Dopo i Giochi Olimpici, è arrivato il secondo grande no (non definitivo, questo) del Comune di Roma. Stavolta è toccato allo stadio del club di James Pallotta, il cui progetto è stato rimandato dai dipartimenti del Campidoglio che ne hanno valutato la fattibilità, dopo la richiesta di slittamento della cosiddetta conferenza dei servizi in Regione, uno degli step previsti dalla legge sugli stadi varata durante il governo Letta.
Perchè è arrivato il no? Il documento relativo al parere unico (consultabile qui) argomenta la scelta dividendo le criticità nei seguenti punti:
1. Sicurezza stradale, “con particolare riferimento alla circolazione stradale sia veicolare che pedonale”;
2. Idraulica: “L’attuale classificazione dell’area, che comprende zone a rischio, determina la non compatibilità, ai fini della variante urbanistica, con le condizioni di pericolosità idraulica dell’area”, spiega il documento;
3. Carenza di funzionalità: soprattutto “Nei parcheggi, nella viabilità con la “sottostima dei flussi di traffico nello studio trasportistico, ad esempio per la riunificazione della via Ostiense con la Via del Mare”;
4. Mobilità e depuratore: il documento sottolinea la mancanza di un accordo con la Regione per potenziare la ferroviaria Roma-Lido, ma viene anche posto l’accento sulla carenza di una progettazione sulla ciclabilità. E poi c’è l’impatto “odorigeno” (sì inosmma, la puzza) del depuratore Roma Sud di Acea Ato2, che deve essere approfindito perché “potenzialmente limitante la fruizione delle opere”.
Insomma, nulla di campato in aria: il documento spiega la scelta del Comune, che in questo momento è bene chiarire non è definitiva: ora i proponenti del progetto hanno 30 giorni di tempo per proporre le varianti e le correzioni del caso. Dunque è sbagliato parlare di bocciatura definitiva. Si tratta di un parere negativo con riserva, visto che nel documento è spiegato che sussistono “le condizioni per addivenire al parere favorevole”. Dunque il parere unico non è un no definitivo: piuttosto, dal punto di vista tecnico, è un invito a mettersi in regola.
Ma c’è anche un punto di vista politico. Al momento, si tratta di una vittoria della “base” del Movimento 5 Stelle, che ha sempre considerato il progetto una follia dal punto di vista dell’impatto ambientale, ma anche simbolo dell’ennesima speculazione edilizia, sulla scia del no ai Giochi di Roma 2024. Tale fronte è quello rappresentato dall’assessore Paolo Berdini, che ha più volte chiesto varianti al progetto, soprattutto quelle legate alla metratura.
L’impressione è che però tale vittoria sia subordinata ad una tattica politica, ovvero quella del temporeggiamento. Con la Raggi indagata e con di cosneguenza un raggio d’azione limitato, il Movimento non può fare altro che rinviare il tutto. Il problema è che a marzo, quando si dovranno scoprire le carte, il no può diventare definitivo. Perché i proponenti del progetto avranno solo un mese per andare con le modifiche richieste. E il no sarebbe un bel problema, per la città e la sua amministrazione: non solo perchè si priverebbe il pallone italiano di un polmone bello grosso con il quale ridargli ossigeno, ma perchè la società che ha in carico i futuri lavori, la Eurnova di Parasi, potrebbe rifarsi legalmente contro il Campidoglio, con una causa che sarebbe un’altra spina nel fianco a un Comune con già diversi porblemi a carico.
Insomma, il calcio italiano si ritrova ancora una volta stretto nelle maglie della politica e della burocrazia. E ne esce ancora una volta sconfitto, mentre Germania e Inghilterra fanno sistema e hanno campionati con stadi nuovo e moderni e fatturati adeguati.