Grazie a Matteo Laurenti, oggi all’attacco dei colossi dell’informatica…
“L’informazione è come una banca: alcuni di noi sono ricchi, altri sono poveri di informazione. Tutti noi possiamo essere ricchi. Il nostro compito è rapinare la Banca. Andare là fuori e distruggere chiunque custodisce e nasconde informazione presso di sé […] ”
[Genesis P. Orridge; Psychic TV/Throbbing Gristle; Decoder, Muscha, Germania, 1983]
“[…] Le regole sono semplici: una volta entrati, non si esce più.”
[Jamie Lee Curtis; 1997: fuga da New York; John Carpenter; UK/USA, 1981]
Cleveland, New York City, Los Angeles, Silicon Valley, Brussels. Lisbon Council di Brussels. Quanto lavoro ci sarebbe ancora oggi per il pluridecorato Snake Plissken.
“Il Lisbon Council _ http://www.lisboncouncil.net/ _ ha una storia intrigante. Prima di tutto ci sono i suoi finanziatori: tra i più recenti figurano Google, HP, IBM e Oracle. Poi c’è il reale peso politico: Anne Mettler, cofondatrice e, fino al novembre 2014 , direttore esecutivo, è stata messa a capo dello European Policy Strategy Centre, un think tank interno alla Commissione Europea. […] Gli autori sostengono che l’Europa cerca di tenersi al passo con gli Stati Uniti sulla cosiddetta densità digitale, ossia il livello a cui i paesi consumano, processano e condividono dati […] Se Borges (Jorge Luis; ndr.) fosse vissuto abbastanza a lungo, avrebbe di certo scelto un Data Center – e non una biblioteca – come ambientazione privilegiata. Cosa rappresenta un database più grande del mondo stesso: un racconto di Borges o un Power-Point della NSA?” (Silicon Valley, Evgeny Morozov, Codice ed. 2016).
Perché l’Opinione pubblica e gli intellettuali ormai coincidono. Devono coincidere. Dobbiamo essere tutti intellettuali organici. E’ una questione di soldi. Di molti soldi. Di tutti i soldi e la liquidità disponibile all’attuale sistema economico stuprato dalla socialista borghese New economy clintoniana, in cui un broker e un ricercatore universitario sono siamesi nella mappa cromosomica dei Big Data. Inseparabili.
In un contesto attuale; non più umano né troppo umano ma umanitarista (umanitario/opportunista), eticamente terminale, iper-inclusivo in cui la proprietà e la privacy sono finalmente un furto da punire severamente, politicamente esausto, mortalmente noioso in cui il trionfo della ragione è in simbiosi con la ricerca dell’uniformità a tutti i costi pena l’accusa di fermare la ripresa economica, l’uniformità dei singoli in un contesto globalizzato viene a coincidere con l’esaltazione positiva dell’anonimato. Figli di NN che invocano élite di Saggi, (per i/le quali proporrei comode tuniche in teflon con cappuccio, pugnale, Idolo mitologico e un altare in dotazione, ndr.), con attacchi di ansia e panico ogni qualvolta una maggioranza silenziosa vota. Perché il voto è imperfetto. Difettoso. Da controllare negli effetti, implementando alla massima potenza il potere del controllo. Perché se si deve abolire la reazionaria e conservatrice sovranità eletta il vertice è la nuova base. Gli effetti le nuove cause. Gli effetti a scapito delle cause nella contemporanea farsesca apologia all’efficientismo in cui anche un post comunista di 70 anni deve essere un clone di Silvio Berlusconi per sdoganare il Sì al nostro Referendum costituzionale sull’altare NATO dell’ultrastabilità economica. Se non si ha un buon padre, si deve procurarsene uno, affermava il povero Nietzsche buonanima in Umano, troppo Umano/Correggere la natura.
Ormai se non si ha un clone non si è nessuno, aggiungerei io. Un buon clone. Da procurarsi dove, ovviamente pagandoli a prezzo di mercato? Ma nelle Università ovviamente.
Nel pressoché anonimato dell’informazione italiota ormai sofismo; neo linguaggio, copia incolla di leaks e comunicati stampa ufficiali, opinioni, sono comunque spuntati due fatti assai rilevanti anche in questo parallelo che ci prosegue alla Mongolia. Comunicati stampa che mi hanno portato nell’interzona uniforme delle opinioni, ovviamente. In rete.
