata all’interno del linguaggio jazzistico esistente in quegli anni.
5
il carattere
Non aveva un carattere facile, mio padre. Tutto teso verso l’assoluto, non concedeva sconti a nessuno.
Non rinunciava a quello che aveva in mente, e spesso quello che aveva in mente gli si formava come idea all’istante, in maniera imprevedibile. Era sensibile alle sfide: mia madre racconta che il giorno del famoso concerto del 1968 alla Rai radio, in diretta, presentato da Adriano Mazzoletti, un concerto che doveva vederlo affiancato da
Stephane Grapphelli che all’ultimo non venne, pare, per un problema di salute, lei, mia madre, si accorse che probabilmente la Rai sapeva da tempo della defezione di Grapphelli, per il fatto che su gli inviti non c’era il suo nome. Gli disse: “Ah Umbè, ti stanno prendendo in giro, qui non c’è il nome di Stephan”. Mio padre disse a zio Miro (Vladimiro Graziani, amico fraterno di mio padre e fra gli organizzatori dell’evento) :”Annamo!”. E andarono in via Asiago.
Fu un concerto memorabile, in trio con Giovanni Tommaso al contrabbasso e Daniel Humair alla batteria. O, per citare Stefano Zenni dal libro su mio padre ” IL PIANISTA INVISIBILE”, “il concerto si abbattè sugli ascoltatori come una tempesta. Cesari suonò con una carica e una furia inarrestabili, attaccò tempi impossibili, riversò nelle canzoni anni di lavoro, e le spinse verso l’informale, lasciando Tommaso e Humair nella confusione”.
Ma il carattere di base di papà era bonario, burlone, amante della satira e dello sfottimento, attività
largamente praticata a Roma, basata sull’ironia e sull’intelligenza.
Negli anni ’70 mia madre, d’estate, spesso partiva per lavoro.
Quando tornava, c’era sempre qualche vignetta ironica che papà le aveva disegnato, sfottendola.
6
come viveva la musica, conosceva quello che accadeva attorno a lui?
Ascoltava molta musica, mio padre, ma più che altro quella che piaceva a lui. Art Tatum, Oscar Peterson, Teddy Wilson, cose del genere. Dalla tv o dalla radio sentiva quello che accadeva nell’ambiente e nel mondo, ma spesso si annoiava e tornava ad ascoltare Tatum.
Una volta, alla tv, mi sembra fosse una “Canzonissima”, sentì Pino Daniele che improvvisava con la voce su un riff.
Sorrise dicendo a mezza bocca una cosa tipo :”Non è male questo!”.
Ma la musica di quegli anni, la musica modale, o l’avanguardia jazzistica, o il free, non li ascoltava.
La musica modale era troppo facile, una pentatonica su tutto, l’avanguardia o il free erano troppo politicizzati, e troppo fuori tonalità.
Mio padre era nato dentro la tonalità, e tutto il suo percorso artistico giovanile si era espresso attorno a questa prerogativa, però eludendola: trovando delle soluzioni armoniche che riuscissero ad affermarla e a eluderla al tempo stesso.
Il jazz, fino all’avvento del free o dello sfruttamento dell’armonia modale, è una musica fortemente tonale, e la prerogativa di mio padre, forse, era quella di suonare all’interno di queste regole, le stesse che formano il linguaggio, con un’estetica formidabile che al tempo stesso cerca di romperlo questo linguaggio, di scardinarlo. Per dirla con le parole di Stefano Zenni, nel già citato libro:
“Nulla di simile a Umberto Cesàri è esistito nel jazz italiano, e nulla di simile può essere rintracciato nel jazz europeo”.
7
incontri importanti
Sicuramente il primo incontro importante fu col pianismo di Fats Waller, e successivamente con Tatum. Quando lo ascoltò mio padre smise di suonare per un po’ di tempo: “…perché già c’era lui a suonare così bene”, mi disse un giorno.
Ma è di incontri umani che mi parlava con grande trasporto, incontri che esulavano dalla musica e che aveva avuto nella vita.
Il comandante di aerei Sandro Paternoster, uomo di grande umanità, un proprietario di una scuderia automobilistica, tale Gino De Santis, che gli preparava le macchine, amici vari con i quali aveva condiviso viaggi e passioni.
Ma sono sicuramente gli incontri esoterici che sono stati i più importanti per lui: un’entità che si chiamava LB (che arrivava spesso nelle sedute), e un’altra che si chiamava Gioacchino. Erano spesso in antitesi fra loro. Dalla discussione e dalla riflessione sul loro disaccordo papà ragionava, traeva delle conclusioni e indirizzava la sua vita.
Argomenti come buddismo, reincarnazione, extraterrestri o fisica quantistica e multidimensionale erano comuni a casa mia negli anni ’70, frutto di riflessioni e ricerche non casuali, consapevolmente interiorizzate e sviluppate in seguito alle esperienze del passato.
8
occasioni mancate
Quasi tutte, nel senso che, con il suo potenziale, avrebbe potuto produrre molto di più e collaborare abitualmente con l’estero.
