I risultati elettorali gettano l’Italia nel caos. L’«indignazione», precedentemente celebrata nelle acampade spagnole o negli occupy americani, ha riempito le piazze italiane durante la campagna elettorale e si riversa ora in Parlamento, rendendo il Paese apparentemente ingovernabile. La crescita tumultuosa del M5S si intesta il disagio sociale e amministra la crisi dei movimenti radicali del decennio scorso, con la sistematica occupazione degli spazi che sono da anni patrimonio dei movimenti, in particolare di quelli contro la globalizzazione (salario di cittadinanza, chilometri zero, taglio delle spese militari, No-Tav, l’acqua bene comune, la scuola e l’università).
Dall’incontro di analisi e programmi dei precedenti movimenti «antagonisti» con la virulenta carica di antiparlamentarismo tipica del M5S (niente compromessi, tutti gli altri sono casta, i parlamentari devono avere vincolo di mandato) nasce il successo del discorso grillino, basato sul paradigma di un «popolo onesto» (dato per indiviso al suo interno, niente classi, interessi e stili di vita condivisi) contrapposto a una «casta corrotta» descritta come esterna al «popolo». Mentre la politica tradizionale è in grave crisi (crisi dell’uomo politico e crisi del maggior protagonista della politica, il partito politico), non c’è lotta «civica» su cui il M5S non abbia messo il cappello, descrivendosi come suo unico protagonista.
Analisi e prospettive proprie di movimenti di classe radicalmente anticapitalisti vengono catturate (con successo proporzionale all’ambiguità del messaggio) da un movimento che non ha né un reale riferimento di classe né una prospettiva di alternativa sociale, ma che si rivolge a una generica moltitudine di scontenti in cui si incontrano dipendenti precari, piccoli imprenditori schiacciati dalla crisi, impiegati pubblici orfani della sicurezza già garantita dallo Stato, utopisti delle nuove tecnologie depurate del loro potenziale progressivo e rivestite di aspettative più estetiche e morali che politico-economiche.
L’aspetto più evidente è il «contenuto etico» del movimento. La politica è sfidata dall’etica, un’entità di cui essa non ha mai voluto tener conto, considerandosi orgogliosamente libera dalle regole etiche e dal controllo di coloro che dovrebbero farle rispettare. Quest’esplosione avviene in un momento in cui l’uomo politico ha perduto il sostegno dell’ideologia, che per decenni aveva rappresentato una formidabile copertura per chi voleva dedicarsi alla politica. Lo schema rappresentativo dei rapporti di forza viene così ribaltato da un inarrestabile processo di riduzione della politica ad opera dell’etica. Il successo del movimento consiste nel formare un mix efficace di rivendicazioni del movimento «antagonista», di neo-eletti fantasiosi e concreti che si presentano come «persone oneste», che non prenderanno decisioni né «di destra» né «di sinistra», ma semplicemente decisioni «giuste», nel mantenere un clima incandescente grazie ad una leadership carismatica con una forte immagine da «grande scompigliatore».
Il pre-requisito di tale operazione – chiaramente mutuato da criteri di gestione aziendale – risiede nella capacità di cavalcare il caos, secondo la formula resa celebre da Tom Peters nel suo libro «Thriving on Chaos», tradotto nel nostro paese nel 1989 con il titolo «Prosperare sul caos». Un concetto chiave in «Thriving on Chaos» (titolo che ha lasciato una forte impronta nella cultura aziendale contemporanea) è la necessità di passare da una piramide gerarchica verticale del management a una struttura orizzontale («flat organization»), veloce, multifunzionale e improntata alla collaborazione. Peters elenca 45 suggerimenti generali per i manager che devono affrontare problemi di organizzazione aziendale, in cui vengono valorizzati aspetti come il lavoro di gruppo, le conoscenze e le competenze del team, lo stile di leadership, la gestione dei conflitti e le capacità negoziali, la comunicazione e l’interdisciplinarietà che sono aspetti della cultura di gruppo determinanti per il problem solving e per il successo dei progetti, in particolare quelli d’innovazione o di cambiamento.
Si ritrovano, nell’analisi di Peters, molti degli elementi che sono la spinta propulsiva del movimento di Grillo e Casaleggio, come la trasparenza gestionale, la cultura della qualità, l’investimento abbondante in risorse umane, la continua rotazione come unico criterio organizzativo, l’abbandono di ogni formalismo e la drastica riduzione delle procedure burocratiche, uguali livelli di investimento in tecnologia avanzata e in capitale umano. Peters sostiene che è necessario ridefinire l’eccellenza. Le aziende eccellenti vengono definite come quelle che credono solo in un costante miglioramento e nella necessità di un continuo cambiamento.
La struttura orizzontale improntata alla collaborazione, la ricerca ossessiva della qualità, lo sforzo collettivo di acquisire il meglio della produzione come costume etico delle aziende più avanzate sono la formula per il successo che il movimento di Grillo e Casaleggio hanno mutuato, con varianti più o meno rilevanti, dalle riflessioni di Peters. L’antinomia liberismo-statalismo che ha permeato il XX secolo perde in quest’ottica ogni valore. Il movimento, svincolato da ogni logica di controllo politico esterno, guadagna così spazi e territori inesplorati. L’esplosione di vitalità che l’ha visto avanzare in prospettiva concreta sotto la formula «Prosperare sul caos» è sotto gli occhi di tutti.
Ora che ha capitalizzato voti e consensi, è necessario che il M5S chiarisca se intende impegnarsi per una trasformazione radicale del sistema, su un programma minimo che includa anche l’economia, o se vuole assistere dall’esterno alla peggiore crisi del nostro Paese. Forse non è vero che ogni problema abbia una soluzione, ma certamente vale quasi sempre la pena cercarla anche se, una volta trovata, è molto probabile che questa generi a sua volta nuovi problemi in un processo virtuoso, ma senza fine.
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