Da qualche tempo i media privilegiano le cattive notizie a scapito di quelle buone; fanno più audience, dicono. Il guaio è che, così facendo, trasmettono messaggi negativi che influenzano i nostri giudizi.
Per esempio, l’Italia è oggi percepita come lo scempio urbanistico nella Valle dei Templi di Agrigento, il disastro ambientale ed umano nella Terra dei Fuochi ed a Scampia del napoletano, le buche, il caos, il degrado urbano intorno al Colosseo a Roma, la criminalità organizzata infiltrata in profondità nell’hinterland milanese.
Tutto vero, non c’è dubbio. Ma è solo questo l’Italia? No, assolutamente.
Per esempio, c’è Bologna.
Meno di quattrocentomila abitanti, un milione nell’area metropolitana, era attiva già nel nono secolo avanti Cristo.
Nel 1088 gli studenti, organizzati in libere e laiche associazioni, diedero vita alla prima Università del mondo occidentale, lo “Studium”. I docenti se li sceglievano loro , raccogliendo i soldi – “collectio” – per pagarli. E i capi delle organizzazioni studentesche si chiamavano “rectores”. La prima specializzazione fu il diritto.
A metà del quattordicesimo secolo la competizione per l’ingaggio dei docenti era così vivace che venne coniato il detto “nullus bonus jurista nisi sit bartolista”, per sostenere la scelta di Bartolo di Sassoferrato, grandissimo esperto di diritto ed autore di innumerevoli testi giunti fino a noi.
Bologna era già allora culla di civiltà e di progresso. Nel 1257 il podestà abolì la schiavitù (primo luogo conosciuto al mondo). Oggi Bologna è una città in cui non solo si lavora, ma anche ci si diverte, con una imprenditoria diffusa ed una caratteristica particolare: proliferano le famiglie che tramandano nel tempo le loro iniziative, riuscendo a mantenere un equilibrio fra vecchie e nuove generazioni e conseguendo grandi successi nella sempre più difficile competizione nazionale e globale.
Maccaferri, Seragnoli, Vacchi (in ordine rigorosamente alfabetico) sono nomi ormai noti in tutto il paese. Ma la perla, secondo me, è Golinelli.
Nato vicino a Modena nel 1920 – comeCarlo Azeglio Ciampi -, Marino Golinelli si è laureato in farmacia all’Università di Bologna a 23 anni. Nel gennaio 1948, neanche trentenne, rileva un piccolo laboratorio (che chiama “Biochimici Alfa”) con un solo dipendente e cominciava a produrre uno sciroppo.
Nel tempo la Alfa ha assorbito la Wassermann, la Schiapparelli, la Sigma Tau.
Tra i suoi farmaci più importanti il Vessel contro le trombosi e il Normix, celebre antibiotico.
Oggi il gruppo Alfa Sigma è presente in 18 paesi e impiega 2.800 dipendenti, di cui 1800 in Italia, dove conta 5 sedi operative. Il fatturato è superiore al miliardo di euro.
“Non ho la barca, né l’aereo privato” dice Marino Golinelli, che sottolinea vis a vis quanto sia stato importante per lui un volume di Niels Bohr – matematico, fisico, filosofo della scienza- letto a 17 anni. Così come l’incontro con Rita Levi Montalcini nel 1980. La scienza prima di tutto.
Golinelli, cavaliere del lavoro, è fissato con i perchè. Anche ai bambini delle scuole elementari che frequentano l’Opificio, chiede cosa gli è piaciuto. Mi racconta con il sorriso negli occhi: “Una volta un bimbo di sei anni mi ha detto di essere stato affascinato dai neuroni. Che soddisfazione”.
A me è tornato in mente, visto che a Bologna c’è la sede della Zanichelli, di una vivace discussione tra Federigo Enriques (padre di Giovanni Enriques, che rivitalizzò la Zanichelli) e Benedetto Croce. Quest’ultimo accusò Enriques (insigne matematico) di invadenza di campo e incompetenza. Giovanni Enriques spiega bene cosa sottaceva: “Fu un episodio di incontro-scontro di due culture: tra un sistema filosofico che tenda a dare una posizione predominate alla scienza e un altro che assegna a questa un ruolo subordinato quasi assimilando la scienza stessa alla tecnica”. Golinelli avrebbe parteggiato con forza per Enriques.
