Sono nato negli anni 60 e per me e per la mia generazione
non c' era alcun accesso professionale alla musica,
che non passasse per il corso di studi del Conservatorio.
In quegli anni, la televisi...
Sono nato negli anni 60 e per me e per la mia generazione
non c’ era alcun accesso professionale alla musica,
che non passasse per il corso di studi del Conservatorio.
In quegli anni, la televisione pubblica faceva moltissime trasmissioni
con musica dal vivo e nelle ore di massimo ascolto;
chi andava a suonare in tv non poteva bleffare:
o era bravissimo o era tagliato fuori.
Era l’epoca di Mina, di Battisti e Paoli e della grande Orchestra della Rai.
In quegli anni ci fu un boom di iscrizioni al Conservatorio.
All’epoca esistevano moltissime Orchestre stabili e quindi il “mestiere”
di musicista poteva essere contemplato come approdo professionale possibile,
anche da una famiglia media italiana.
Nessuno avrebbe mai immaginato la deriva che viviamo oggi.
Molti ragazzi della mia generazione andarono al Conservatorio
e cozzarono violentemente contro un sistema educativo che non contemplava
in alcun modo la contemporaneità, dal Jazz al Pop al Rock.
Nella foto qui sotto, sono con i miei compagni di studio del Conservatorio di Santa Cecilia
Aldo Bassi, Pasquale Schembri, Enrico Fineschi, Claudio Corvini
(l’unico a non essere stato nel nostro corso) e il sottoscritto,
tutti diventati jazzisti al di fuori dei corsi di studio accademico.
(ph.Elena Somaré)
All’inizio degli anni Settanta fu affidata una cattedra di musica Jazz
a Giorgio Gaslini che, per qualche anno, fece del suo meglio.
L’esperimento non andò a buon fine visto che la mia generazione,
successiva a quella coinvolta, non ha potuto seguirlo perché durò pochissimo tempo,
nonostante il grande successo che aveva raccolto.
Da quel laboratorio uscirono grandissimi musicisti come Massimo Urbani
Bruno Tommaso, Maurizio Giammarco, Patrizia Scascitelli o Tommaso Vittorini.
Poi la classe fu cancellata poiché il mondo accademico
non trovò una sintonia con questo nuovo linguaggio.
La “Classe” di Gaslini
Ora, in alcuni Conservatori si insegna Jazz, ma la domanda di posti
è tale che non si riescono a soddisfare tutte le richieste.
Entrano in gioco le scuole di Jazz e Pop private.
Ce ne sono moltissime in Italia che svolgono un eccellente lavoro ma una in particolare,
il Saint Louis, ha ottenuto un grande riconoscimento, che vale la pena di segnalare.
Stefano Mastruzzi (ph. unknown)
Ecco i fatti.. parla Stefano Mastruzzi, compositore,
chitarrista, docente e Presidente della Saint Louis .
Il 1° agosto 2012 il Saint Louis è stato accreditato e autorizzato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a rilasciare diplomi di I e II livello, un evento straordinario di portata storica per la didattica in Italia, diplomi con la stessa validità in Italia e all’estero come quelli rilasciati dai Conservatori italiani.
Il Saint Louis, pertanto, è il primo Istituto privato di Alta Formazione Artistica in Italia a conseguire l’autorizzazione sia per diplomi di primo che di secondo livello. L’altro Istituto privato autorizzato è la Fondazione Siena Jazz che per prima ha indicato la strada da seguire.
Credo sia un segnale importante da parte dell’Istituzione ministeriale, individuare, riconoscere e autorizzare una struttura di eccellenza che da anni forma musicisti professionisti apprezzati in tutta Europa. Ora il lavoro continua come prima, ma con un la possibilità di rilasciare titoli accademici aventi valore legale.
Resta la domanda:
Ma per far studiare bene musica ad un figlio bisogna essere ricchi?
1
I Conservatori sono in grado di soddisfare la necessità di
apprendimento dei giovani musicisti?
