Mai come in questi giorni in cui tiene banco la crisi greca è stato Europa sì, Europa no; uno schierarsi pro o contro Bruxelles. Io mi limito a portare un esempio che viene dal mio mondo, quello del Credito Cooperativo, su come si può intendere e vivere l’Europa senza derogare alle proprie peculiarità. Alla fine di giugno Federcasse (l’associazione nazionale delle banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali) ha portato all’attenzione dei regolatori europei una proposta per il finanziamento delle imprese sociali; in particolare per ridurre l’assorbimento patrimoniale in caso di finanziamenti a questo tipo di imprese attraverso un fattore correttivo dello 0,6. Sottolineo: imprese sociali, ossia quelle realtà che, nella crisi, stanno supplendo in misura massiccia alle difficoltà incontrate dal welfare pubblico garantendo, fra l’altro, significativi livelli occupazionali. La proposta, è stata avanzata nel corso di un convegno a Bruxelles sul finanziamento delle imprese sociali, ossia su quegli impieghi che, “destinati a persone o fasce di popolazione escluse dai consueti ambiti di investimento, sono in grado di garantire un ritorno economico e di innescare un circuito virtuoso in grado di autoalimentarsi”. Stiamo parlando di un mercato, quello della finanza d’impatto, che entro il 2020, nella sola Italia, arriverà a valere, secondo le previsioni, 220 miliardi di euro. È evidente che l’attenzione a questo comparto economico nasce e si sviluppa soltanto in chi ha una presa diretta con le realtà che la compongono, ossia con i suoi tanti soggetti attivi nella dimensione locale. Può essere anche questo, a buon diritto, un angolo visuale per inquadrare la questione Europa; non dai piani alti dei palazzi del potere e dei grandi interessi ma dall’economia reale. Un’economia, quella delle imprese sociali, che –guarda caso- funziona, perché queste imprese, proprio negli anni della crisi, hanno mostrato una natura anticiclica. Nell’Europa che si interroga sulla proprie ragioni d’essere con la Grecia sull’orlo del precipizio, non sarebbe almeno il caso di pensare a un futuro con qualche variante? Quel futuro che alcuni studiosi, battezzano, pensando al processo di integrazione europea e alle prospettive del “sogno europeo” Europa 2.0. Che cominci dal basso? Che cominci dal contatto con la realtà?