Renzi se ne va in silenzio. Ma c’è chi resta e alza la voce

Alla direzione nazionale del Pd Pier Luigi Bersani chiude la porta a un accordo con Berlusconi e propone un programma di 8 punti per trovare un’intesa con il Movimento Cinque Stelle. I dirigenti de...

Alla direzione nazionale del Pd Pier Luigi Bersani chiude la porta a un accordo con Berlusconi e propone un programma di 8 punti per trovare un’intesa con il Movimento Cinque Stelle. I dirigenti del partito sono con lui. Quasi tutti, almeno. Fa discutere la scelta di alcuni, che dopo aver ascoltato la relazione del segretario se ne vanno senza intervenire. È il caso di Matteo Renzi, il sindaco di Firenze. Ma anche di Walter Veltroni. Coincidenze, forse. Destinate ad alimentare le polemiche dei prossimi giorni.

L’esito dell’incontro è scontato. In serata la relazione del segretario viene approvata quasi all’unanimità, con una sola astensione. Ma nel lungo dibattito c’è anche chi alza la voce per opporsi, mettere in discussione il piano di Bersani. Prendere le distanze oppure, più semplicemente, fare autocritica. Il primo a sconfessare apertamente il segretario è Umberto Ranieri. L’esponente napoletano – vicino al presidente della Repubblica – boccia senza mezzi termini la strategia del leader. «Credo che non ci siano le condizioni per la formazione di un governo di centrosinistra che nasca con il voto dei grillini» taglia corto Ranieri. Le alternative? Sicuramente non il ricorso a nuove elezioni, come pure propongono i dirigenti più vicini a Bersani. «Non credo neppure al ripiego del voto anticipato a giugno. Sarebbe l’ultimo grave errore».

C’è chi, come Pippo Civati, fa autocritica. Analizzando la recente campagna elettorale del Pd. «Abbiamo mancato un obiettivo clamoroso – dice il giovane dirigente democrat alla Direzione – perché il Pd ha fatto troppo il Pd. Siamo stati molto rivolti a noi stessi. Non puoi dare del populista a tutti quelli che ci vengono incontro. Abbiamo spesso fatto gli arroganti e oggi leggiamo sul Sole 24 Ore che il programma di Grillo lo scriveranno Stiglitz e Fitoussi, non proprio due stronzi». Il presidente della Liguria Claudio Burlando non è da meno. «Ho chiesto di parlare oggi – rivela – quando mi sono reso conto che ci stavamo davvero ascoltando. Non sempre è successo in queste nostre riunioni. Forse è necessario prendere una sberla così forte perché ci si stia a sentire».

«Credo che non abbiamo ancora deciso se vogliamo essere un partito di cambiamento, di innovazione – spiega a un certo punto l’ex governatore sardo Renato Soru – O se vogliamo essere un partito conservatore. Su certi temi bisogna seguire la strada del cambiamento con chiarezza e decisione. E bisogna farlo sapere in periferia. Non basta farlo qui». Diversi dirigenti non nascondono i timori di un lungo inseguimento a Beppe Grillo. «I punti del programma di Bersani – spiega Beppe Fioroni – vanno bene per stanare i grillini e tentare di farli confluire sulle nostre scelte. Ma non dobbiamo rincorrerli. Dico no all’idea che per prendere i voti dei grillini dobbiamo diventare grillini. Le diversità con loro sono enormi. Loro sono distanti da noi».

L’ex sindaco di Piacenza Roberto Reggi, coordinatore della campagna di Matteo Renzi alle primarie, alla Direzione Pd non c’è. Eppure trova ugualmente il modo di far sentire la sua voce. Interpretando, forse, il pensiero di più di qualcuno. «Con Renzi – racconta intervistato alla Zanzara su Radio24 – il Pd avrebbe preso dieci punti in più, avrebbe vinto tranquillamente anche al Senato. Così è stato un suicidio, un rigore sbagliato a porta vuota». E ancora: «Inseguire Grillo come sta facendo Bersani è uno spettacolo penoso, mi fa male anche per i militanti e non è giusto. Non è giusto che Bersani tratti un intero partito in questo modo». 

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