In che modo entra in gioco la scuola privata, come nel vostro caso?
Non credo che i Conservatori non siano in grado di far fronte alle richieste dei giovani musicisti.
Senz’altro esistono molte difficoltà e credo anche vi sia anche una certa opposizione da parte del mondo accademico classico all’insegnamento della musica moderna, sia essa jazz o popular music. Roma è una città straordinaria che accoglie anche moltissimi studenti da tutto il mondo, quindi una realtà come il Saint Louis, che oggi conta più di 1.500 allievi ogni anno, si pone in una posizione di complementarietà e di collaborazione con il Conservatorio di S. Cecilia.
La scelta di studiare al Saint Louis o in un Conservatorio, così come la scelta di studiare in un Conservatorio piuttosto che in un altro, è determinata nella maggior parte dei casi dai musicisti che vi insegnano con cui ciascun allievo identifica il proprio ideale di musica. E poi credo che si scelga il Saint Louis anche per la serietà e l’alto livello di formazione dimostrato sul campo (quando il titolo non aveva neanche valore legale) e per tutte le attività di produzione artistica che ruotano intorno ai nostri migliori talenti: le etichette discografiche, il centro di produzione artistica, il management per i concerti.
2
Chi decide nel vostro gruppo di lavoro, le direzioni di studio da
intraprendere? Monitorate il mondo lavorativo o seguite linee standard?
Il collegio docenti oggi è composto da 92 professionisti, ma chi decide la direzione da seguire è il Consiglio accademico, composto da rappresentanti e coordinatori di ciascuno strumento, quindi Pierpaolo Principato, Gianfranco Gullotto, Antonio Solimene, Claudio Mastracci, Dario Lapenna, Maria Grazia Fontana, Pierluca Buonfrate, Adriano Mazzoletti, Lello Panico, Daniele Pomo, Michel Audisso. Poi ovviamente ci sono io che da 15 anni accendo in senso metaforico la scintilla per mettere in moto questa macchina meravigliosa…
Abbiamo un filo diretto con il mondo lavorativo del quale abbiamo una percezione molto realistica, grazie all’agenzia artistica Saint Louis Management che si occupa sia di artisti affermati (come Roberto Gatto, Danilo Rea, Rosario Giuliani, Maria Pia De Vito etc..) sia dei giovani talentuosi; per questi ultimi organizziamo una media di 300 concerti ogni anno nelle situazioni più diverse, collaborando non solo con club e festival italiani ma anche con società di produzione televisiva e cinematografica e altri operatori trasversali alla musica.
Maria Pia De Vito (A.Boccalini)
3 Perché l’Italia ha così tante difficoltà a promuovere la cultura musicale ?
Perché il mestiere di musicista, tu mi insegni, non è mai stato riconosciuto come tale da parte del grande pubblico, ma sempre come un hobby. E in questo senso, i vari talent show hanno peggiorato ulteriormente la situazione. La percezione comune è che per diventare artisti bisogna passare per la televisione, per le sfide strappalacrime e altre amenità.
Ovvio che una classe politica poco illuminata non si discosti da questa visione così riduttiva e che dirotti le già poche risorse destinate alle cultura verso lo spettacolo fine a sé stesso o verso l’intoccabile mondo della musica classica. Bisognerebbe spiegare loro che la cultura in genere fa spettacolo, ma lo spettacolo non sempre fa cultura.
4 Che si fa di realistico nei Conservatori per offrire agli studenti un
progetto di studi al’altezza dei cambiamenti in atto nella musica
contemporanea?
Non ho una conoscenza così approfondita per rispondere correttamente. Posso dire che i musicisti titolari di cattedre di Conservatorio con cui scambio spesso pareri e opinioni sono veramente coinvolti e determinati nello svolgere al meglio il proprio compito, ma che spesso mancano le risorse economiche da parte dello Stato per realizzare in maniera incisiva e completa un progetto di studi veramente all’altezza dei tempi. A questo aggiungiamo anche dinamiche (sindacali?) per cui molti docenti di jazz sono stati riciclati dalla musica classica pur non avendo mai tenuto un vero concerto di jazz…certo non fa bene al sistema formativo.