Se a cena un commensale cita Dante e Leopardi, è una persona colta, se cita i capital ratios stabiliti dal Comitato di Basilea presso la Banca dei Regolamenti Internazionali è un tecnico. Crediamo proprio che il ritardo che l’Italia abbia accumulato negli ultimi 30 anni sia in gran parte dovuto alla mancanza strutturale di cultura scientifica. Sforniamo giuristi e all’Università di Pavia i laureati in matematica si contano sulle dita di una mano. Francesco Giavazzi ha scritto: “All’università di Bari, su 9 mila iscritti, solo in 50 hanno scelto matematica, 62 chimica e 2 mila giurisprudenza. Al Politecnico di Milano i più si iscrivono al corso di ingegneria gestionale, vogliono tutti diventare manager: progettare il disco di un freno, anche se per le Ferrari, è considerata un’attività passé” .
Avendo un desiderio di futuro superiore a chiunque altro, Golinelli nel 1988 ha dato vita alla fondazione che porta il suo nome “affinchè i bambini e i giovani possano crescere con un bagaglio culturale adatto a farne i futuri cittadini del domani, attraverso attività di laboratorio e di divulgazione della cultura scientifica”. La Fondazione Golinelli è l’unico esempio di fondazione privata ispirato al modello delle grandi fondazioni filantropiche americane: concretezza, pragmatismo, visione e capacità progettuale la rendono un caso di best practice a livello internazionale.
Socio dell’Associazione per il Progresso Economico (APE) da molti decenni, Marino Golinelli ci ha invitati a visitare la sede che ha realizzato investendo 12 milioni di euro in un grande progetto di riqualificazione urbana.
Pippo Amoroso – past president dell’APE – ed il sottoscritto siamo quindi andati all’Opificio Golinelli, “cittadella della conoscenza e la cultura di Bologna” – che non a caso richiama la capacità di fare, di lavorare -, ricavato una ex area industriale ristrutturata mantenendone le linee architettoniche originali.
Nei circa 9.000 mq, che accolgono 150.000 persone all’anno, si tengono sei diverse attività:
– La “Scuola delle idee “, spazio ludico per bambini dai 18 mesi ai 13 anni, per stimolarne la creatività con un approccio interdisciplinare.
– Le “Scienze in pratica”, laboratorio per i ragazzi fra i 14 ed i 19 anni inteso a promuovere la passione per la scienza e la tecnologia, con possibilità di sperimentare. Io e Pippo abbiamo visto con gioia circa 30 ragazzi, seguiti dagli insegnanti, analizzare i solfiti.
– Il “Giardino delle Imprese”, scuola informale di educazione alla cultura imprenditoriale per giovani fra i 13 ed i 25 anni, dotata di acceleratori.
– La “Scienza in piazza”, che organizza manifestazioni nelle strade e negli spazi urbani per la diffusione della cultura scientifica.
– “Educare a educare”, programma pluriennale nazionale di formazione degli insegnanti di tutte le scuole. Ah, quanto è importante la pedagogia, come si insegna! Già che si siamo, esclamo io al direttore generale, bisognerebbe insegnare Educazione finanziaria. Vaste programme.
– “Arte, scienza e conoscenza”, mostre, convegni e dibattiti sulle connessioni fra arti e scienze.
Naturalmente, Marino Golinelli non fa tutto questo da solo. La moglie Paola gli è sempre accanto, con la sua originale acconciatura dai colori vivaci, eppure gradevoli, la sua positività, la sua gioia di vivere. Andrea Zanotti presiede la Fondazione, Filippo Cavazzuti ne è vice presidente, Antonio Danieli direttore generale.
Con una sessantina di persone entusiaste e motivate che ci lavorano ogni giorno Golinelli ha messo in piedi “un’impresa sociale il cui prodotto, il cui dividendo e il cui profitto finale sono l’educazione, la formazione la cultura e la crescita della società”.
Golinelli ha messo ulteriori risorse a disposizione della Fondazione per il progetto Opus 2065, con il quale intende rafforzare la missione etica della Fondazione, puntando alla formazione di giovani e insegnanti, a un centro di ricerca sui campi futuribili del sapere (compresi i Big Data), e a un fondo per il supporto di nuove attività imprenditoriali. È attivo un bando per il prossimo dottorato in data science and computational, che si terrà l’anno prossimo presso l’Opificio, in collaborazione con l’Università di Bologna e il Politecnico di Milano.
Grande collezionista di arte contemporanea, Golinelli dice che “quando pensiamo abbiamo un’attività cerebrale che, penso, somigli ad un arabesco straordinario: Mi piacerebbe vederlo disegnato. Chissà”
In realtà ha fatto di più: quell’arabesco straordinario lui lo ha realizzato e lo dona tutti i giorni ai ragazzi, al nostro futuro, all’Italia bella.
P.S.: questo articolo è a quattro mani, l’ho scritto insieme a Pippo Amoroso, avvocato gentiluomo, con cui ho condiviso una giornata difficile da dimenticare.