Dunque, l’idea è la seguente: eliminare il pareggio dai Mondiali. Forse però dobbiamo un attimo riavvolgere il nastro, per capire come si possa essere arrivati a tale scempio, in nome della modernizzazione del calcio, che modernizzazione in realtà non è.
Gianni Infantino, avvocato diventato un anno fa numero uno della Fifa dopo che finalmente ci eravamo liberati di Blatter, ha spiegato qualche tempo addietro che c’è una approvazione più o meno di massima tra gli aderenti al governo planetario del pallone, per allargare il numero di squadre partecipanti alla Coppa del Mondo. In sostanza, là dove c’erano 32 squadre, in futuro ce ne saranno 48. Una pioggia di partite, in nome della più larga rappresentanza del mondo al torneo: più nazionali ci sono, più è il mondo a contendersi l’ambita coppa, tutti felici come fosse uno spot di natale della Coca Cola e via. Già solo a vederla, la formula dovrebbe far schizzare ai dotati di senno il sopracciglio a livelli che nemmanco quello di Ancelotti ha mai raggiunto in anni di onorati innalzamenti. Riassumendo, ci sarebbero 48 nazionali divisi in 16 mini-gironi da 3 squadre ciascuno. A passara sarebbero le prime due, che si scontrerebbero poi nella fase a eliminazione diretta a partire dai sedicesimi. Il tutto compresso in 32 giorni di gare.
Una vera e propria abbuffata di calcio, che mascherata da grande festa dello sport allargata rivela che la Fifa non ha mai cambiato indirizzo con l’arrivo di Infantino. Già, il primo comandamento del pallone che rotola sull’erba non è quello di finire in rete, ma di seguire il denaro. E più partite significa per forza aumentare il valore dei diritti tv del pallone. E poi, più rappresentanti qualificati uguale più voti a Infantino delle federazioni onorate del fatto di partecipare al Mondiale.
Tutto molto bello, ma c’è un problema. Fare gironi da tre squadre significa di fatto rioschiare di rendere inutile la terza e ultima partita del girone stesso, in caso una squadra perda o vinca le prime due. Uno smacco, un errore imperdonabile: quale grande broadcaster pagherebbe milioni per un torneo con gare potenzialmente inguardabili, con il rischio di pareggi preconfezionati? Ecco che allora spunta la seconda grande riforma di questo calcio così stantìo: basta pareggi. Nei gironi o si vince o si perde e per risolvere la contesa, in caso di X, si va ai rigori. Anche qui, la propaganda è presto servita: si vuole eliminare il pareggio per eliminare il rischio-biscotto, o combine; ma il vero problema sta appunto nella formula del torneo e nelle motivazioni economiche che spingono verso la riforma così fortemente sponsorizzata da Infantino. Inoltre, il problema è anche culturale: il pareggio fa parte della storia del calcio, inteso come sport di matrice europea; a differenza ed esempio degli sport Usa, dove il pareggio non è contemplato, a differenza del vincitore e dello spettacolo a tutti i costi. Ma sarebbe davvero così? In fondo, per una piccola nazionale, la prospettiva di andare ai rigori in caso di pareggio potrebbe portarle a catenacci ossessivi per poi giocarsi tutto dal dischetto, a discapito di quello spettacolo voluto dalla Fifa, per ingrassarsi con ancora più soldi. Mah, la cosa ci lascia alquanto perplessi.