Forse non serve la Laurea per suonare Jazz e Gary Burton ne è l’esempio vivente.
Il vibrafonista dell’Indiana (1943) ha sviluppato,
sin dal suo esordio nei primissimi anni Sessanta,
uno stile unico e inconfondibile e, forte di una tecnica strumentale magistrale
e di una sensibilità armonica rivoluzionaria, ha costruito un linguaggio completamente nuovo.
Dal 2004 è in pensione, dopo ben trentatrè anni di insegnamento nella scuola di Jazz
più conosciuta ed “antica” del mondo, la Berklee,
fondata alla fine degli anni Quaranta da Lee Berk, che a sua volta,
trasse l’ispirazione e i fondamenti didattici dalla scuola del suo Maestro
Joseph Schillinger .
Eppure, nonostante sia un vero luminare e un punto di riferimento,
Maestro della didattica anche per i “non “ vibrafonisti, forte di un grande talento naturale,
Burton non ha mai ottenuto alcuna Laurea o Diploma.
Ha solo suonato.
Ultimamente, sulle pagine delle riviste specializzate
e nei blog jazzistici si è accesa una violenta diatriba
che ruota attorno ad una questione molto complessa:
se sia il caso di studiare il Jazz in apposite Università
o sia meglio impararlo attraverso la pratica costante
e meticolosa e dall’esperienza diretta.
Ad ascoltare i vecchi musicisti della tradizione ,
l’unica scuola possibile è “fare”
la vita del jazzista, imparando il mestiere attraverso
due esperienze fondamentali:
L’orchestra e il piccolo gruppo.
Questo ha creato il sound delle grandi anime del jazz della tradizione .
Miles Davis ha abbandonato la Juilliard di New York per andare a suonare
con Charlie Parker e Dizzy Gillespie, il Profeta del BeBop
non è stato da meno, forgiando i suoi “tools” armonici rivoluzionari
attraverso l’esperienza diretta e la trascrizione
dalle partiture di musica classica moderna.
Ovviamente un rivoluzionario come Monk non aveva mai frequentato
altro che i Club per la sua formazione.
Neanche Gil Evans ha mai avuto un training di studi accademico
eppure ha cambiato il Jazz come si evince dalla sua collaborazione con Davis.
Oggi, senza alcun dubbio , ci sono meno personalità “trainanti”
nella scena del jazz contemporaneo.
Per essere più chiari, non esiste un “nuovo” moderno Monk o un Mingus …
Tale appiattimento viene attribuito da molti, compresi i musicisti stessi,
alle scuole e ai metodi didattici promulgati e diffusi
e da un approccio accademico ad una forma musicale incontenibile
ed non categorizzabile come il Jazz.
“tutti suonano uguale oggi..” è la frase che sento dire di più..
Ad esempio nella tromba moderna c’é un asse Milesdavisiano
contrapposto ad un asse Cliffordbrowniano…
Il problema secondo me deriva dal fatto che il Jazz,
che così come lo conosciamo,
ha all’incirca un centinaio di anni,
ha già saturato molte aree di ricerca,
rendendo molto difficile innovare e rivoluzionare il suo suono,
perlomeno con i mezzi acustici ora a disposizione.
Tuttavia resta il fatto che con appositi metodi didattici,
ormai raffinatissimi e multimediali,
chiunque può riuscire a sillabarne almeno correttamente il linguaggio.
Sono moltissimi i libri che possono avvicinare i profani
all’esecuzione della grammatica
e della sintassi .. il resto lo farà lo spirito del musicista.
Resta da capire se ci siano le condizioni per una ulteriore evoluzione
del linguaggio verso nuove forme.
Alcuni metodi come il Mark Levine, sono molto popolari e diffusissimi.
Levine ad esempio spiega:
” Un grande assolo di jazz è costituito da:
1% di magia, 99% di cose che sono spiegabili,
analizzabili, categorizzabili e fattibili.
Questo libro si occupa principalmente di questo 99%.
La teoria è un piccolo gioco intellettuale che utilizziamo
per fissare delle regole con le quali capire per esempio
Charlie Parker e John Contrane. (…)
Una volta Charlie Parker disse: “Impara le progressioni armoniche e poi dimenticale!”.
Quando studi teoria sii consapevole del tuo obiettivo finale e pensa alle parole di Parker:
“Vai oltre la teoria”.
Altri, più “storici “ come il John Mehegan,
non hanno perso il loro enorme valore didattico
essendo stati scritti nel momento stesso in cui il jazz si stava evolvendo…
Resta il fatto che la questione è aperta e mai come ora,
ci si sta chiedendo quale sia la prossima possibile evoluzione del jazz o,
di contro, se non stia avvenendo una cosa paventata da molti:
la sua cristallizzazione in formule in tutto simili a quelle della musica Classica.