A Natale Beppe Grillo ci ha fatto gli auguri citando un testo del poeta Goffredo Parise, un elogio della povertà e della decrescita, contro il consumismo.
“I consumi e gli sprechi”, dice Grillo citando Parise, “livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e così il senso più profondo e storico di classe. Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante”.
Grillo ci suggerisce che a questo consumo ossessivo vadano contrapposte le ideologie della povertà e della decrescita. ”Povertà”, dice Parise, “è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche””.
Da più parti è stato rilevato che Grillo è un altro che predica bene e razzola male, perché ha lo yacht in Sardegna, partecipa a feste a base di champagne a Porto Cervo con finanzieri svizzeri e possiede una casa al mare che viene affittata a 14 mila euro alla settimana.
Il punto vero, però, è un altro.
L’articolo di Parise poteva avere un qualche senso quando venne scritto, nel 1974. Oggi è solo funzionale a svendere la moda radical-chic della decrescita, una moda che Grillo ama molto, ma che costituisce uno smacco proprio per i più poveri, perché senza consumo non ci sarebbero tasse da redistribuire e stipendi da pagare.
Lo stesso articolo di Parise si pone un simile problema, ma lo lascia là, irrisolto. “Lettori, chiamiamoli così, di destra”, dice il poeta, “usano la seguente logica: senza consumi non c’è produzione, senza produzione disoccupazione e disastro economico”. Alla questione posta dai lettori “di destra” vengono però fornite sterili risposte di principio. Tipico di poeti e filosofi che non si misurano con i problemi dell’economia.
Lo stesso Grillo è diventato ricco con il consumo che la gente ha fatto dei suoi spettacoli, vendendosi sul mercato della satira. Obbietterete che il consumo della satira è un consumo nobile, per cui non potrebbe mai essere definito “consumismo”.
Ma chi siete voi per definire un consumo più nobile di altri? Dare giudizi di valore assoluto sulle esigenze o sui capricci della gente, fintanto che non nuocciono agli altri, costituisce una delle tante anticamere moraliste dei totalitarismi.
E se povertà, come dice Parise, è anche “rifiutarsi di comprare robaccia”, rifiutare gli “imbrogli” e saper distinguere “un cretino da un intelligente”, se dobbiamo evitare di fidarci “in modo idiota di Carosello”, allora rifiuto nettamente i caroselli di Grillo, le scie chimiche, la logica dei complotti e dei microchip sotto pelle, la favola della sovranità in un mondo globale, le svolte ipocrite sui Codici etici, i proclami giustizialisti a senso unico, le parole vuote come “onestà”, le bufale che mirano alla circonvenzione della democrazia, le sciocchezze vendute col prezzo del biglietto come il pomodoro antigelo, il pregiudizio antiscientifico, le fandonie come quella per cui l’AIDS non esiste, gli attacchi ai giornalisti che non piacciono e una marea di altra spazzatura.
Capisco che non vi piaccia l’offerta politica attuale, ma qui si tratta di passare dalla padella alla brace.
Evviva Parise, quindi, quando ci invita a rifiutare la robaccia che ci propina Grillo ed a scegliere “bene e minuziosamente” chi ci dovrà governare.
Ricordate sempre che il modo più veloce di andare al potere è gridare: “Popolo, ti stanno ingannando!”.