Ecco, in questo credo che il Saint Louis offra un percorso di alto livello, senza compromessi, dinamico, che si evolve ogni anno sulla base dell’esperienza, di intuizioni, di cambiamenti. Se non ci fosse questa continua tensione a migliorarsi (consapevoli che c’è sempre un ampio margine di miglioramento) credo che il Saint Louis come lo conosciamo oggi non esisterebbe.
5 Bisogna essere ricchi per far studiare musica ad un figlio in maniera seria?
Negli Stati Uniti certamente sì, ogni Università o College viaggia dai trentamila dollari l’anno in su, anche se indubbiamente il loro sistema di borse di studio per i più meritevoli funziona meglio del nostro.
In Italia siamo molto lontani da queste cifre, ma anche i Conservatori ormai hanno raggiunto un costo non indifferente, che può arrivare anche a 1.500 – 1.800 euro l’anno.
Il Saint Louis, come è noto, è una scuola privata impegnativa, un triennio accademico non costa meno di 2.800 euro l’anno. La cosa importante, però, è che qualunque sia la cifra spesa, a questa corrispondano “servizi” didattici all’altezza. Al Saint Louis, un anno di percorso accademico di I livello comprende più di 380 ore di lezione, classi di supporto per chi resta indietro, un’agenzia artistica che trova i primi ingaggi, una produzione discografica per tutti i diplomati e molto altro. Abbiamo un nostro sistema di borse di studio interno, ossia non sostenuto dallo Stato italiano, ma che si regge sulle risorse della scuola e riusciamo a garantire fino a 30 borse di studio ogni anno. Certo non sono sufficienti e in fin dei conti tutto ciò mi porta a rispondere in maniera affermativa alla sua domanda: una famiglia alle spalle è importante nella società contemporanea, ma in generale, non solo per la musica, perché anche il mondo universitario soffre degli stessi problemi. Ma possiamo consolarci constatando che questo è uno dei pochi ambiti dove il confronto con gli altri Stati non è così sfavorevole al nostro Paese.
Forse un po’ controcorrente e a titolo di provocazione potrei dire che due-tremila euro l’anno per la formazione seria di un figlio non siano affatto tanti, corrispondendo più o meno al costo di un tablet, un telefonino appena uscito e ai cerchi in lega dell’auto, ma quanti sono disposti a rinunciarvi? Proviamo a pensare che una formazione ben fatta sosterrà nostro figlio per tutta la vita, mentre l’ipad invecchia molto rapidamente…
Rosario Giuliani (ph.A.Boccalini)
6 Quali sono gli obbiettivi che voi avete raggiunto e che prima erano
inimmaginabili?
Certamente l’autorizzazione del Ministero dell’Istruzione a rilasciare diplomi accademici di I e II livello, quindi il top dei titoli accademici, è un traguardo che fino a pochi anni fa non era neanche nelle nostre speranze. Non perché i corsi non fossero all’altezza, anzi, molti degli attuali docenti di jazz dei Conservatori hanno studiato al Saint Louis tanti anni fa. Ma allora non ve ne erano proprio le premesse, prima cioè dell’apertura legislativa che qualche anno fa ha finalmente socchiuso le porte alle Istituzioni private di comprovata efficienza.
