Sere-ndipityUSA, salario minimo troppo basso e tornano gli scioperi

Qualche giorno fa mi sono imbattuta in un pezzo de Linkiesta del novembre 2012, rilanciato su Facebook e Twitter, e il cui titolo recitava: Il re di Walmart, l’uomo che rideva quando falliva. Per l...

Qualche giorno fa mi sono imbattuta in un pezzo de Linkiesta del novembre 2012, rilanciato su Facebook e Twitter, e il cui titolo recitava: Il re di Walmart, l’uomo che rideva quando falliva. Per la sottoscritta, residente in California, Walmart è una di quelle parole che scatena ogni volta mille dubbi e interrogativi. Tuttavia, ho prima di tutto voluto leggere il racconto e capire che tipo di opinioni ci siano sul personaggio che, introducendo nel 1962 la vendita al dettaglio, è diventato milionario grazie a indubbie abilità e a scelte più o meno condivisibili.

Quello che mi ha sorpreso, più dell’autore entusiasta a riferire della storia di successo della catena di distribuzione , è stato il commento dei lettori, che hanno fatto presente come l’idea di Walmart, per qualcuno, rimandi spesso a condizioni contrattuali – per così dire – “poco dignitose”.

Lettori ben informati le cui perplessità hanno avuto riscontro nello sciopero che giovedì ha portato in piazza migliaia di dipendenti (o ex) di una delle aziende private più grandi d’America (tre milioni di lavoratori). Le manifestazioni hanno attraversato 15 città degli Stati Uniti e sono servite per protestare contro il salario minimo troppo basso e le condizioni lavorative piuttosto “unfair”, come l’assenza di assicurazione sanitaria e l’obbligo di sottoscrizione a Medicaid (un programma sanitario nazionale per le famiglie disagiate). I lavoratori di Walmart percepiscono la media di 7-8 dollari a ora e la petizione (200mila firme) serviva a chiedere un salario minimo di 25mila dollari l’anno e annessa rinuncia al contentino dei buoni spesa.

Le proteste hanno visto una marcia a Los Angeles e un rally vicino al Four Seasons hotel di San Francisco, dove Marissa Mayer, la CEO di Yahoo, e uno dei membri del Board di Walmart hanno casa. A queste manifestazioni, si sono aggiunte quella di New York, dove Walmart non ha centri di distribuzione ma solo il quartier generale; Washington DC; Chicago; Boston; Sacramento; Miami; Dallas. A fine giornata il risultato e’ stato piuttosto deludente: nessun accordo raggiunto, al contrario una quindicina di persone sono state arrestate e probabilmente, come successo gia’ nelle manifestazioni degli scorsi mesi, saranno licenziate per aver infranto il codice dei dipendenti di Walmart.

Il caso dello sciopero di Walmart non e’ il primo che scuote l’America: la scorsa settimana è stata la volta dei dipendenti di McDonald’s e degli altri fast food che, grazie alle Unions (sindacati), hanno ottenuto l’aumento del salario minimo a 15 dollari.

Interessante e’ come questi scioperi nel 2013 abbiano una nuova linea comune, siano cioe’ espressione del disagio causato da stipendi troppo bassi. Un motivo di protesta piuttosto legittimo se si pensa che un quarto delle posizioni di lavoro negli Stati Uniti è oggi sotto la soglia garantita. Neanche le aspettative per il futuro sembrano poi troppo rosee: secondo il Bureau of Labour Statistics, sette su dieci delle occupazioni del prossimo decennio saranno caratterizzate dal salario minimo (che spesso significa anche assenza di copertura sanitaria).

Il fenomeno non è da sottovalutare se si pensa alla crescita della povertà nella societa’ americana e il divario sempre più largo tra chi guadagna meno di 25mila dollari all’anno e chi ne guadagna oltre 80mila. Cio’ che incide su questa differenza e’ prima di tutto la filosofia aziendale: molte aziende americane associano, alla crescita di fatturato, migliori condizioni di lavoro e aumento di stipendio per i propri dipendenti. Lo stesso non si può dire per l’industria dei fast food o quella della grande distribuzione. McDonald’s, ad esempio, ha chiuso il 2012 con profitti pari a 5.6 miliardi di dollari e una crescita del 27%. Sulla stessa scia Wal-mart che ha un avuto profitto pari a 17 miliardi. In nessuno di questi casi però la crescita ha portato ad un aumento in busta paga.

Come spiega Arne L. Kalleberg, professore di sociologia della University of North Carolina, un piccolo aumento del salario potrebbe significare parecchio in termini di lotta alla povertà: si conta come, con un salario minimo di 15 dollari all’ora, molte famiglie sarebbero in grado di uscire da condizioni di vita precarie ed entrare a far parte della classe media. Questo inciderebbe a sua volta su un aumento dei consumi e quindi a più posti di lavoro.

Un ritorno sociale non indifferente che porterebbe gli Stati Uniti a spendere meno nella gestione del welfare state e a migliori condizioni di vita per i singoli. Finora però qualsiasi tentativo sul piano politico è fallito: la proposta di Obama per un aumento del salario minimo a 9 dollari è stata respinta. Una bocciatura che potrebbe significare come la stagione degli scioperi sia in realta’ solo agli inizi.

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