Dino si vede come un narratore, un pittore o un architetto?
E’ strano che proprio oggi mi venga fatta questa domanda perché l’altro ieri, mentre leggevo un libro sdraiato sotto il sole, ad un certo punto mi sono posto la medesima domanda. Mi piace raccontare storie, ma con le parole non sono bravo quindi non credo proprio che avrei potuto fare il narratore. Con il disegno non ho un gran bel rapporto, nel senso che non ho una buona mano, per cui anche le opzioni pittore e architetto non mi sembrano delle buone idee. Ed è per questo che mi sento doppiamente fortunato d’essere un musicista, sarebbe stato un problema decidere cosa fare.
un buon musicista deve saper cucinare bene?
Penso che un buon musicista debba avere buon gusto in generale.
Non è importante saper cucinare bensì saper mangiare.
hai mai rappato in vita tua?
C’è stato un periodo della mia infanzia, precisamente dai 12 ai 14 anni, in cui ho “rappato” tantissimo.Mi mettevo a casa a studiare i passi da esibire nelle varie feste dei compagnetti, poi questa passione col tempo è passata anche se tutt’oggi mi piace ballare ma solo in modo buffo e liberatorio.
quando eri piccolo hai mai composto una canzone per qualcuno di cui ti eri invaghito?
Non era mia abitudine scrivere brani per la ragazza della quale mi invaghivo, però ricordo che passavo spessissimo con il motorino sotto casa loro.
la tromba è dura… come fai a conciliare il suo studio tecnico col pianoforte?
In realtà questa situazione mi ha sempre creato stress, ed è per questo che fino a 26 anni non capivo quale dei due strumenti suonare.
Poi con il tempo sono riuscito a trovare un equilibrio e cosa più importante ho capito che entrambi gli strumenti sono necessari e complementari per esprimere la mia immaginazione musicale per cui ho trovato vari sistemi che mi consentono di avere un rapporto giornaliero con entrambi, ciò non è semplice ma come dice un proverbio siciliano: “ Tantu hai e tantu mi dai”, ovvero se qualcosa ti dà tanto,
allo stesso tempo richiede tanto.
hai una desiderio di successo popolare o te ne freghi e ti fai il tuo spazio?
L’unico desiderio che ho è quello di portare in giro le mie immagini e idee musicali, e sappiamo che per riuscire a far questo ci vuole anche “successo popolare”. Sicuramente non ho mai cercato il successo in passato e né tanto meno mi interessa farlo adesso ma sono più consapevole di certi meccanismi.
quando hai capito che la tromba era il tuo strumento?
Nel 1994 mio padre portò me e mio fratello a vedere qualche concerto a Perugia e in un club piccolissimo, il Contrappunto, dove a soli pochi metri di distanza per la prima volta vidi suonare Tom Harrell.
Quando finì il concerto avevo già capito di voler suonare la tromba:
non appena rientrato in Sicilia mio padre me ne comprò una e iniziai a studiarla da autodidatta.
quando hai capito che il pianoforte era il tuo strumento
Avevo all’incirca 13 anni ed un giorno a casa stavo suonando Georgia on my mind.
Inizia ad improvvisare e ricordo ancora adesso la sensazione che provai in quel momento, una sensazione intensissima di libertà espressiva.
Capii che non mi sarei mai potuto allontanare dal pianoforte.
come reagisci alla musica che non comprendi al primo ascolto?
Da piccolo adoravo Clifford Brown e non riuscivo a comprendere Miles. Adoravo Thelonious Monk e non riuscivo a capire Jarrett.
Sono andato incontro a molti cambiamenti e ripensamenti, fin a quando la mia personalità musicale ha preso una sua forma. Oggi se ascolto qualcosa che a primo acchito non mi piace, la spengo.
I Pokemon debbono avere avuto qualche effetto nella tua vita.. o magari no.
Ma quanto è presente in te l’immaginario dei fumetti e dei cartoni animati della tua generazione..
Non so se sia un bene o un male ma non ho mai visto una puntata dei Pokemon. Sono un appassionato di film, ne possiedo un sacco e quando posso li guardo ma da tre anni non ho la televisione, o meglio ce l’ho senza antenna solo per vedere i dvd.
