Ammettereste di adorare il diavolo se ve lo chiedessero?
Si chiama “desiderabilità sociale” (o “distorsione idealistica”) il fattore che frega i sondaggi.
Si tratta di un’interferenza che entra in gioco quando fra le alternative che si pongono all’intervistato alcune risultino socialmente più accettabili di altre. Quando una delle alternative è indecente e suscita riprovazione diffusa, mediamente anche l’intervistato ad essa favorevole si dichiarerà contrario, in tal modo mentendo.
L’intervistato sarà, cioè, riluttante a rivelare opinioni ritenute indesiderabili e sarà tentato di dare di sé la migliore immagine possibile, anche se non veritiera. E tanto più la questione è divisiva, tanto più elevata sarà l’incidenza dell’errore statistico.
Un simile fattore viene anche definito bias, termine dall’etimologia incerta, probabilmente derivante dal francese provenzale con il significato di obliquo, inclinato ed usato oggi per indicare il margine di errore in una disciplina scientifica.
Per social desirability bias si intende allora quel fattore distorsivo del campione statistico, causato dalla tendenza degli intervistati a dare risposte socialmente desiderabili, invece di scegliere le risposte che rifletterebbero i loro veri sentimenti.
Il buon sondaggio, per evitare simili distorsioni, dovrebbe giustificare anche la risposta meno accettabile, considerare normale anche il comportamento negativo, equilibrare la desiderabilità delle risposte (“alcuni ritengono che …, altri invece ritengono che”) o rivolgere le domande in terza persona, togliendo l’intervistato da possibili imbarazzi.
In ogni caso, è davvero impossibile eliminare del tutto gli effetti della desiderabilità sociale.
Le cause di ciò?
Su tutte il timore, anche inconscio, del giudizio morale dell’intervistatore e quindi il timore di discredito e riprovazione.
Per Schopenhauer l’onore, inteso come l’opinione che gli altri hanno di noi, era qualcosa che “secondo il giudizio di tutti i tempi e di tutti i Paesi, occupa il primo posto fra i beni terreni, e in modo così saldo che tutt’al più solo la vita stessa può venire posta sul suo medesimo piano” (Trattato sull’onore, 1828).
E checché se ne dica, l’uomo non è un animale razionale e individualista. Al contrario, è un animale sociale, definito dalle relazioni con gli altri e legato ai suoi simili. Lo disse Aristotele nel IV secolo A.C. nella sua “Politica” e lo confermano oggi i più recenti studi in neuroscienze e sociologia.
L’opinione che gli altri hanno di noi è fondamentale. Ed il nostro cervello è fatto per seguire la massa, per adeguarsi all’opinione e al comportamento della maggioranza.
Solo il segreto dell’urna è capace di sciogliere le briglie dell’omologazione sociale.
Questo ci ha ricordato l’America che ha eletto Donald Trump.
Che la democrazia rimane un esercizio intimo e riservato.