Un altro obiettivo importante è stata anche l’ammissione all’AEC, Associazione Europea dei Conservatori che curiosamente abbiamo ottenuto prima ancora di essere autorizzati dal Ministero. Questo perché già da molti anni interloquiamo e collaboriamo con moltissimi Conservatori europei con i quali realizziamo progetti culturali, di scambio di allievi e di docenti e concorsi internazionali, Istituti del calibro di Conservatorio Superior de Música de A Coruña, Het Utrechts Conservatorium, Trinity-Laban Conservatoire di Londra, Codarts di Rotterdam, Rhythmic Music Conservatory di Copenhagen, University of Nicosia, Escola Superior de Mùsica de Lisboa, Royal Academy of Music di Londra, Prince Claus Conservatoire di Groningenl, The Jaroslav Ježek di Praga
Questo perché abbiamo sempre realizzato i nostri progetti nel concreto, a prescindere da titoli e riconoscimenti che sono sempre arrivati dopo. Le strutture estere guardano più al sodo, alle reali capacità di una Istituzione di costruire e realizzare un progetto, piuttosto che ai titoli con o senza valore legale.
Maestro Antonio Solimene (ph.Paoloreste)
7 Da Direttore, come seleziona il gruppo di insegnanti?
In base al curriculum artistico, oltre che a quello accademico. Credo che un titolo di studi, per quanto di alto livello, non sia da solo sufficiente a fare un buon insegnante, serve l’esperienza sul campo, le collaborazioni, la gavetta. Inoltre, è fondamentale capire la motivazione del musicista nello svolgere il ruolo di docente con passione e con capacità di coinvolgere i propri studenti, cerco sempre di evitare i “ragionieri della musica” (chiedo scusa alla categoria, ma mi sembra una immagine che rende bene l’idea di chi svolge puntigliosamente il proprio lavoro ma senza alcun trasporto artistico)
8 Nella musica si riesce anche con idee rivoluzionarie.
Le grandi scuole come Darmstadt o Tanglewood, hanno prodotto un alto numero
di “incendiari” della musica del 900.
Pensa che gli studi tecnici che voi offrite possano essere in grado di
accendere percorsi espressivi innovativi?
I percorsi di studio sono utili e fondamentali per svolgere la professione oggi. Questo è il primo obiettivo, formare professionisti che sappiano operare in tutte le situazioni lavorative richieste nella società contemporanea e magari anche inventarsi il proprio mestiere.
Non escludo che gli incendiari, che fanno tanto bene al rinnovamento, possano uscire da questi percorsi. In fin dei conti, sono i giovani a dover promuovere una innovazione , il nostro compito è quello di fornire loro gli strumenti, di aggregarli fra loro affinché dall’interazione fra giovani musicisti possano fiorire nuove proposte musicali. Serve un po’ di coraggio e di incoscienza per poter rompere gli schemi, questo forse manca un po’ nelle nuove generazioni. Ma per romperli questi schemi bisogna conoscerli a fondo. Per citare un rivoluzionario come Schoenberg, che conosceva a fondo la cultura musicale che ha poi scardinato: “Il talento è la capacità di imparare, il genio è la capacità di evolversi”.
Aggiungo che il genio non si insegna, lo si può tutt’al più scoprire, favorire, stimolare.
9 Il jazz sta diventando una musica borghese?
Non saprei, ma non lo vedrei come un tratto solamente negativo. Credo che la musica che voglia rimanere a tutti i costi elitaria, porti in sé il germe della sconfitta, come è stato per gran parte della musica accademica cosiddetta colta. Il jazz nasce come musica popolare e si è evoluta a livelli molto diversi fra loro, oggi vive di tradizione, di sperimentazione, purtroppo anche di clichet, mode del momento e dilettantismo.
Adriano Mazzoletti
10 Che cosa non avete ancora raggiunto come obbiettivo?
Abbiamo molti sogni nel cassetto, quali la creazione di un grande centro studi per il jazz, per il quale abbiamo appena cominciato creando le basi di un Archivio nazionale del Jazz, diretto da Adriano Mazzoletti, intorno al quel creare negli anni un vero e proprio centro di ricerca. Poi, tra i primi obiettivi del prossimo biennio c’è quello di realizzare una collaborazione stabile con almeno quattro Istituti europei e uno statunitense per favorire le esperienze all’estero dei nostri studenti che ritengo irrinunciabili per un ragazzo del ventunesimo secolo. E poi, il mio pallino rimane sempre Radio Saint Louis…