L’India si è opposta a Free Basic. Già ruffianamente Internet.org In un paese che di diritti civili ne sa qualcosina ed è la più grande democrazia eleggibile del nostro pianeta, l’assioma fumoso di Marck Zuckerberg: “connectivity is a human right” non solo non ha per niente convinto il più denso enclave della più densa e popolosa compagine multietnica della Silicon Valley, ma ha aggiunto per bocca del proprio Ministro dell’Informazione ed Emittenza Osama Manzar: “Their pitch about access turned into mobilisation for their own product.” – Il loro campo informazioni sull’accesso si trasforma in mobilitazione per il proprio prodotto. Per un esauriente e completa lettura consiglio caldamente l’Inside Story del 12 maggio scorso corrente anno, sul The Guardian per mano del giornalista indiano e cofondatore di Peepli.org Rahul Bhatia: https://www.theguardian.com/technology/2016/may/12/facebook-free-basics-india-zuckerberg
L’India ovviamente non è stata l’unica ex colonia da aiutare umanitaristicamente a fare running out. E neanche la prima. Lo Zambia prima di lei. L’India, come scrive Bhatia, totalmente appetibile poiché strategica geopoliticamente da ogni punto di vista per Zuckerberg. Un cuneo più circonciso nell’impenetrabile Cina. Sulla Neutralità della rete, o network neutrality NN, si dibatte dall’inizio del Web 1.0 Ed è un dibattito pari all’ontologia della realtà aumentata, applicata all’editoria, le telecomunicazioni con le proprie infrastrutture… e la neutralità delle macchine. Così come lo era la neutralità del denaro con il Welfare 1.0 Prima di app, start up e smartificazioni varie assortite a colmare qualsiasi tempo umano inerte per renderlo tempo macchina remunerativo semplicemente facendo le cose di tutte i giorni, ma mediante un algoritmo (cercare parcheggio in primis). Neutralità che Gilles Deleuze, pure lui buonanima, aveva già ampiamente risolto in Capitalismo e Schizofrenia. Rafforzando e reiterando antologicamente anni dopo il concetto proprio a ridosso del primo world wide web del CERN in Pourpaler. Ad ogni società corrisponde un particolare tipo di macchina; meccanica, termodinamica, informatica, cibernetica (considerando deleuzianamente l’uomo come macchina morbida, ndr), tuttavia le macchine non spiegano nulla, bisogna analizzare le disposizioni collettive di cui le macchine sono solo una componente, terminava lapidariamente l’ultimo dei marxisti freudiani.
La collettività, tanto utile nell’iper-inclusione del modello Wall Street-Silicon Valley, quanto necessaria di tanta più neutralità welfare possibile a ridosso della domanda-offerta nell’era innovazione dei dati quantificabili e quindi monetizzabili. Dopo averli già resi intelligenti necessità già primarie. I soldi non dormono mai sul serio. Considerando il piccolo riposo eterno come “tempo politicamente libero disconnesso”, ovviamente.
Ma nella rete, o cyberspazio oppure cloud che sostituiscano gli ingombranti hardware causa enorme mole di pacchetti dati (cloud che poi sono fisicamente cantine in Pakistan, bunker antiatomici in Russia o rifugi per tornado in Kansas, ecc, ecc… ndr.), non si può ancora passare dall’Opinione pubblica all’ufficialità scientifica che influenza l’opinione pubblica che a sua volta influenza la ricerca scientifica come la teoria era influenzata dalla prassi nella critica all’ideologia che Marx fece a a Hegel in merito alla cultura dominante che influenzava
il proletariato e faceva slittare sempre l’ora X della Rivoluzione…che una volta aveva solo il Telegiornale di mezzogiorno. C’è necessità ancora di luoghi fisici inclusivi dove agglomerare umani che facciano il lavoro per le cavie. Ormai intelligenti e ricche del proprio smartphone che le fa sentire ricche come un ricco. Gli atenei delle università e le loro rispettive pubblicazioni scientifiche. Le quali hanno un costo editoriale. E sono vincolate come unico medium per i ricercatori. I quali lavorano indovinate per cosa? E per chi? Parlando
sopra del pressoché anonimato dell’informazione italiota, Domenico Fiormonte, docente presso il Dipartimento di Scienze Politiche di Roma Tre ha scritto il 3 agosto scorso questo articolo: http://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/7751-domenico-fiormonte-l-autunno-degli-epistemiarchi.html
Nel quale parla dei problemucci che hanno le Università ad abbonarsi ai Database. Inizia così:
“La multinazionale dell’editoria Thomson Reuters ha annunciato lo scorso 10 luglio di aver venduto a due fondi di investimento, Onex Corporation e Baring Private Equity Asia, tutte le attività legate all’editoria accademica e scientifica per 3,55 miliardi di dollari […]”
Tre virgola cinquantacinque miliardi di dollari. Ora, è chiaro che lascio alla vostra sana curiosità da lettori de Linkiesta.it e Giovine Europa Now il proseguimento dei 2 articoli da me sollecitati di Bhatia e Fiormonte, che mi hanno portato a loro volta a scrivere questo per Biava & Gallo e che mi auguro vi abbia sollecitato come è successo a me, ad approfondire.
Quello che posso ancora permettermi di scrivere in merito è che risulta ormai chiaro il fallimento della determinazione del paradosso che ci ha portati magari un po’ confusi ma ancora sani fin qua in questa gabbia dorata. Paradosso; Contro l’Opinione. E a questo punto, contro la sempre più connessa e necessariamente uniforme progressista e “innovativa” Egemonia culturale, accademica, impolitica, economica, scientifica, filosofica, umana.