L'ambulanteBici rinnegata? Cesenatico è di Marco Pantani

Seguire la tappa di Oropa del Giro D'Italia qualche anno fa mi fece ritrovare in una curva del biellese faccia a faccia con uno striscione che recitava più o meno così: "Il Pirata vive". Nessuno ne...

Seguire la tappa di Oropa del Giro D’Italia qualche anno fa mi fece ritrovare in una curva del biellese faccia a faccia con uno striscione che recitava più o meno così: “Il Pirata vive”. Nessuno ne parlava apertamente ma l’ombra di Marco Pantani aleggiò su quella tappa dall’inizio alla fine.

Ho provato la stessa sensazione nella Cesenatico invasa da 12.000 ciclisti accorsi per la Nove Colli, regina delle Granfondo. Tutti tacciono, nessuno scricchiolio di ricordi, neanche l’ombra di un vezzo nostalgico per il campione romagnolo la cui ascesa finì in una delirante tragedia.
La mia generazione porta una bandana – anche se non vuole darlo a vedere – perché fino ai primi anni ’90 l’unico Pirata del nostro immaginario era Harlock di Leiji Matsumoto, che nelle sequenze dell’anime nipponico ci aveva fatto rimbalzare oltre la curva delle galassie.

Dopo allora abbiamo avuto un altro Pirata, perché le salite di Pantani erano diventate come il rock da bandito dei Rolling Stones, le visionarie arrampicate del cinema di Fellini, i furti dell’anticonformismo letterario di Bukowski.

“Non avrai dio all’infuori di me” era stato il comandamento del ciclismo di Coppi e Bartali, ma non di certo di Pantani e di tutta quella generazione che finì al processo dell’inquisizione per aver ceduto alla tentazione satanica del doping.
Bisognerebbe avere il coraggio di trascinare la memoria delle pedalate consumate a fatica dal territorio del mediocre e taciuto rinnegamento a quello che riconosce la fuoriuscita di un barlume di luce da una crepa, nonostante tutto.

Sui social network non c’è giorno in cui Pantani non sia citato sulla timeline di Facebook o Twitter così come tra gli oltre 26.000 scatti e video a lui tributati su Instagram. Nel perimetro virtuale dei social è più facile mascherarsi dietro un risucchio emotivo e non ridursi ad essere ladruncoli di un moralismo ingiallito.

Non si può salire in sella, affrontando le salite e i pendii dei nove colli romagnoli, senza pensare che ogni metro di quel percorso ci riporti direttamente o indirettamente a lui.
Il ricordo del Pirata non ha bisogno di statue o totem per tenersi lontano dal manubrio della bicicletta rinnegata, perchè Cesenatico è di Marco Pantani.

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