L’intervento di Belpoliti su Repubblica è molto interessante e coglie nel segno, ma fino a un certo punto. Quanto non si focalizza è però, secondo me, il tema delle pratiche. Un’azione può derivare dal pensiero, ma se non s’incarna è ancora astrazione. Si tratta di cogliere il processo di soggettivazione, sintesi di pratiche e di effetti performativi di esse nella singolarità. L’unità singolare – dinamica – la “durata come forma dell’essere” non può essere colta staticamente da alcuni aggettivi: liberale, liberista, libertario, pacifista, socialista, etc. Contraddittori in un individuo, statico, astratto, ma che diventano concreti attraverso la mediazione del corpo in pratiche in una singolarità incarnata.
Non va sottovalutata anche la componente istrionico-isterica del «corpo in pratiche» in cui si soggettivava esemplarmente Marco Pannella, e che ne costituiva l’ineludibile fascino. In questo erano analoghi Pannella e Pasolini. La differenza tra MP e PP non stava dunque solo nel fatto che il secondo fosse in fondo un nostalgico di una premodernità precapitalistica, e l’altro un militante per l’emancipazione nel diritto dentro una società capitalista avanzata, ma nella diversità singolare in cui s’incarnava la parola poetica, nel secondo, e la parola politica, nel primo. Entrambe analoghi, nel desiderio dissidente.
E comunque, come ripete da qualche tempo Rovatti, c’è necessità politica di ritornare agli anni Settanta, senza il portato violento delle ideologie dominanti (comunista, o neoliberale). Tornare all’impegno militante, al desiderio dissidente come fattore d’immaginazione dei diritti. A subito.