L’ipotesi avanzata dal Ministro Madia, in merito alla cosiddetta staffetta generazionale*, ha suscitato non poche critiche, prevalentemente in merito alle coperture (ma in qualche caso anche sull’impianto di base) e qualche timido entusiasmo.
Si era già parlato di un meccanismo simile lo scorso anno e, anche in quel frangente, erano emerse non poche perplessità.
E’ probabile che l’ipotesi in questione, risulti per molti attraente per quell’idea di “soluzione che accontenta tutti”: da un lato i giovani che finalmente trovano un’occupazione e un riconoscimento alla propria professionalità e dall’altro gli “anziani” (o relativamente tali), che in qualche modo lasciano in modo controllato e indolore il mondo del lavoro.
D’altronde, volendo ragionare a tavolino, soprattutto con riferimento alla pubblica amministrazione, si può ben sostenere la possibilità di sostituire un congruo gruppo di costosi dirigenti vicini alla pensione, con un pugno di giovani entusiasti, magari pronti a lavorare il doppio venire pagati la metà. Insomma la versione in salsa pubblica del “ricambio generazionale da modello superfisso” avrebbe le caratteristiche aggiuntive di intervenire sulla farraginosa macchina dello stato, migliorandone l’efficienza (giovani che costano meno dei vecchi) e l’efficacia, anche se nel bilancio complessivo costi-benefici, come ricorda la ragioneria generale dello stato, va tenuto in conto l’onere derivante dai “nuovi” pensionati.
Inoltre, i più accorti (e dietrologi), potrebbero ben leggere in questo approccio un modo diplomatico per veicolare delle considerazioni di stampo turboliberista: c’è gente che non lavoro o lavora male o in ogni caso costa più di quel che produce, non potendo licenziarla (sacrilegio) si interviene almeno su quelli più vicini alla pensione.
L’aspetto meno convincente, non è tuttavia la reale possibilità teorica di reperire dei soggetti più produttivi e meno costosi per effettuare la sostituzione, quanto piuttosto l’assenza di qualsiasi indicazione sui meccanismi che dovrebbero garantire l’efficacia del processo di selezione di questi soggetti e, aspetto ancor più rilevante, sulle leve a loro disposizione per ottenere dei risultati e sui criteri per valutarne la performance.
A meno di non voler considerare l’anzianità un difetto in sé, alla base della proposta c’è l’idea la struttura esistente non sia ottimale, altrimenti non ci sarebbe motivo di intervenire. Detta struttura, è tuttavia il risultato di una serie di processi e meccanismi di selezione, se non si interviene su questi aspetti, nulla ci garantisce che i nuovi assunti siano migliori dei loro predecessori.
Pertanto, anche a voler sospendere il giudizio sulla discutibile aritmetica superfissa di scambiare un vecchio con 1 virgola qualcosa giovani, senza chiarire in che modo viene valutata la performance ex post di chi deve uscire ed ex ante di chi deve entrare, non si vede come è pensabile ottenere qualche risultato positivo.
Ma c’è un altro aspetto, ancor più rilevante, colpevolmente assente dalla discussione (con la rilevante eccezione del solito Luca Ricolfi) e riguarda le leve a disposizione dei nuovi entranti: se i risultati insoddisfacenti dei dirigenti attuali derivano da ostacoli di carattere istituzionale (regolamenti che non possono cambiare), culturale (dipendenti che non vogliono collaborare o resistono alle innovazioni) o politico (sindacati resistenti a qualsiasi cambiamento), quel che legava le mani ai vecchi uscenti resterà un vincolo anche per i nuovi entranti.
Per trarre qualche conclusione, i suggerimenti non richiesti per il ministro sono:
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anche se a tavolino sembra perfetta lo scambio vecchi per giovani necessita di qualche riflessione in più (e nel conteggio dei costi vanno anche le pensioni)
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senza una chiara misura di chi fa bene o male, nessuna ipotesi di sostituzione può produrre un miglioramento
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senza i poteri sufficienti per incidere realmente nella gestione anche il migliore dei candidati non potrà far meglio dei suoi predecessori
*un meccanismo in base al quale si favorisce il pre pensionamento di dirigenti e dipendenti vicini alla pensione onde favorire l’ingresso di personale più giovane, per conseguire uno svecchiamento della pubblica amministrazione,
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