Parlare con i limoniCaro Mentana che lasci Twitter per i commenti…

Nel suo manuale per aspiranti scrittori "On Writing" Stephen King mette in guardia i futuri colleghi: mettete nel conto che quando pubblicate qualcosa, inevitabilmente vi saranno quelli che lo crit...

Nel suo manuale per aspiranti scrittori “On Writing” Stephen King mette in guardia i futuri colleghi: mettete nel conto che quando pubblicate qualcosa, inevitabilmente vi saranno quelli che lo criticheranno anche brutalmente e non mancherà chi vi insulterà o vi minaccerà violentemente.

“On Writing” è stato scritto nel 1997 quando i social network non esistevano ancora. Eppure anche nella preistoria, quando ci si scriveva attraverso le lettere e la carta, un personaggio noto (specie se scrittore o giornalista) sapeva già che avrebbe attirato anche la rabbia, ingiustificata e malsana anche se solo a parole, di qualcuno.

Sta facendo notizia in questi giorni la decisione del direttore Enrico Mentana di chiudere il suo profilo Twitter per la valanga di insulti ricevuti. Una notizia che ha aperto il dibatitto sui commenti a post e articoli. Chiunque bazzichi Facebook o Twitter conosce benissimo il livello di violenza e volgarità in cui affogano molte discussioni. La tranquillità con cui si augura all’avversario la morte o si invocano le pistole, la gratuità con cui si accusa, si spargono calunnie o veleni. Sopratutto certi siti sono autentiche fogne e gli amministratori sono i primi ad incitare le masse contro qualcuno, magari anche inventadosi le notizie.

E’ evidente che tutto ciò azzoppa le straordinarie potenzialità di Internet, la possibilità di confronto civile, di dialogo e conoscenza che questo strumento offre all’umanità che va degenerando invece in una sorta di eterno Processo del Lunedì.

E allora che fare? Eliminare la possibilità di lasciare commenti? Tornare alla vecchia comunicazione calata dall’alto? Impossibile. Non solo perché il mondo è cambiato ma anche perché siamo noi che scriviamo i primi a non volerlo. Per tante ragioni: perché, in genere, per ogni commento di insulti c’è ne sono venti che adulano e fanno complimenti o lodi sperticate. Più il personaggio è famoso, più il numero di “adulatori” è in proporzione maggiore. Ai commenti positivi vanno aggiunti i “like” e le condivisioni che quasi sempre sono segnali di stima. Ci sono persino motivi neurologici: studiosi americani hanno scoperto che ricevere commenti a ciò che postiamo su un social network suscita un piacere pari a quello di un orgasmo.

Ciò su cui si dovrebbe lavorare è, in principio, su educazione e cultura. Molta gente parla su Internet esattamente come parla nella vita reale, anche lontano dalla tastiere il loro linguaggio è infarcito di volgarità e violenza. Si dovrebbe allora insegnare alle persone il difficile compito di esperimere le loro opinioni, anche critiche, senza provocare, senza insultare, senza offendere.

Ma questo è un lavoro lungo, difficile, complesso, forse persino utopico. Anche perché chi dovrebbe dare il buon esempio spesso non lo da. Anche in altri media dove rispetto al Web c’è una maggiore mediazione, la violenza galloppa senza problemi: basti pensare a certe trasmissioni televisive o radiofoniche, a certi quotidiani, a certi articoli o a certi titoli. Per non parlare della politica e di quei politici che in cerca di attenzione e voti si lasciano andare a dichirazioni di ogni tipo. I commentatori molesti del Web si possono anche bannare ed eliminarli “virtualmente”, chi banna invece i media mainstream o i politici violenti?

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