Sarebbe potuto diventare un compositore, un’arrangiatore o un pianista di jazz italiano affermato in tutto il mondo durante la sua vita.
9
che patrimoni ci ha lasciato
“Sono allergico alle ipnosi di massa e continuo assertore dei benefici effetti della cultura sui disastri dell’ignoranza”, scriveva Umberto Cesàri in una sua riflessione, e la sua “predisposizione”, così lui la identifica, era per “…concezioni musicali che, per esser tali, non avrebbero potuto mai sacrificare nulla a ciò che spesso facesse fin troppo comodo a un pianista che volesse esimersi dall’onere di esprimersi pianisticamente, e non altrimenti”. Quindi, per tutta la vita, Umberto ha ricercato una sintesi musicale che non facesse ricorso a trucchi.
“Il ricorso alle facilonerie nei cliché concepiti da semplicistici quanto improduttivi modelli stagionali rappresenta quel tanto di gratuito (quando di non grottesco) che non troverà mai spazio nella dinamica dell’Arte”, continuava nella sua riflessione Cesàri. Se ne evince un rigore, un rispetto ed una “predisposizione” alla sintesi artistica. Sintesi che deve essere un’avanguardia, per essere sensata, nel momento della sua emanazione. Per dirla in parole povere, se io mi esprimo in questo modo, ed è un modo già sentito, già espresso, esso non ha senso nel mondo dell’Arte, anche se diventa popolare.
E’ un incredibile patrimonio di coerenza, rispetto e dedizione verso un mondo artistico “duro e puro”, quello che lascia a noi, che può portare solo benefici effetti ai disastri dell’ignoranza, come lui stesso sostiene.
il pianista Fabrizio de Rossi Re , un suo pupillo
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cosa conti di fare per non farlo dimenticare
Quest’anno è il ventennale della sua scomparsa, e io vorrei organizzare un evento che lo ricordi sia per quello che era musicalmente sia per quello che sarebbe potuto essere, proiettando la sua estetica verso ambientazioni più moderne, per poter continuare, come mio padre diceva, a fare musica, “…ma che sia soltanto una musica emessa da frequenze tonali selezionate in un processo di illuminata coordinazione vibratoria nei canoni imponderabili ma essenziali e imprescindibili della meravigliosa bellezza dell’Arte”.
Il pianista invisibile.
Vita e opere di Umberto Cesàri (1920-1992)
a cura di Stefano Zenni.
Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti e
Società Italiana di Musicologia Afroamericana
Chieti 2003.
Con 2 Cd.
Questo volume-Cd è la prima pubblicazione dedicata a uno dei più grandi jazzisti europei e uno dei più grandi artisti nati a Chieti. Esso è il risultato della collaborazione tra la SIdMA e la Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti, che ne ha consentito la pubblicazione. Romano di adozione, Cesàri emerse nel dopoguerra come musicista di immenso talento, ma un trauma bellico (una fucilazione simulata) lo spinse dall’inizio degli anni Sessanta a ritirarsi in casa, da cui praticamente non uscì mai. Il suo esilio volontario non lo allontanò dall’arte: anzi, egli continuò a suonare e registrare copiosamente, a dipingere, a scrivere poesie, a riflettere attraverso scritti e saggi.
La ricerca è stata condotta da Vincenzo Caporaletti, Marcello Piras e Stefano Zenni. Se la manciata di incisioni note aveva permesso di valutare Cesàri come un pianista eccentrico e geniale, l’accesso agli archivi generosamente messi a disposizione della famiglia ha rivelato un artista di statura gigantesca, visionario e irriducibile a precise categorie stilistiche, che costringe a ripensare gerarchie e valori della storia del jazz europeo.
Il libro consta di cinque sezioni:
Il pianista invisibile, un saggio biografico-critico di Stefano Zenni, che fa piena luce sulla vicenda umana e artistica di Cesàri grazie all’accesso a fonti e testimonianze primarie: in particolare vengono chiariti i legami con la storia e la cultura di Chieti, l’evoluzione della carriera, le ragioni del misterioso ritiro, gli aspetti meno noti della personalità artistica.
– Un saggio musicologico di Vincenzo Caporaletti che, attraverso l’analisi della prima registrazione norta di Cesàri, Begin the Beguine, ne scevera gli originali tratti stilistici.
– Una Sonografia dell’artista a cura di Marcello Piras, la più completa mai pubblicata, in cui per la prima volta vengono elencate decine di incisioni e registrazioni fino ad ora sconosciute, con la corretta cronologia. Un vero catalogo delle opere che svela l’ampiezza e la varietà, finora rimaste sconosiute, dell’arte di Cesàri.
– La ristampa in facsimile di tutti gli articoli e recensioni riguardanti Cesàri pubblicati da Musica Jazz ordinati cronologicamente.
– Una selezione di scritti privati finora inediti, comprendenti riflessioni critiche sulla musica in generale e sul jazz in particolare, memorie autobiografiche, componimentio poetici.
Completano il volume numerose fotografie inedite, pubbliche e private, e una scelta delle sue opere pittoriche.