Da piccolo come tutti i bambini vedevo i cartoni ma ho smesso abbastanza presto.
Il mio film/cartone preferito di sempre è stato “Chi ha incastrato Roger Rabbit”.
Se dovessi dirmi un tuo sogno musicale da realizzare, quale sarebbe?
Il mio unico sogno musicale è quello di suonare e continuare a suonare
per il resto della mia vita.
hai mai pensato di fare qualcosa di diverso dal musicista?
L’unica cosa che mi riesce bene, e non sempre, è suonare. Non ho mai pensato o desiderato fare qualcos’altro. Però, penso che potrà capitare che tra qualche anno
mi metta a scrivere poesie o fare volontariato; chi lo sa, mai dire mai nella vita…
come vedi la tua generazione?
I ragazzi sono scoraggiati e demotivati.
C’è poco spazio per i giovani, viviamo in un epoca in cui regnano parole
come “mercato, profitto,entrate, business, bilancio, potenza contrattuale, immagine…”Basta guardare la televisione per capire quanto è triste tutto questo meccanismo perverso.I giovani ne soffrono, c’è chi lo fa in modo consapevole, e chi cerca di stare al gioco e crede di essere più furbo degli altri ma in fondo è solo più triste.
Cafiso, un piccolo racconto sul vostro rapporto di amicizia
Una volta abbiamo aperto il Festival Jazz di Vittoria da lui organizzato, ognuno di noi suonava all’interno di un appartamento in piazza al primo piano con le finestre aperte, quindi non potevamo vederci ma solo sentirci a distanza.
Ad un certo punto dopo 5 minuti di improvvisazione libera nello stesso momento,
con lo stesso respiro, attacchiamo entrambi a suonare un tema…Quando siamo scesi ci siamo guardati e ci siamo chiesti come avevamo fatto a pensare la stessa cosa nello stesso momento senza dirci niente…Abbiamo sorriso.
Rava.. un “padre” artistico o solo un amico o un collega..?
La prima volta che ho conosciuto Enrico sono stato rapito dalla sua persona.
Penso che tutti gli adolescenti abbiano un idolo, qualcuno a cui si ispirano.
Enrico è stato il mio idolo e da lui ho imparato tanto, vederlo suonare, suonarci, condividere il palco con lui è stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita e l’approccio con la musica, soprattutto perché all’epoca avevo 16 anni.
Mi ha sempre incoraggiato, aiutato e dato consigli preziosi, e tutte le volte che posso lo ringrazio sempre.
Penso che Enrico sia il “Padre” del jazz Italiano.
se sei proprio giù, cosa ti tira su , musicalmente parlando…
Bah.. non so, nell’ultimo periodo mi è capitato di tirarmi su con Nick Drake,
o Norah Jones o i Coldplay, o Chet Baker, o Debussy…
hai la stessa voglia di suonare in tutti i giorni che arrivano in terra?
Non ho la stessa voglia tutti i giorni ma comunque non scende mai sotto una soglia, diciamo che è sempre medio/alta.
quando pensi di andare a stare “altrove” dove andresti?
Mi piacerebbe andare in un posto fuori dal mondo, un posto in cui posso perdermi nel vuoto senza pensare a niente, dimenticandomi di tutto e soprattutto dimenticandomi dei miei pensieri.
Perché Miriam Makeba?
Miriam Makeba è stata portatrice di un messaggio di fiducia e speranza,
un messaggio di libertà di pensiero e di espressione.
Adoro la sua voce e poi mi piacciono tantissimo i suoi vestiti colorati, che secondo me rappresentavano il suo animo coraggioso e speranzoso.
Nel mio piccolo mi piace associare la musica ad un messaggio di libertà e di fiducia in se stessi.
Grazie a Miriam ed alla sua storia ho sviluppato ed elaborato quest’idea.
I Partner musicali contano?
Fare musica e trovare i partner giusti non è semplice,
ci vogliono una serie di ingredienti e combinazioni affinchè possa scattare
quella magia ed interplay musicale che rende l’esibizione live un momento di incontro “totale”. Con Stefano Bagnoli così come con Paolino dalla Porta
è scattata questa sintonia e ne sono felicissimo.
