La Frusta LetterariaAndare a Praga e pensare a Gramsci

Se andate a Praga e avete, come me, difficoltà con l’alfabeto ceco (però sono stato sciocco a non acquisire prima di partire le facili nozioni fonetiche di base necessarie) vi troverete circondati ...

Se andate a Praga e avete, come me, difficoltà con l’alfabeto ceco (però sono stato sciocco a non acquisire prima di partire le facili nozioni fonetiche di base necessarie) vi troverete circondati dappertutto da scritte ceche, esigenti come degli accigliati controllori o i maestri di una volta. E se il vostro inglese di sopravvivenza vi consentirà di cavarvela un po’ ovunque, le cartine e le mappe, da quelle del metrò a quelle topografiche, vi parleranno rigorosamente nella impenetrabile e dolce lingua dei nativi. E questo fino a quando nel tentativo confuso di sciogliere l’inestricabile gorgoglio di consonanti e vocali dai segni diacritici ignoti, ecco che vi appare luminosamente il termine Národní (N. divadlo, N. Galerie, ecc) fra i pochissimi che conoscete. E grazie a Gramsci.

Gramsci s’era chiesto in carcere perché in Italia la letteratura nazionale non fosse anche popolare. E osservava che in Russia il termine Národní vuol dire sia nazionale che popolare (da dove il termine russo “narodniki”, per “populisti”). Per cui il Národní dvlado è il Teatro Nazionale e Národní Galerie, la Galleria Nazionale. Ovviamente il termine mi sobboliva in testa. E mi dicevo che le osservazioni di Gramsci sono attuali perché colgono nel segno di una permanente postura degli intellettuali italiani che neanche l’allargamento del mercato librario del neocapitalismo è riuscito a scalfire più di tanto. Gramsci diceva che essi erano “cosmopoliti” (lo erano certamente i librettisti d’opera, i poeti imperiali come Metastasio) e disdegnavano di essere popolari perché non capivano il popolo o lo disprezzavano (come molti che dal popolo provengono); per cui non erano nazionali per impiego e non erano popolari per deliberata scelta.

Arbasino (un sublime abatino italiano) ricorderà che la letteratura italiana è “exclusive”, una roba scelta insomma, non per tutti. Vero. Tanto vero che avendo “cannato” il mercato del romanzo popolare già nel ‘700 (non esiste, tranne Pietro Chiari e Antonio Piazza una produzione settecentesca di romanzo italiano), la letteratura italiana tranne l’emozionante romanzo popolare e nazionale dei “Promessi sposi”, è stata ed è tuttora o un enorme mercato di traduzione o il regno degli abatini e deli “usignoli dell’Imperatore”.

Gli abatini sono stati sconvolti invero quando uno scrittore come Verga entrò con le scarpe infangate nel salotto italiano delle lettere impugnando una vanga a posto della penna, e i mandarini quando hanno smesso di zufolare per l’imperatore si sono messi a chiacchierare col popolo rinunciando a ogni forma di pedagogia letteraria. Volete minchie e padrenostri assieme? Volete baci perugina e catenacci d’amore? Beccateveli.

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