http://www.auditorium.com/eventi/5268233
Domani, giovedi 3 maggio, all’ Auditorium Parco della Musica.
Microlezioni di Jazz. h.21.
Vediamo di che si tratta…
Che percorso è quello di Filippo Bianchi nelle sue Microlezioni di Jazz?
Come dice l’epigrafe di James Sallis nella prefazione del libro: “Siamo le cose che abbiamo fatto, le persone che abbiamo conosciuto, niente di più”. Sono più di 40 anni che navigo per il jazz, e questi aforismi sono un po’ come quei molluschi che restano attaccati allo scafo, stanno lì in profondità e te li porti appresso perché sono appiccicati all’anima. Per me queste frasette sono state anche delle boe di saggezza a cui mi sono aggrappato, le vocine di dentro che ti vengono in soccorso, magari quando sei in difficoltà (Ti ricordi Star Wars? “La forza Luke”… Ecco, io invece di Obi-Wan Kenobi ho avuto Paul Bley o Johnny Griffin o Paul Desmond). Non so se ci sia un percorso vero e proprio. Semmai ci sono dei temi ricorrenti, in qualche modo connaturati alla natura stessa di questa musica: l’improvvisazione come metafora della vita; la fecondità dell’errore come chiave della ricerca; il jazz come metafora sociale (Alfred Schütz: “Society is making music together”); l’arte dell’ascolto; l’enfasi sulla personalità individuale in un contesto collettivo; il cosmopolitismo, la multiculturalità e la multirazzialità; l’importanza dell’imperfezione nella bellezza (lo strabismo di Venere), e così via…
Percorso sensoriale verso la scoperta del jazz?
Chissà?… La multimedialità come sai esiste da parecchi secoli, e in epoche diverse si è chiamata in vari modi: teatro musicale, melodramma; Wagner – si parva licet – sognava la Gesammtkunstwerk, l’opera d’arte totale… Il punto in realtà è che si danno allo spettatore sollecitazioni di diversa natura: musicali, visuali, testuali. Se questi piani rimangono separati, lo spettatore perde il senso della narrazione e si annoia, se invece si integrano bene si trova al centro di un universo poetico ricco e pieno di sfaccettature. Credo che andrà così, soprattutto perché tutti i musicisti coinvolti hanno trovato i testi e le immagini molto “inspiring”, e quindi cogliere le relazioni fra i vari elementi dovrebbe essere facile. Roswell Rudd ha detto: “Vedremo in scena la più grande orchestra jazz di tutti i tempi!”, e credo abbia ragione, perché sul palco non ci sarà solo il pensiero dei musicisti presenti, ma anche quello di tutti i musicisti citati. Il jazz, come sai, è contemporaneamente un luogo di “tradizione”, con tutto il suo peso, e un luogo di “creazione”, con tutti i rischi impliciti nelle anticipazioni. Questi due aspetti dovranno convivere in scena in maniera armoniosa.
Viaggio minimale nelle piccole cose che hanno contraddistinto questa grande scoperta chiamata jazz?
Le cose piccole, minimali come dici, sono spesso quelle che restano: il frammento è difficile da rompere, perché è già frutto di una rottura precedente. Pochi conoscono a memoria la Divina Commedia o l’Enrico IV, ma è pieno di gente che cita Dante e Shakespeare: nella memoria rimangono e si sedimentano i frammenti. Il jazz poi, quando funziona, ha una grande capacità di sintesi: Beethoven per dire quel che voleva dire ha impiegato 9 sinfonie, Bach 6 concerti brandemburghesi. Nel jazz per fare un capolavoro possono bastare meno di 2 minuti, e se non ci credi vatti a riascoltare la grande Anita O’ Day con Billy May che nella miseria di un minuto e cinquantanove secondi smuove immense emozioni cantando di ciò che ci scandisce il trascorrere del tempo, l’alternarsi del giorno e della notte: Night and Day. Per contro trovo insopportabile il jazz quando si “suona addosso” e diventa prolisso e inconcludente: . Se sei Sonny Rollins, lanciati pure in un assolo di 20 minuti, altrimenti contentati anche di meno…
Condivisione “casalinga” delle espressioni più intime della natura umana che il jazz ha incorporato in sé in modo totalmente naturale?
Certamente sì: è curioso perché questo spettacolo è un po’ la mia autobiografia, però non c’è una parola scritta da me; la mia autobiografia, scritta da altri; insolito… Più in generale, come sai bene il jazz non è solo una musica, e forse nemmeno solo una cultura: è un punto di vista, un modo di vedere le cose. E infatti in questi aforismi si parla di tutto: musica, amore, vita, filosofia, politica, qualsiasi cosa abbia a che fare, come dici, con la natura umana….
Cosa vedremo il 3 maggio all’Auditorium?
Sullo schermo vedremo scorrere le tavole di Pierpaolo Pitacco, che compongono il libro 101 Microlezioni di Jazz, alternate ad altre immagini che mi sono sembrate pertinenti. In scena, quattro grandi musicisti (Paolo Fresu, Roswell Rudd, Danilo Rea e Martux_m) che in qualche modo interagiranno fra loro e con ciò che accade sullo schermo. Di più per il momento non diciamo…