Per colpa di Zenzi
Dino Rubino presenta il suo primo album in trio, Zenzi,
un omaggio a Miriam Makeba
Live tour:
26 aprile Bologna: Dino Rubino Trio live @ Cantina Bentivoglio – guest Paolo Fresu
27 aprile Napoli: Dino Rubino Piano Solo @ Live Tones
28 aprile Roma: Dino Rubino Trio live @ La Casa del Jazz
6 aprile 2012 – E’ in uscita il 17 aprile 2012 Zenzi
(Tuk Records / distribuzione My Favorite Records – EMI),
album tributo a Miriam Makeba con cui il trombettista e pianista siciliano Dino Rubino
si presenta al pubblico in veste di band leader.
Alla testa di un trio composto Stefano Bagnoli alla batteria, Paolino dalla Porta al contrabbasso, oltre a se stesso, in veste di autore, arrangiatore e strumentista, al pianoforte e alla tromba, Rubino partirà quindi per un tour nazionale di presentazione dell’album fin dallo stesso 17 aprile, giorno in cui si esibirà presso La Tenda di Modena per il Festival Crossroads (in una formazione eccezionalmente composta da Enzo Zirilli alla batteria e Riccardo Fioravanti al contrabbasso), cui seguiranno, il 18 aprile ,la Salumeria della Musica di Milano (di nuovo con Fioravanti al contrabbasso), il 20 aprile, il Teatro Villa dei Leoni di Mira, per Veneto Jazz (formazione ufficiale), il 26 aprile, la Cantina Bentivoglio di Bologna (formazione ufficiale), ospite Paolo Fresu, e il 28 aprile, la Casa del Jazz di Roma (formazione ufficiale). Dino Rubino sarà inoltre ospite della Rete 2 RSI il 19 alle ore 16.00. Terrà infine un recital in piano solo al Live Tones di Napoli, il 27.
Personalità emergente della nuova scena del jazz europeo, Dino Rubino, 31 anni, presenta tratti geniali del polistrumentista che non potevano sfuggire né ai suoi colleghi, né tanto meno a Paolo Fresu, suo grande sostenitore assieme ad Enrico Rava, e produttore dell’album Zenzi. Intitolato a Zenzile (in lingua xhosa “non hai che da incolpare te stesso”) Miriam Makeba, l’album vuole essere il personale omaggio di Rubino alla cantante e attivista sudafricana, di cui valorizza il patrimonio melodico e ritmico, in un ritratto a più facce in chiave jazz: la Makeba cantante di world music, jazzista, cantastorie, cantante folk.
“L’attività politica di Miriam Makeba, la sua morte a Castelvolturno, il legame tra Sicilia e Africa, terre che hanno ben più in comune della sola prossimità fisica, sono tutti aspetti che mi legano personalmente alla vicenda di questa straordinaria artista, racconta Rubino, e che desideravo rappresentare, a mio modo, in un album. Il progetto musicale si è sviluppato con molta naturalezza, quasi istintivamente. In particolare, la lettura dell’autobiografia della Makeba, oltre all’ascolto dei suoi brani, ha avuto il potere di evocare – quasi da sé – gli arrangiamenti e le nuove composizioni che poi ho registrato. Non è stato un lavoro “di testa”: più cose andavo scoprendo di Miriam Makeba, più la sentivo mia.”
Dal punto di vista stilistico, la variazione ritmica e uno spiccato senso del colore caratterizzano il trio, insieme alla sobrietà di tratto. La ritmica di alta statura che affianca Rubino in questo progetto è in grado di valorizzare al meglio la sua duplice personalità: Stefano Bagnoli, più legato alla tradizione del mainstream di tipo moderno, e Paolino dalla Porta, che rappresenta la linea jazzistica più aperta ed europea. Come nella sua migliore accezione, il trio diventa organismo paritario, nel quale le idee si sviluppano in maniera circolare tra i tre strumenti, favorendo la dimensione improvvisativa e l’interplay.
