Per quanto riguarda la ‘ndrangheta il processo “Meta” è stato il più importante che si è celebrato in questi anni. Un procedimento portato avanti dal pm di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, che nel tempo ha assunto un alto profilo non solo per il contrasto alla criminalità organizzata calabrese in territorio reggino, ma anche all’interno di un più ampio quadro giuridico riguardante tutte le organizzazioni mafiose. Il pm ha voluto tracciare una linea di demarcazione nel complesso ”sistema criminale”, tra la cosiddetta ‘ndrangheta ”visibile” e quella ”invisibile”, modificando in corso d’opera anche il capo d’accusa nei confronti dei boss, individuando in Giuseppe De Stefano, Pasquale Condello, Giovanni Tegano e Pasquale Libri, una sorta di “direttorio” che ha in mano gli equilibri criminali a Reggio. Secondo le valutazioni di Lombardo, le dichiarazioni dei pentiti portano alla conclusione che la ‘ndrangheta condiziona ogni settore della vita cittadina, dalle istituzioni, all’economia. Una ristrutturazione criminale – per il pm – al cui vertice vi sarebbe Giuseppe De Stefano, figlio del defunto ”don Paolo”. Una mafia ordinata come ”struttura piramidale visibile”, dietro cui si muoverebbero gli ”invisibili”, coloro i quali prestano la loro faccia, la loro professionalità, per il conseguimento degli ”affari puliti”. Dalle carte dell’operazione Meta partirono anche diversi filoni di indagine che risalirono tutta l’Italia arrivando a Milano e riannodando anche alcuni fili riguardanti la strage di Duisburg del 15 agosto 2007.
Oggi, 7 maggio, il tribunale di Reggio Calabria ha condannato gli imputati, con pene che oscillano dai 3 ai 27 anni per complessivi 262 anni di carcere. La condanna più pesante è arrivata su quello che viene ritenuto il capo del “direttorio” dei “visibili”, cioè Giuseppe de Stefano. Dopo quattro giorni di camera di consiglio e quattro anni di dibattimento i giudici reggini hanno inflitto 20 anni a Pasquale Condello; 20 anche Giovanni Tegano e Pasquale Libri; 19 anni e 7 mesi Cosimo Alvaro di Sinopoli; 23 anni Domenico Condello; 21 anni Antonino Imerti; 16 anni Domenico Passalacqua; 10 anni Stefano Vitale; 13 anni Natale Buda; 16 anni Umberto Creazzo; 23 Pasquale Bertucca; 18 anni e 4 mesi Giovanni Rugolino; 3 anni e 6 mesi Antonio Giustra; 3 anni Carmelo Barbieri; 6 anni Antonio Crisalli; 4 anni e 6 mesi Rocco Palermo.
Photo: Tribunale di Reggio Calabria Flickr – Olivier Duquesne
Intanto le indagini, ha avuto modo di chiarire in più di una occasione sia Lombardo, sia il capo della procura di Reggio, Federico Cafiero de Raho, sono aperte sugli «invisibili»: personaggi insospettabili del mondo delle professioni e degli affari, di pezzi deviati dello Stato, complici della ‘ndrangheta, su cui le indagini sono aperte «perché non può esistere una verità che non sia completa». Come riporta il Corriere della Calabria «Dobbiamo chiederci – aveva tuonato il pm Lombardo in sede di requisitoria – se la ‘ndrangheta è un esercito regolare, di soldati e generali, o un esercito irregolare, una legione straniera, in cui generali e soldati sono solo figuranti, che combattono al servizio di altri. Se è in grado di scegliere fino in fondo le proprie strategie o gode di un ambito limitato, destinato a risentire di ordini altrui. È importante chiedersi se è libera di individuare e sanzionare i propri nemici o esegue le sanzioni che altri hanno deciso. Mi piacerebbe sapere anche se chi si avvale delle forme di intimidazione sia più o meno responsabile di chi invece in numerose occasioni le ha trasformate in strumenti operativi destinati ad attuare strategie occulte». Domande cui altri procedimenti sapranno forse a breve rispondere perché – aveva spiegato il pm – «questa non è Meta, ma metà». Indagini che forse potranno sciogliere un nodo che lo stesso sostituto aveva qualche settimana fa sottolineato: «Mi fa obiettivamente sorridere – aveva detto – che i continui risultati che riusciamo a produrre vengano sbandierati come grandissimi successi, quando poi parallelamente interrogati su quelle che sono le organizzazioni criminali storiche, ci troviamo a ripetere “sono sempre più ricche, potenti, all’interno degli ambienti che contano». Un nodo irrisolto che Reggio, la Calabria, forse l’Italia non possono permettersi. E che il pm Lombardo sembra deciso ad affrontare.
il pm Lombardo in aula aveva definito ironicamente il processo “Meta” come “processo metà”: la parte mancante sarebbe infatti quella degli invisibili, dei pupari. Per il magistrato esiste «chi alimentava falsità e tragedie», una cabina di regia che c’era durante la guerra di mafia e che c’è ancora. Sì, perché, a suo dire, «quando la meta si avvicina si innesca il contropotere privato, per abbattere il rischio che le indagini guardino sotto la cute e allora si minaccia, si tenta di corrompere, si isola e si delegittima».
Un risultato, quello di questo processo, che dovrà trovare conferma nei due prossimi gradi di giudizio, ma che certifica il lavoro serio svolto da Lombardo e dagli investigatori. Un lavoro lontano dai riflettori e senza protagonismi, forse determinante per comprendere in futuro i movimenti e i sistemi criminali che hanno infestato territori e istituzioni (dalla politica alla magistratura stessa) in questi anni, che ancora oggi sono al lavoro e che non hanno bisogno di trattative. Il caso del commercialista Giovanni Zumbo che vi abbiamo raccontato qui ne è un esempio lampante.