Note:
Zenzi trova nutrimento tanto nelle melodie che hanno reso famosa la Makeba cantante di world, tanto nei ritmi e nel repertorio del folklore africano (“Mi trovo decisamente a mio agio con i ritmi africani, racconta Rubino, e la cosa bella del ritmo africano è la varietà che ritrovo nel jazz. E che nel mio jazz è ciò che più mi piace”). L’album si apre sulle note di Malaika (in swahili “angelo”), canto della tradizione folkloristica keniota. Seguono Where can I go, sul tema della canzone yiddish direttamente uscita dai campi di concentramento degli anni Quaranta Vi Ahin Zol Ich Geyn? che la Makeba contribuì a fare conoscere, e gli originali Mama Afrika (Rubino-Dalla Porta-Bagnoli), Song for Miriam (Rubino), From Sicily (Rubino), To Afrika (Rubino), Ninna nanna (Rubino), Goodbye Zenzi (Rubino).
Tra questi si annida l’improvvisazione sul brano manifesto della Makeba, sebbene il suo significato sia stato lungamente travisato, Pata Pata, con cui la cantante nel 1957 non solo metteva a nudo imbarazzi e ipocrisie della società perbenista americana ma puntava il dito dritto ad una tradizione musicale, e alla condizione della popolazione che di questa era portatrice, che il mondo non poteva più continuare ad ignorare.
Rubino chiude quindi il suo tributo con il brano Sangoma, con cui allude non solo alla figura del padre della Makeba – che era appunto un Sangoma, figura di sciamano presente in alcune culture sudafricane – ma anche all’omonimo disco della Makeba, di soli brani tradizionali africani, al contrario di tutte le altre pubblicazioni di quegli anni. Dagli arrangiamenti vocali e percussivi caratteristici di quest’album in particolare, Rubino è partito per ricordare, in Mama Africa specialmente, la Makeba più profonda, la cantastorie di un popolo dalla tradizione antichissima.
Il brano From Sicily, che il seguente To Africa completa nel quadro di una suite, “è ispirato alla tradizione folkloristica della mia terra, una tradizione che collego al mio presente attraverso lo swing, racconta Rubino. Con tradizione siciliana, mi riferisco al sound tipico delle bande siciliane, all’atmosfera e alle modalità di condivisione delle esibizioni di questi complessi, nei contesti dei funerali siciliani o delle cerimonie istituzionali, un mondo che io conosco per esperienza diretta. Questa suite, in un modo diverso rispetto a Mama Africa, può essere considerata a sua volta un mio omaggio alla Miriam Makeba cantatrice folk.”
Dino Rubino si racconta:
“I primi pianisti ad avermi influenzato sono stati Monk e Jarrett, ma ultimamente non riesco più ad ascoltare né l’uno né l’altro. Con il piano ora ho tante cose nuove da dire, oggi, quindi non voglio ascoltare pianisti che mi possano distrarre. La mia cultura di riferimento è quella del pianismo occidentale, europeo, il mio modo di intendere il jazz non può prescindere dalla conoscenza tanto della musica classica, quanto della musica etnica. A dire il vero, non mi sento un pianista jazz, mi sento un pianista tout court, a trecentosessanta gradi. Un improvvisatore. Nel periodo della mia formazione, di avvicinamento alla musica classica, studiavo molto Bach, di cui mi piaceva il rigore logico, matematico, nello sviluppare le idee. Bach è un architetto della musica, e a me, l’ipotesi di poter costruire improvvisazioni geometriche affascinava. Poi ho iniziato, tutto all’opposto, ad interessarmi al suono, e ad autori come Debussy, per esempio. Mi sono innamorato di questa musica che galleggia nell’aria, nello spazio e soprattutto nel tempo, un modo di fare musica che sento sempre più affine. Suonare Debussy, negli anni della mia formazione classica, mi è sempre risultato facile e, tutt’oggi, quando improvviso, so quanto Debussy abbia influito sul mio modo di suonare. Penso che la musica sia una missione. Quando mi preparo a suonare, mi sento – oltre che fortunato – in un certo modo portatore di un messaggio, forte, che vorrei condividere: un messaggio di positività, che vorrei rivolgere ai ragazzi che si sforzano di perseguire i loro sogni, che si ostinano a fare ciò in cui credono. Miriam Makeba era portatrice di un messaggio importante. Io, nel mio piccolo, sento quanto meno di voler lanciare un messaggio di fiducia in se stessi, di libertà, di creativa, un invito ad avere il coraggio di portare avanti un’idea. Che è quello che ho cercato di fare con questo disco.”
Dino Rubino – biografia
Il percorso di Dino Rubino è segnato dal complesso processo di affermazione di una personalità musicale dirompente. La sua formazione e la sua carriera seguono una duplice inclinazione – quella di pianista, che si manifesta dalla prima infanzia, e quella di trombettista jazz a partire dalla sua prima adolescenza – che oggi si manifesta attraverso una personalità musicale in cui i due profili si incontrano, si intrecciano facendosi reciprocamente eco, in una sorta di convivenza che Rubino tende a mantenere “il più possibile pacifica”.
Pianista di formazione classica e jazz, Rubino cresce tra influenze musicali che spaziano da Bach a Debussy, da cui mutua gli impianti architettonici, armonici e sensoriali, fino a Monk e a Jarrett e al post-bop, cui unisce lo spiccato senso melodico di sapore mediterraneo che caratterizza oggi la sua vena compositiva.
Vincitore in veste di trombettista del premio Massimo Urbani come miglior talento nazionale emergente nel 1998, è Enrico Rava a chiamarlo per sostituirlo in diversi concerti in Sicilia e a diffondere il suo nome quale esponente di spicco della nuova generazione di trombettisti europei.
Oltre a vantare una lunga serie di prestigiose collaborazioni con musicisti italiani e stranieri, Dino dal 2008 suona e incide regolarmente assieme a Francesco Cafiso, che lo coinvolge in tutte le sue formazioni, tanto in veste di trombettista quanto di pianista.
Nel corso degli ultimi anni si è esibito all’interno di moltissime prestigiose manifestazioni italiane ed estere quali Canarias Jazz, Umbria Jazz, Santiago Jazz EU, Roma Jazz’s Cool, Marciac Jazz Festival, Shangai Italian Expo, Loulè Jazz Festival, Festival MiTo, Umbria Jazz Balkanic Windows, Skopie Jazz Festival, Stagione Musicale della Sapienza di Roma, Auditorium Parco della Musica.
Nel 2012 esce il primo album del Dino Rubino Trio (con Paolino Dalla Porta al contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria) Zenzi, per l’etichetta Tuk Records di Paolo Fresu, un tributo del pianista, trombettista e compositore siciliano alla cantante e attivista sudafricana, di cui valorizza il patrimonio melodico e ritmico in un ritratto a più facce in chiave jazz: la Makeba cantante di world music, jazzista, cantastorie, cantante folk.
“L’attività politica di Miriam Makeba, la sua morte a Castelvolturno, il legame tra Sicilia e Africa, terre che hanno ben più in comune della sola prossimità fisica, sono tutti aspetti che mi legano personalmente alla vicenda di questa straordinaria artista – racconta Rubino – e che desideravo rappresentare, a mio modo, in un album.
E il progetto musicale si è sviluppato con molta naturalezza, quasi istintivamente. In particolare, la lettura della sua autobiografia, una raccolta di racconti che toccano le vicende personali, il rapporto con la sua terra, i suoi incontri importanti, oltre che una descrizione del suo pensiero d’artista e musicale, insieme all’ascolto dei suoi brani, da soli hanno avuto il potere di evocare gli arrangiamenti e le nuove composizioni che poi ho registrato. Non è stato un lavoro “di testa”: più cose andavo scoprendo di Miriam Makeba, più la sentivo mia.”
Dal punto di vista stilistico, la variazione ritmica e uno spiccato senso del colore caratterizzano il trio, insieme alla sobrietà di tratto. La ritmica di alta statura che affianca Dino per questo progetto è in grado di valorizzare al meglio la personalità duplice del musicista siciliano: Stefano Bagnoli, più legato alla tradizione del mainstream di tipo moderno, e Paolino dalla Porta, che rappresenta la linea jazzistica più aperta ed europea. Come nella sua migliore accezione, il trio diventa organismo paritario, nel quale le idee si sviluppano in maniera circolare tra i tre strumenti favorendo la dimensione improvvisativa e l’interplay.
Dal 2012, Dino Rubino è docente di tromba jazz al Conservatorio di Catania.